A sette lunghi anni dal suo ultimo film , il regista premio Oscar de Il Figlio di Saul ritorna a Venezia con Orphan - ma sembra del tutto irriconoscibile.

CINEMA: Venezia, il cambio di forma di László Nemes in Orphan

A sette lunghi anni dal suo ultimo film , il regista premio Oscar de Il Figlio di Saul ritorna a Venezia con Orphan – ma sembra del tutto irriconoscibile.

Non c’è alcun dubbio che László Nemes ed il suo film di debutto, Il Figlio di Saul, siano, dieci anni dopo l’anteprima a Cannes, parte della storia del Cinema. Il film del cineasta ungherese utilizza una commistione particolare di campi ravvicinati, dal fondo sfocato, e lunghi piani sequenza, per costruire un’immagine vertiginosa degli orrori di Auschwitz. Due anni dopo, forte del premio oscar al miglior film, Nemes ha presentato a Venezia Tramonto, in cui sembrava consolidare la prorpia tecnica, e dichiarare un programma autoriale in cui l’uso di questa specifica commistione stilistica avrebbe dominato. Tramonto è stato ampiamente criticato come una “ripetizione”, ma ricordiamoci che la critica ha sempre avuto questa attitudine nei confronti di registi che scelgono di seguire ed insistere su una visione – Jancsó non era meno esposto a tali accuse. Forse è questa la ragione per cui, il nuovo film di Nemes presentato a Venezia, Orphan, sembra virare rotta. O forse la ragione è che la storia di Orphan sia stata ideata dal padre, András Jeles, regista con una poetica completamente diversa dal figlio.

In ogni caso, una cosa è certa: Orphan non è il Nemes che tutti conoscono: campi medi dominano le scene, le due opzioni più ricorrenti sono stabili carrelli ad una certa distanza o inquadrature del tutto fisse – e nessun piano sequenza. Ci si potrebbe chiedere: se lo stilema più caratteristico di Nemes non c’è più, cosa rimane? Orphan fornisce un’ampia risposta: come i primi due film, segue un’investigazione, un’indagine in un mistero identitario dal centro “vuoto”: il protagonista Andor è cresciuto credendo di essere figlio di una vittima dell’Olocausto, ma nel 1957 – una sorta di “Anno Zero” (riferimento intenzionale a Germania Anno Zero di Rossellini) per un’ungheria appena abbattuta dai carri armati sovietici durante la rivoluzione del ’56 – sua madre gli presenta un uomo, un mezzo bruto piuttosto antipatico, dicendo che è il suo vero padre. Andor cerca di scoprire la verità e di svelare il mistero che circonda lo sconosciuto, arrivando a trovare prove della sua pericolosità – ma come accade sempre in Nemes, nulla è chiaro, nulla è definito – questa essenza del suo cinema permane e domina Orphan.

Il nome di László Nemes, purtroppo, ha fatto scalpore negli ultimi tempi per una serie di schieramenti politici piuttosto infelici: in occasione del premio oscar ottenuto da The Zone of Interest  di Jonathan Glazer, non ha taciuto il proprio disappunto riguardo alla condanna delle azioni di Israele a Gaza. Recentemente, si è fatto notare come uno dei firmatari della petizione contro la presenza della band irlandese Kneecap al Sziget Film Festival a causa della loro posizione pro-palestinese (mascherata dalla petizione come “antisemitismo”). Chiaramente, alla luce di questi elementi, l’importanza della questione legata all’identità ebraica potenziale del protagonista potrebbe sollevare alcune domande, ma fortunatamente nessuna delle idee politiche conservative del cineasta traspare nel film, che non affronta la questione del sionismo – il film non è il suo regista.

Diventa difficile amare questa nuova immagine del cinema di László Nemes, ma al contempo bisogna sottolinearlo: Orphan è un bel film, anche se non quello che si sarebbe aspettato.

Il film verrà distribuito in Italia da Movies Inspired.

Chi è Viktor Toth

Critico cinematografico specializzato in cinema dell'Europa centro-orientale, collabora con East Journal dal 2022. Ha inoltre curato le riprese ed il montaggio per alcuni servizi dal confine ungherese-ucraino per il Telefriuli ed il TG Regionale RAI del Friuli-Venezia Giulia.

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