Nel 1703 Pietro il Grande, il discendente dei Romanov che ha occidentalizzato la vita del suo paese, decide di edificare la nuova città che prenderà il suo nome lungo le paludose acque del fiume Nevà, in una località lontana dal cuore della civiltà sorta più di nove secoli prima a opera della dinasta rijurikide. Da allora Pietroburgo, la capitale del Nord, insieme alla vecchia Mosca, rappresentano l’animo russo scisso tra Oriente e Occidente alla ricerca di un compromesso tra Europa e Asia ma senza mai abbandonare né l’una né l’altra prospettiva. Lo sapevano i teorici occidentalisti così come i loro antagonisti slavofili che hanno dato vita a un gioco delle parti affascinante alimentando la querelle letteraria nel XIX secolo.
La differenza tra Mosca e San Pietroburgo è questa: “a Mosca, se non vedete un amico da un po’ di giorni, pensate che c’è qualcosa che non va e mandate qualcuno a controllare che non sia morto. Ma a Peter, potete non essere visti per un anno o due e nessuno sentirà la vostra mancanza” (O. Figes, La danza di Nataša, 2011). Con termini moderni potremmo dunque dire la provinciale Mosca contro la cosmopolita Pietroburgo. Ma nonostante ciò proprio Mosca, lontana per secoli dallo sfarzo regale e austero dei Romanov, si è concessa privilegi che San Pietroburgo non ha mai avuto come testimonia il conte Juškov che nel 1801 diede nel suo palazzo di Mosca ben diciotto balli nell’arco di venti giorni. Gli Šeremetev, nota casata nobile di Russia, offrivano nei dintorni di Mosca feste sfarzose a cadenza periodica. A qualche secolo di distanza, girando per le vie delle due grandi città russe qualcosa è cambiato, ma non troppo.
Mosca ha raggiunto il triste primato di città in cui vivono molti uomini delle finanze, oligarchi e una sparuta minoranza di persone che si è arricchita grazie alla svendita dei beni statali attuata da Boris El’cin. San Pietroburgo, lontana dalla mondanità moscovita, resta un’isola felice dove ci si diverte ancora in modo semplice come quando al turista si offrono sassi da gettare nei canaletti della Nevà, come gesto portafortuna, oppure lanciare copechi sui ripiani dei ponti per poter ritornare in città o ancora schiacciare barattoli di latta nei pressi della cattedrale di Kazan’ sulla Prospettiva Nevskij. Ecco cosa rimane dopo secoli dei due simboli della Russia che restano nell’immaginario collettivo i due volti dell’animo umano scisso nei suoi eterni dilemmi esistenziali.
L’indole semiorientale di Mosca l’ha resa sicuramente unica per la sua architettura eclettica, per un gusto neogotico e bizantino che San Pietroburgo certo non possiede. Crocevia tra nord e sud, tra Europa e steppa asiatica Mosca ha conservato il fascino della città in cui le bizzarre mescolanze culturali e sociali richiamano fortemente alla mente l’idea di un oriente caotico e poliedrico dove vi sono società ancora legate al mito del gran Khan, fortemente sentito a Mosca. Il restyling di Mosca dopo la peste del 1770 e l’invasione napoleonica del 1812 ha fatto di essa una città più simile a quella che oggi conosciamo, un affascinante luogo dove l’aristocrazia provinciale sposa lo sfarzo cittadino.
Il carattere “straniero” di San Pietroburgo, che fa parte della mitologia popolare, ha legato sempre di più i russi moscoviti alle loro tradizioni tanto che scrittori come Puškin e Odoevskij inventano storie pietroburghesi di fantasmi che legano la capitale del nord a una triste idea di luogo non sicuro soprattutto per via delle sue acque. Abbandonata dagli slavofili, ridicolizzata da Gogol’, che ne parla in termini apocalittici poiché “la notte l’intera città si tramuta in tuono e in lampo… il demonio stesso accende le luci solo per mostrare ogni cosa in un fallace aspetto”, San Pietroburgo è la meravigliosa capitale delle notti bianche che nel periodo di giugno accendono il cielo con i sogni dostoevskijani. Oggi le due città si guardano da lontano con mite distacco ignare che una serve all’altra per dimostrare la propria grandezza, la propria differenza, lo stesso pericoloso fascino russo di cui entrambe sono circondate. C’è chi ama una e odia l’altra alla stessa maniera con cui si ama o meno un aspetto della propria personalità…trahit sua quemque voluptas.
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nella foto: Amore e Psiche, di Antonio Canova, conservata al Museo dell’Hermitage di San Pietroburgo
Bell’articolo, ha colto molto bene lo spirito di queste due metropoli. Di mio posso aggiungere che i moscoviti hanno un inconscio senso di inferiorità nei confronti di Pietroburgo, quando ci arrivano sembra che abbiano il cappello in mano come i contadini di una volta quando entravano nella casa dei “signori”. I pietroburghesi del resto si considerano culturalmente superiori e non mancano di farlo pesare agli arricchiti moscoviti. In genere Pietroburgo è amatissima dai russi, mentre Mosca genera un sentimento di amore/odio. Però lo scritto di Gogol: “la notte l’intera città si tramuta in tuono e in lampo… il demonio stesso accende le luci solo per mostrare ogni cosa in un fallace aspetto” non mi sembra una ridicolizzazione, piuttosto lo scrittore sembra avvertire il fascino tenebroso della Piter notturna, dove ancora adesso se ci si allontana dalle luci della Prospettiva Nevskj si può immaginare di vedere Raskolnikov sbucare da dietro l’angolo con l’ascia insanguinata. Mi sembra di capire che l’articolista preferisca Mosca, io non sono d’accordo, Piter è unica al Mondo !