RUSSIA: Stretta su conti e case all'estero dei funzionari

Intensa attività legislativa del presidente russo Vladimir Putin. “Non si tratta né di una moda, né di una campagna di pubbliche relazioni, né di un mezzo per distogliere l’opinione pubblica da altri problemi”. Cosi’ il capo dell’amministrazione presidenziale, Sergej Ivanov, ha spiegato la serietà con cui il Cremlino sta affrontando la lotta alla corruzione, e che ha portato oggi Putin a firmare un decreto con cui si irrigidiscono i controlli sulle entrate e i business, in patria e all’estero, dei funzionari pubblici (i “cinovniki”, come ai tempi di Gogol’) e dei loro familiari. Secondo le nuove regole, i dipendenti statali di alto livello non potranno più avere conti all’estero ed è stata prorogata al primo luglio la data di scadenza per mettersi in regola e presentare la chiusura dei conti e la dichiarazione dei redditi. Il possesso di immobili, invece, non è vietato, ma deve essere precisata la modalità del loro acquisto. In conferenza stampa, Ivanov è stato chiaro: chi infrange le regole, verrà licenziato.

Il decreto prevede anche maggiori tutele – per esempio, avvocati d’ufficio nel caso di una causa per diffamazione – per quei cittadini che denunciano affari illeciti da parte dei funzionari statali. Come ha fatto di recente il celebre blogger Aleksej Navalnyj, che – documenti alla mano – ha smascherato due parlamentari che avevano proprietà immobiliari non dichiarate all’estero, costringendoli alle dimissioni. Nessun obbligo, invece, di dichiarare acquisti di oggetti di lusso, opere d’arte o gioielli preziosi, ha spiegato lo stesso Ivanov. Cosa che per alcuni siti di informazione suona come un consiglio ai “cinovniki” su dove, per ora, “conservare le proprie ricchezze senza essere notati”.

Nello stesso tempo Putin ha firmato la legge che conferisce il diritto alle assemblee legislative regionali di decidere se eliminare o meno le elezioni dirette del governatore, reintrodotte neppure un anno fa dall’allora capo del Cremlino, Dmitrij Medvedev. Secondo la nuova legge – approvata a grande maggioranza dalla Duma in febbraio – nel caso in cui una regione decidesse di fare a meno delle elezioni dirette, ogni partito rappresentato nel parlamento locale dovrà inviare al presidente i nomi di non oltre tre candidati alla poltrona di governatore. Il capo di Stato ne selezionerà tre, che saranno poi votati dai deputati regionali.

Uno degli argomenti sostenuti dai promotori della nuova legge – il partito di maggioranza “Russia Unita” – è che nelle repubbliche caucasiche multietniche e multiconfessionali l’elezione tramite voto diretto metteva a rischio il già precario equilibro tra i vari gruppi etnici, con le minoranze che non avrebbero mai avuto un governatore che li rappresentasse. Le elezioni dirette dei leader regionali erano state abolite nel 2005, dopo la strage alla scuola di Beslan. Sono state reintrodotte l’aprile scorso, nel quadro di una serie di leggi volte a liberalizzare il sistema politico, in seguito alle manifestazioni di piazza, che – a cavallo tra il 2011 e il 2012 – chiedevano a Mosca riforme strutturali.

Chi è Giovanni Bensi

Nato a Piacenza nel 1938, giornalista, ha studiato lingua e letteratura russa all'Università "Ca' Foscari" di Venezia e all'Università "Lomonosov" di Mosca. Dal 1964 è redattore del quotidiano "L'Italia" e collaboratore di diverse pubblicazioni. Dal 1972 è redattore e poi commentatore capo della redazione in lingua russa della radio americana "Radio Free Europe/Radio Liberty" prima a Monaco di Baviera e poi a Praga. Dal 1991 è corrispondente per la Russia e la CSI del quotidiano "Avvenire" di Milano. Collabora con il quotidiano russo "Nezavisimaja gazeta”. Autore di: "Le religioni dell’Azerbaigian”, "Allah contro Gorbaciov”, "L’Afghanistan in lotta”, "La Cecenia e la polveriera del Caucaso”. E' un esperto di questioni religiose, soprattutto dell'Islam nei territori dell'ex URSS.

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