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ROMANIA: Elezioni presidenziali annullate. Ingerenze russe o democrazia à la carte?

Venerdì 6 dicembre scorso la Corte costituzionale romena ha annullato le elezioni presidenziali in corso. Una decisione senza precedenti, motivata da ragioni di sicurezza nazionale. Quali? Il candidato in vantaggio, Călin Georgescu, sarebbe un filo-putiniano. Quindi, se il candidato non piace, si rifanno le elezioni. Ecco che per difendere la democrazia liberale, la democrazia liberale muore. 

L’annullamento delle elezioni presidenziali è arrivato appena due giorni prima della data prevista per il ballottaggio. Le elezioni presidenziali in Romania si articolano infatti su un doppio turno e al primo turno, tenutosi il 24 novembre, Călin Georgescu era risultato vincitore con il 23% dei voti. Lo attendeva dunque il ballottaggio contro la liberale Elena Lasconi ma la Corte costituzionale, a sorpresa, ha annullato tutto perché Georgescu sarebbe un filorusso e avrebbe vinto grazie a pesanti interferenze da parte di Mosca. Interferenze che, tuttavia, sarebbero di vecchia data.

I servizi di sicurezza romeni hanno infatti da tempo tracciato e documentato centinaia di account social aperti a favore di Georgescu sulla piattaforma Tik Tok costati complessivamente più di un milione euro. Soldi che arriverebbero da Bogdan Peschir, uomo d’affari romeno con un passato da agente finanziario nelle criptovalute. Peschir si è difeso affermando che quelle erano donazioni, nient’altro. Si vedrà, anche perché la Romania ha una legge molto stringente in materia di finanziamento alla politica, e la posizione di Peschir – cui sono stati sequestrati beni per circa sette milioni di euro – appare tutt’altro che solida. Quel che è certo, è che la crescita di consensi di Georgescu appare innaturale (vedi grafico sotto) e qualche regia deve pur esserci stata. Inoltre, quanto accaduto in Romania somiglia molto con il copione visto recentemente in Moldavia,

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Quel che occorre sottolineare è che i servizi di sicurezza sapevano tutto da tempo ma le istituzioni dello Stato non hanno agito contro Georgescu. Perché? La risposta va cercata proprio all’interno delle istituzioni romene, sfasciate e cannibalizzate dalla politica, svuotate della propria funzione pubblica e conniventi con quei settori ultra-nazionalisti che Georgescu rappresenta. Insomma, pezzi dello Stato erano passati mani e piedi dalla parte di coloro che propugnano una Romania autoritaria, contraria al percorso euro-atlantico che il Paese ha intrapreso da ormai vent’anni, a favore di una posizione indipendente e neutrale rispetto al blocco europeo e alla Russia.

Georgescu è sicuramente un personaggio ambiguo, con un passato da diplomatico, studi all’estero e incarichi internazionali, appare rassicurante e affabile ma nella sua biografia politica c’è un buco nero di dieci anni finché nel 2020, in piena pandemia, torna alla ribalta per le sue posizioni anti-vacciniste, invero piuttosto apprezzate tra i romeni. Ricompare nel 2022 tra gli esponenti dell’AUR, l’Alleanza per l’Unione dei Romeni, un partito politico di estrema destra che – tra le altre cose –  celebra la figura di Codreanu, ideologo antisemita romeno, simpatizzante del nazismo e fondatore del locale partito fascista. Georgescu abbandona però il partito in polemica con la dirigenza “troppo moderata” e si inabissa nei meandri dei circoli patriottici e nazionalisti riemergendo nel 2024 come candidato alle elezioni presidenziali. I sondaggi lo davano al 5,4% e invece – sorpresa sorpresa – è risultato vincitore al primo turno. A fermarlo ci ha pensato la Corte costituzionale, ma a quale prezzo?

L’ annullamento delle presidenziali è stato criticato anche da Elena Lasconi, la sfidante di Georgescu. Lasconi, liberal-progressista pro UE e Nato, ha dichiarato che lo Stato romeno “ha calpestato la democrazia”. Lasconi ha definito la decisione della Corte Costituzionale come “illegale e immorale”, un atto che “distrugge l’essenza della democrazia”. Sicuramente si tratta di un terribile precedente ma a Bruxelles hanno applaudito. Brava Romania. Quindi, da domani – a Budapest, a Bratislava, a Zagabria, ma anche a Roma, perché no? – sarà possibile eliminare avversari politici grazie all’intervento di qualche Corte costituzionale. 

E i russi? L’intelligence romena ha reso pubblici alcuni documenti secondo cui la campagna elettorale sarebbe stata oggetto di alcune “azioni russe ibride e aggressive“. Tuttavia, al momento, non ci sono prove di un collegamento tra Georgescu e il Cremlino. Le troveranno, c’è da crederci. Si trovano sempre le prove in questi casi. Più probabile, però, che paventare una minaccia russa fosse requisito necessario per giustificare e far digerire una simile decisione all’opinione pubblica interna e internazionale. Certo Georgescu aveva espresso più volte simpatie verso il Cremlino ma – piaccia o non piaccia – esiste la libertà di opinione. Ed esiste il diritto dei cittadini di votare chi vogliono. Ma esiste il diritto per una democrazia di suicidarsi?

I sondaggi davano Georgescu in vantaggio anche al ballottaggio. Sarebbe diventato presidente, avrebbe avuto in mano la politica estera del Paese, gli affari europei e la sicurezza nazionale. Sarebbe diventato comandante supremo delle Forze armate. Avrebbe avuto il potere di cambiare le cose e sicuramente le avrebbe cambiate in peggio. Almeno da un punto di vista liberal. Perché la crisi romena è l’ennesimo campanello d’allarme (campanello? campanaccio!) sullo stato di salute delle democrazie liberali, in progressiva perdita di credibilità e consenso. L’epoca volge verso forme più autoritarie e controllate di democrazia. La Romania stava per arrivarci prima di altri. Sarà per la prossima volta?

foto di Dragos Panait 

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Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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Il primo turno delle elezioni presidenziali ha visto l’ascesa inaspettata ma travolgente di Călin Georgescu, semi-sconosciuto candidato indipendente di estrema destra. Al secondo posto, con una rimonta all’ultimo voto ampiamente supportata dalla diaspora, si è piazzata Elena Lasconi, moderata liberale di centrodestra. Uno scenario, quello Lasconi-Georgescu, che nessuno aveva predetto. Tante domande e tante ipotesi per cercare di capirci qualcosa fino al prossimo appuntamento elettorale di domenica 1 dicembre, quando si voterà per eleggere il parlamento. 

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