SERBIA: Tadic a Vukovar, quanto è difficile ammettere un genocidio

di Filip Stefanović

Gli imputati […] sono colpevoli di avere, tra le ore pomeridiane del 20 novembre e le prime ore mattutine del 21 novembre 1991, all’interno dell’azienda agricola ‘Ovčara’, a Vukovar, nell’allora Repubblica di Croazia, ucciso prigionieri di guerra, aggredendoli fisicamente e tenendo un comportamento tale da ledere la dignità umana: picchiati con pali di legno, spranghe, calci di fucile, mani e piedi, su varie parti del corpo, sparando loro in testa con pistole, tagliando gole con coltelli, fucilandoli, e seppellito infine i cadaveri in fosse comuni, rivoltando la terra coi bulldozer.
Al cantore analfabeta Marko Miljanov chiesero in cosa consistesse la differenza fra coraggio ed eroismo. Lui rispose: “Coraggio significa salvare se stessi dal nemico, mentre eroismo è salvare il nemico da se stessi.”
Noi, Signori, non mettiamo in dubbio il vostro eventuale coraggio: riguardo a esso giudichi qualche tribunale della storia. Accettate però questa sentenza come un giudizio sul vostro eroismo.

(Tribunale speciale per crimini di guerra, Belgrado, 21.12.2005)

Il 18 novembre 1991, dopo un assedio criminale protrattosi per tre mesi, l’Esercito jugoslavo e unità paramilitari serbe entravano a Vukovar, difesa da volontari croati, prevalentemente abitanti del luogo. Nei giorni seguenti, la città caduta rimase in preda a soldati sbandati, rapinatori, ubriachi, bande irregolari e di volontari cetnici, che col pretesto di smascherare i “terroristi ustascia” travestiti in abiti civili fermavano tutti gli uomini in grado di reggere un’arma, dai quindici anni in su. Rappresaglie, incidenti e faide personali culminarono nella mattina del 19, quando a centinaia vennero caricati su pullman di linea, e trasportati in diversi campi di concentramento, il più famoso a Ovčara, alle porte della città.

Dalle sue fosse comuni sono stati estratti 200 cadaveri, di altri 61 non vi è ancora traccia. Nel 2005, a Belgrado, sono state condannate 15 persone per complessivi 190 anni di carcere.

Anno 2010, 4 novembre, il presidente serbo Boris Tadic ha fatto personalmente visita ai luoghi del massacro, accolto dal suo collega croato Ivo Josipovic, e apponendo assieme una corona di fiori al monumento delle vittime. Per quanto la visita non abbia avuto carattere ufficiale, l’evento ha indubbiamente una rilevanza storica per il miglioramento delle relazioni della Serbia coi paesi vicini, raffreddatesi a seguito della proclamazione d’indipendenza del Kosovo nel 2008, ma anche per il processo integrativo nell’Unione Europea, fortemente interessata alla stabilità della regione.

“Sono qui per porgere ancora una volta parole di scusa, mostrare il mio rammarico, e creare le condizioni perché serbi e croati, la Serbia e la Croazia, possano aprire una nuova pagina di storia”, ha dichiarato Tadic, mentre Josipovic ha sottolineato che “nessun crimine rimarrà impunito”. A tal proposito, la Serbia ha restituito i documenti d’archivio sottratti dall’ospedale militare di Vukovar nel 1991, che si potranno rivelare utili nel fare finalmente luce sui tanti nomi della cui fine non si è più saputo nulla.

“Con l’ammissione dei crimini, le scuse ed il rammarico, si stabiliscono le basi per il perdono e la riappacificazione: quando i nostri popoli si riappacificheranno, si aprirà un futuro nuovo”, ha proseguito il presidente serbo. Parole che a detta del premier croato Jadranka Kosor, oggi presente alla cerimonia, non porteranno la Croazia a ritirare le accuse di genocidio contro la Serbia, ma che sono senz’altro soddisfacenti e rilevanti per i futuri rapporti tra i due paesi.

È difficile dire quanto l’incontro di oggi sia un segnale di una reale distensione dei rapporti e del concreto tentativo di voltare pagina, e quanto invece di spinte più o meno indirette da parte degli Stati Uniti e dell’Europa. A detta dei due presidenti, l’unica spinta è stata umana è morale. In ogni caso, sarebbe ingiusto liquidare l’evento di oggi come solite parole a vuoto, in quanto segnali distensivi di questo tipo possono assumere valenze concrete ben più profonde, soprattutto per la Serbia, che ha recentemente dimostrato, attraverso la formidabile reticenza a riconoscere il massacro di Srebrenica per genocidio, quanto ammissioni di colpa di questa portata siano ancora oggi tutt’altro che facili da ammettere per l’establishment serbo.

Chi è Filip Stefanović

Filip Stefanović (1988) è un analista economico italiano, attualmente lavora come consulente all'OCSE di Parigi. Nato a Belgrado si è formato presso l’Università commerciale Luigi Bocconi di Milano e la Berlin School of Economics, specializzandosi in economia internazionale. Ha lavorato al centro di ricerche economiche Nomisma di Bologna e come research analyst presso il centro per gli studi industriali CSIL di Milano. Per East Journal scrive di economia e politica dei Balcani occidentali.

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7 commenti

  1. mi chiedo : un paese con queste responsabilità, con il suo carico di morte e la negazione della civiltà europea che ha dimostrato non più di quindici anni fa, merita davvero di entrare così comodamente in europa?

  2. Giovanni, credo che l’ingresso per la Serbia in Europa sia tutt’altro che comodo. La Serbia si è macchiata delle colpe più gravi durante le guerre degli anni ’90, non perché è il popolo più cattivo, ma semplicemente perché aveva a disposizione i maggiori mezzi per farlo (l’eredità di mezzi dell’Esercito Jugoslavo, quarto esercito europeo prima della dissoluzione). Ora non ha più quelle risorse, che ha consumato assieme all’economia di tutto il paese nel corso del decennio passato. Gran parte dei suoi criminali di guerra sono oggi all’Aia, Milosevic è morto, fintanto che non catturano Mladic l’Olanda non acconsentirà MAI all’ingresso serbo in EU (forse per qualche piccolo senso di colpa su Srebrenica…?). La classe politica odierna è senz’altro non all’altezza per svariati motivi, ma quanto meno non ha legami col passato, né la minima intenzione di intraprendere la via delle armi con chicchessia. Io non sono per il lasciare conti in sospeso, né dimenticare, ma d’altra parte fino a quando dovremo punire la Serbia? La Croazia non è stata certo un agnellino durante il conflitto 1991-95, eppure le sue colpe non sono un grosso ostacolo né per l’UE né per l’opinione pubblica internazionale. È giusto così. Solo, non banalizziamo il tutto definendo barbara la Serbia: c’è una grossa fetta, maggioritaria io credo, di popolazione filoeuropea, la cui voce non trova sufficiente spazio. Negare alla Serbia la possibilità concreta di avvicinarsi alla UE significa unicamente soffocare del tutto questa voce, non punire le frange più estreme e nazionaliste, che anzi sguazzano e crescono proprio nell’isolazionismo. Non mi pare che i castighi inflitti alla Germania alla fine della Prima guerra mondiale abbiano portato risultati eccellenti… bisogna saper trovare il giusto rapporto tra responsabilità e dinamica del progresso.

  3. Il titolo del’articolo è fuorviante. Vukovar e Srebrenica sono due cose diverse, non banalizziamo la definizione di genocidio.

    • Ciao Davide, mi prendo la responsabilità del titolo poiché scritto da me e non dall’autore (come sempre su Ej). Non nascondo l’intento “editoriale” del titolo, ovvero far leggere il pezzo. Ciò detto, non è del tutto fuorviante poiché non mi sembra del tutto scorretto associare la pulizia etnica al genocidio, almeno nel caso balcanico. Non credo sia sede per dibattere sulla definizioni di genocidio (ma certo la risoluzione 260/1948 dell’Onu non soddisfa le moderne pratiche belliche) e c’è chi propone una separazione tra i due concetti (genocidio, per la distruzione del tutto; pulizia etnica, per la distruzione di una parte). Qui, forse un po’ forzatamente, si è voluto associare il campo di concentramento di Ovcara a Srebrenica (di cui si parla nel pezzo) intendendo entrambe le pratiche volte al genocidio. Se stiamo a sottilizzare su Srebrenica, come chirurgi del concetto e non come esseri umani degni di questo nome, anche quello fu “una parte del tutto”. Il genocidio dei musulmani andò oltre Srebrenica ma il fatto in sé rappresenta “solo” un episodio di pulizia etnica. Poi, ripeto, certe operazioni intellettuali non andrebbero fatte parlando di simili e così gravi questioni. Naturalmente, si è liberi di dissentire. Anzi, tanto meglio, ché il pensiero unico non ci piace. Un saluto e grazie per seguirci

      Matteo Z.

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