SLOVACCHIA: Strage di Rom a Bratislava, un caso?

 

Di Matteo Zola

Bratislava, folle fa strage di Rom. L’uomo stermina una famiglia, poi si suicida. Ecco come i giornali titolano quanto accaduto nella capitale slovacca ieri mattina. Il giornalismo -si sa- ha i suoi tarli. In un mestiere dove il gesto è sempre folle, l’omicidio efferato, il bilancio tragico, è difficile dare il senso preciso di quanto accade. Come spiegare, infatti, il “folle gesto” di un ex poliziotto che a Bratislava ha ucciso sette persone e ferite diciannove. Il ricorso al luogo comune è la soluzione più semplice, e ha anche il pregio di mettere distanza tra il lettore e il fatto accaduto. Una distanza che infine rassicura, poiché quanto accade si situa fuori dalla norma ed è descritto non con il linguaggio della realtà –nella quale nessun luogo è comune– ma con quello della retorica che tutto rende fiction.

Forse con un poco di riflessione in più si potrebbe aggirare la soluzione retorica  per comprenderne le motivazioni. Partiamo però dai fatti. L’ex poliziotto, residente a Devinska Nova Ves, quartiere popolare alla periferia nord ovest di Bratislava, è sceso in strada armato di fucile d’assalto e due pistole. Dopo aver percorso Pavla Harova, la strada principale del quartiere, è entrato in un edificio salendo al quarto piano. Ha sfondato la porta e ucciso a bruciapelo cinque donne di etnia Rom. Un uomo, della stessa famiglia, ha cercato la fuga ma è stato freddato alla schiena. Affacciatosi alla finestra dell’abitazione, il killer ha cominciato a sparare sulla folla ferendo diciannove persone, tra cui un bambino, e uccidendone una settima –una donna che nulla aveva a che vedere con le altre persone assassinate. Circondato dalla polizia, l’uomo si è suicidato.

La parola chiave è “Rom”. Nella settimana dei rimpatri forzati made in Sarkozy, già avevamo dato notizia del muro costruito -sempre nella tollerante Slovacchia- per dividere le case degli slovacchi da quelle dei Rom. Il fatto di ieri, al di là del luogo comune, è un esempio di come l’odio etnico agisca anche in modo “passivo”. La polizia infatti esclude il movente razziale, e sarà pur vero. Anche se a ventiquattr’ore dalla strage già si mostra possibilista. A essere presi di mira sono stati comunque i membri della comunità più marginalizzata e perseguitata d’Europa. Un caso? “Un Rom non è nemmeno una persona”, disse quel Georg Haider in Austria prima di morire in un incidente stradale. E se “non è una persona” è più facile ucciderla, perseguitarla, privarla dei diritti. “Un Rom non è una persona”: in fondo così la pensano in molti nel vecchio continente, al di là delle ipocrisie e dei folli gesti.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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