CROAZIA: Gotovina assolto, l'Aja sotto processo

Ante Gotovina, ex-generale dell’esercito croato, è stato assolto oggi dalla Corte d’Appello del Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia (TPIJ), all’Aja. La sentenza d’appello ribalta completamente quella di primo grado, emessa nell’aprile 2011, che aveva condannato a 24 anni di carcere il generale Gotovina, e a 18 anni il generale Mladen Markač, già vice ministro dell’interno (oggi assolto anche lui). Il processo riguarda il presunto coinvolgimento nei crimini di guerra commessi dalle forze armate croate contro la popolazione civile serba, nel corso dell’“Operazione Tempesta” nell’ agosto 1995. La sentenza odierna ha scagionato Gotovina e Markač dall’accusa di aver preso parte ad una “comune impresa criminale” (Joint Criminal Enterprise), che comprendeva le imputazioni di persecuzione, deportazione, omicidio, distruzione indiscriminata, saccheggi, atti crudeli ed inumani. La corte ha infatti stabilito che “Tempesta” è stata un’operazione di carattere militare, non dettata da finalità criminali né dall’esigenza di ripulire etnicamente il territorio.

Con l’operazione Tempesta, di cui Gotovina fu il generale responsabile, l’esercito croato mirava a riprendere il controllo della Krajina, la regione in territorio croato con capitale Knin, che tra il 1991 ed il 1995 rimase sotto controllo della Repubblica Serba di Krajina. L’operazione Tempesta avvenne in collaborazione con l’esercito della Bosnia-Erzegovina, nonché grazie al supporto informativo, logistico e militare garantito dalle forze armate statunitensi, fattori determinanti per il completo successo dell’offensiva. L’attacco fu eccezionalmente rapido: in solo 84 ore, tra il 4 e l’8 agosto 1995, l’esercito croato riprese il controllo dell’intera regione. Tuttavia, non meno eccezionali furono le conseguenze tragiche per la popolazione civile. Secondo i dati delle Nazioni Unite, tra i 150.000 e i 200.000 civili serbi di Croazia abbandonarono la regione. Di questi, almeno 20.000 sarebbero stati vittime dirette di deportazione forzata. Secondo varie fonti, centinaia di civili furono uccisi (677, secondo un rapporto del Comitato di Helsinki croato). Va detto che l’operazione Tempesta non è solo una semplice operazione militare, ma uno dei miti fondanti dello stato croato. Di conseguenza, Gotovina è considerato non solo un uomo innocente, ma un vero eroe da molti cittadini croati, tanto che il 5 agosto di ogni anno si celebra il “Giorno della vittoria e del ringraziamento dei difensori della Croazia”.

La gioia di Zagabria, la rabbia di Belgrado

Nella piazza Ban Jelačić di Zagabria, migliaia di persone si sono riunite per celebrare l’assoluzione di Gotovina e Marcak e per attendere il loro ritorno in patria, avvenuto nel pomeriggio. Tuttavia, ciò che forse sorprende di più non è tanto la prevedibile euforia popolare, quanto l‘entusiasmo delle istituzioni, ora in mano al Partito socialdemocratico croato, tradizionalmente su posizioni moderate e non nazionaliste. Il primo ministro Zoran Milanović si è congratulato con la decisione della Corte. “E ‘chiaro che i due uomini erano innocenti, questo non vuol dire che la guerra non sia stata sanguinosa e che non ci siano stati errori. Però il responsabile è lo stato, non i generali Gotovina e Markač. […] Lo stato rispetterà i propri obblighi verso la giustizia. Grazie a Gotovina e Markač che hanno resistito per la Croazia”, ha dichiarato Milanović, con parole che mostrano una certa ambiguità e confusione riguardo le responsabilità individuali, politiche e collettive del conflitto. Con toni simili si è espresso il presidente croato Ivo Josipović. Da parte delle istituzioni serbe, la reazione è ovviamente opposta. Secondo il presidente Tomislav Nikolić, la decisione del Tribunale è “politica e non giuridica”, e “riapre vecchie ferite tra Serbia e Croazia”. A seguito della sentenza, il governo serbo ha peraltro annunciato che si limiterà ad una mera collaborazione “tecnica” col Tribunale dell’Aja. Dichiarazioni molto critiche contro la sentenza del TPIJ sono arrivare anche dall’ ex-presidente Boris Tadić e da diversi esponenti di ambito politico e civile.

Croazia, la transizione compiuta

La sentenza della Corte d’Appello arriva in un momento chiave per la Croazia, a meno di otto mesi dal suo ingresso nell’Unione Europea previsto per il luglio 2013. Grazie a questa sentenza, i leader croati continueranno a vantarsi di aver soddisfatto i requisiti della giustizia internazionale, pur non avendo offerto collaborazione al Tribunale dell’Aja quando questo ne aveva più bisogno. A partire dal 1998, il paese ha iniziato a subire una certa pressione internazionale per il suo rifiuto di consegnare all’Aja Gotovina – all’epoca ispettore generale delle Forze Armate – come testimone, così come chiedeva l’accusa. La situazione non cambiò nel 2000, quando Gotovina fu rimosso dal suo incarico. Dal 2001, quando Gotovina era già latitante per la giustizia internazionale, lo stato croato non facilitò di certo le indagini dell’Interpol sul conto del suo ex generale. Da quando Gotovina fu arrestato a Tenerife, nel dicembre 2005, la sua figura in Croazia è stata trattata alla stregua di un martire, generando una sorta di merchandising commemorativo costituito dalle innumerevoli effigi, poster e gadget venduti con il suo volto e nome.

Almeno da un punto di vista istituzionale, l’Unione Europea può stare tranquilla. Dopo alcuni processi di adesione particolarmente controversi (come quello di Cipro del 2004), è possibile fornire una versione accettabile della transizione croata, avviata con la secessione jugoslava e che si completerà con l’integrazione comunitaria. Secondo questa visione, lo Stato croato raggiunse la propria indipendenza difendendosi prima dal poderoso esercito jugoslavo, e poi dalle milizie serbe che avevano espulso i cittadini croati dalla Kraijna. Nel 1995 lo stato croato fu in grado di imporre la sovranità sul territorio che reclamava. La novità della sentenza odierna è che per la pulizia etnica dei serbi della Krajina – la più veloce ed efficiente di tutte le guerre jugoslave – non esistono responsabili individuali. L’istanza successiva, quella della “responsabilità dello stato”, si aggiunge ora alla lunga lista di rivendicazioni storiche europee che, non essendo legalmente imputabili, sono strumentalizzabili politicamente di volta in volta.

Il Tribunale sotto accusa

Le conseguenze di questa decisione riguardano anche lo stesso Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia e lo sviluppo del diritto penale internazionale, di cui la Corte è un referente. Quanto all’accusa, la condotta dell’ex procuratore capo in carica quando Gotovina era latitante, Carla del Ponte, non fu immune da polemiche. Ai dubbi che generò il suo operato durante il processo a Slobodan Milošević, si aggiunse la sua condotta poco diplomatica durante le trattative con il Vaticano per chiedere l’estradizione di Gotovina all’Aja. “Penso alle vittime serbe di quei crimini – ha commentato Del Ponte. – Il Presidente della Croazia ha detto che sono stati commessi errori durante la guerra; allora non si chiamano più crimini, ma errori? Questa sentenza dà un duro colpo alla credibilità della giustizia“.

L’aspetto più inquietante continua ad essere, però, la disparità dei criteri che hanno caratterizzato le sentenze e le operazioni del Tribunale sin dalla sua fondazione. Ciò ne ha intaccato la credibilità e lo ha reso un’istituzione vulnerabile, peraltro tenendo conto gli interessi politici creati attorno al tribunale. Le contraddizioni si trovano anche dentro le stesse sentenze. Nel giudizio odierno su Gotovina, la decisione è stata presa con il voto favorevole di tre giudici (due dei quali hanno però mostrato alcune obiezioni) e il voto contrario di due giudici. La Corte, quindi, si è di fatto spaccata 3-2. La Corte d’Appello ha ritenuto che l’esodo dei serbi di Krajina sia stata una conseguenza involontaria di operazioni di carattere esclusivamente militare. Si è dunque sorvolato sul fatto che l’allora presidente croato Franjo Tudjman avesse indicato pubblicamente l’espulsione dei civili serbi di Croazia come un obiettivo diretto ed esplicito delle operazioni militari. Uno dei due giudici contrari alla sentenza, il maltese Carmel Agius, sostiene che sono stati presi in considerazione tutti gli elementi a disposizione, e introduce dubbi sulla metodologia utilizzata. L’altro giudice contrario, l’italiano Fausto Pocar, arriva persino ad affermare che la decisione contraddice ogni senso di giustizia”. Queste divergenze tanto profonde sollevano pesanti dubbi sulla stessa struttura della Corte, che deriva inevitabilmente dai rapporti eminentemente politici che precedettero la sua costituzione. I grandi stati dovrebbero proteggere la credibilità di istituzioni come il TPIJ, il cui potenziale per la creazione di una vera governance democratica mondiale è molto alto.

Chi è Alfredo Sasso

Dottore di ricerca in storia contemporanea dei Balcani all'Università Autonoma di Barcellona (UAB); assegnista all'Università di Rijeka (CAS-UNIRI), è redattore di East Journal dal 2011 e collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso. Attualmente è presidente dell'Associazione Most attraverso cui coordina e promuove le attività off-line del progetto East Journal.

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