‘Deepening and widening’, ‘allargarsi ed approfondirsi’: questo, secondo il parere di Giuliano Amato espresso nel corso della presentazione del libro di Massimo Riva (‘L’Europa che non c’è, Pisa University Press. Alla ‘Nuvola’ dell’Eur, l’8 dicembre), il principio che avrebbe dovuto guidare il passaggio da un’unione di quindici Paesi ad una di ventisette, quasi tutti dell’Europa dell’Est. Non solo allargare il numero dei soci, cioè, ma rafforzare ed approfondire le istituzioni che li avrebbero uniti.
È esattamente ciò che non è stato fatto, si può ben concludere al termine della lettura dell’agile e urticante testo di Riva, già Senatore della Sinistra Indipendente nonché uno dei più importanti editorialisti italiani (su ‘Repubblica’, ‘Corriere della Sera’, ‘L’Espresso’, ‘Panorama’). Non solo per la mancata creazione di una politica fiscale comune, per la persistente ritrosia ad emettere Eurobond, – quindi a finanziare sul mercato le iniziative dell’Unione nei vari campi – ma soprattutto, questo il cuore del libro, per non aver dato vita ad una politica estera e di difesa europee. Con le conseguenze che tutti oggi vediamo: schiacciata dalla aggressività putiniana da una parte, dalla prepotenza economica e dal disprezzo ideologico trumpiano dall’altra, per non parlare delle tante dittature ideologiche e teocratiche presenti qua e là nel mondo, l’Europa politica non solo non ha un proprio esercito, ma, come vediamo proprio in questi giorni, è ancora lontana dal riuscire ad averlo, a causa del suo grande peccato originale, di un vincolo micidiale che le tiene le mani legate. Il riferimento è al ‘diritto’ di veto, valido per ciascuno dei ventisette Stati (e che succederà quando ad essi se ne aggiungeranno altri, come Moldova, Georgia, Balcani occidentali, Ucraina?), indipendentemente dal suo effettivo peso demografico, geografico, ed economico.
Sicché la flotta europea, oltre che scoordinata, è costretta a navigare alla velocità della ‘nave più lenta, mancando l’una dopo l’altra tutte le mete che gli eventi storici le propongono – come sta avvenendo oggi – a strettissimo respiro. Riva la definisce ‘una specie di garrota micidiale stretta al collo dell’Unione’. Ovviamente, la colpa non è tanto di alcuni Paesi che via via si sono aggiunti all’Unione (come quello guidato da un Viktor Orban illiberale, scherzosamente definito Viktatore in ambienti comunitari), quanto della ‘congiura del silenzio’, della ‘inerzia assoluta’, che ha spinto i Paesi fondatori a non cancellare il diritto di veto neppure nei ‘Trattati di Lisbona’, ultima occasione utile dopo l’affossamento della ‘Costituzione Europea’ (elaborata tra gli altri da V. Giscard d’Estaing e dallo stesso Giuliano Amato).
Come se ne esce? La proposta di Riva prevede non solo un rilancio delle già previste ‘cooperazioni rafforzate’: in pratica, il meccanismo che ha portato alla creazione dell’Euro, in cui i Paesi europei che lo vogliono aderiscono ad iniziative di avanguardia come quella che ci ha portati alla moneta unica. Ma anche, giunti all’attuale frangente critico della Storia, una ‘rottura’ più coraggiosa dell’unanimismo, cioè una sorta di competizione ‘civile’, interna quindi all’Europa, che porti le ‘navi più veloci’ ad avanzare anche da sole, a passi risoluti e spediti, verso una federazione europea che abbia, assieme alla già presente moneta unica, come seconda gamba la difesa unica. Il principio? Semplice: ‘Chi ci sta, ci sta’ (che risuona simile a quel ‘whatever it takes’ di draghiana memoria che l’Euro, in effetti, lo salvò). Riva mette qui al bando ogni ipocrisia lessicale, nega che il ‘riarmo’ dell’Europa sottintenda un atteggiamento bellicista. Cita il celeberrimo storico francese Marc Bloch, impegnatosi nella Resistenza attiva ai nazisti e da essi trucidato nel 1944: i pacifisti ‘…insegnavano, a ragione, che la guerra accumula devastazioni inutili. Omettevano di distinguere tra la guerra che decidi di fare volontariamente e quella che ti viene imposta, tra omicidio e legittima difesa’.
Con un occhio alla storia di lungo, anzi lunghissimo periodo l’autore cita per ben tre volte la battaglia di Salamina (è tra i pochissimi a ricordare che quel conflitto tra poleis greche e impero
persiano ha compiuto da poco i duemilacinquecento anni): quei soldati erano ‘…eroi consapevoli che solo facendo a pezzi il monolite politico e religioso dell’assolutismo persiano avrebbero salvato l’agorà ateniese’. Il seme della loro resistenza, divenuto poi ‘l’albero della democrazia’, non può e non deve spegnersi, ma portare alla ‘creazione di un’Europa soggetto politico sovrano condiviso da popoli accomunati nel culto del diritto e della ragione’. Forse Riva non vede spuntare ‘un Temistocle’ (l’uomo politico ateniese artefice del successo dei Greci) nell’attuale panorama politico europeo; ma, aggiunge, ‘se c’è, si faccia avanti’. Adesso, verrebbe da dire, o mai più. Perché ‘una volta di più nella loro storia governi e popoli del vecchio continente sono chiamati a decidere se vogliono o non voglio pagare il prezzo della democrazia. Che talvolta è molto alto. Quanto è cara la libertà che offre in cambio’.
East Journal Quotidiano di politica internazionale