Ucraina sola

UCRAINA: Tra diserzioni e tradimenti, Kiev è sempre più sola

La guerra in Ucraina volge davvero verso la pace? La Russia non si accontenterà di qualche territorio mentre Kiev appare sempre più sola…

C’è un dissennato ottimismo circa l’esito della guerra in Ucraina.  L’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti d’America e la caduta del regime siriano di al-Assad sembrano suggerire una rapida fine del conflitto: il Cremlino è debole, accetterà la proposta trumpiana, qualche cessione territoriale e il cielo sarà sempre più blu. D’altronde, lo stesso Trump ha dichiarato, un po’ enfaticamente, di voler portare la pace nel mondo e la decennale aggressione russa all’Ucraina sembra essere la chiave di volta di questa rinnovata pax americana.

Il mezzo e il fine

Tuttavia, l’obiettivo del Cremlino è da sempre quello di riportare Kiev sotto la propria sfera di influenza, com’è stato fino al 2014. La guerra in Ucraina non è un confitto regionale, non si esaurisce con la conquista territoriale. Quest’ultima è unicamente propedeutica al negoziato ed è necessaria a rendere l’Ucraina ingovernabile e dipendente da aiuti occidentali – destinati prima o poi a esaurirsi – impedendo qualsiasi adesione alla NATO. La conquista territoriale è quindi il mezzo, non è il fine.

La posta in gioco

Ecco perché il Cremlino non sarà mai interessato ad alcuna tregua, né si accontenterà di qualche centinaio di chilometri di «cuscinetto». Il Cremlino vuole da sempre due semplici cose: un governo ucraino filorusso, e il controllo politico ed economico del Paese. Un controllo dalle fondamentali ricadute geopolitiche, senza il quale la capacità di proiezione della Russia verso l’Europa, il Mediterraneo e il Medio Oriente sarebbe impossibile. Viceversa, sottrarre l’Ucraina all’influenza di Mosca – o persino integrarla nella NATO – significherebbe rendere la Russia una piccola potenza regionale, incapace di intervenire nel mondo, a esclusione forse di qualche residuale influenza centro-asiatica o caucasica. Data l’importanza della posta in gioco, questa partita non si risolverà con un pareggio.

La Russia avanza, gli ucraini disertano

Il Cremlino è ancora ben lontano dal perdere la guerra, le forze russe sono avanzate nella regione di Sumy, vicino al villaggio di confine di Oleksandriya, e nella regione di Kursk, dove dall’agosto scorso è in atto un’invasione ucraina. La città di Zaporižžja, in Ucraina, è oggetto di ripetuti attacchi missilistici mentre truppe russe si stanno muovendo per circondarla. Insomma, non sembra che Mosca abbia alcuna intenzione di mollare l’osso. Al contrario, lo sfinimento e la disillusione sembrano ormai diffusi tra le fila dell’esercito ucraino: secondo il procuratore generale ucraino, più di 100mila soldati avrebbero disertato. Un problema destinato a crescere.

Difficile non dare ragione ai disertori. Le incertezze occidentali, le armi centellinate e i troppi veti al loro utilizzo, hanno reso vano lo sforzo di autodifesa ucraino. Restare al fronte per farsi ammazzare senza nessuna prospettiva di vittoria è troppo da chiedere anche al soldato più motivato. L’impressione è che Washington, all’indomani dell’aggressione russa del 2022, abbia provato a vedere quel che succedeva. Senza un piano, senza la volontà di difendere davvero Kiev, ha usato l’Ucraina come un proxy. Adesso le colpe di una pace senza giustizia ricadranno sull’amministrazione Trump, ma le premesse di questo fallimento vanno cercate nel passato.

Unprovoked and unjustified?

A margine di questa riflessione, si potrebbe tranquillamente dire che la guerra in Ucraina non è unprovoked and unjustified come dichiarato da più parti, e che anzi il conflitto si giustifica proprio con l’oscillazione di Kiev verso l’Occidente. Oscillazione che è tanto endogena quanto esogena: la società ucraina si è “occidentalizzata” e si è quindi sottratta al sistema di valori e di potere espresso dalle élite filorusse, ma questa occidentalizzazione è anche il risultato di promesse di benessere, chimere europeiste, iniziative socio-culturali portate avanti da organizzazioni non governative filo-occidentali, cooptazioni nel mondo politico e negli affari. Quando, nel 2014, questo passaggio delle élites e della società al campo occidentale si è materializzato, il Cremlino ha agito per riportare il Paese sotto il proprio controllo. E questo sarebbe accaduto anche se non ci fosse stato Vladimir Putin al potere. Oggi il sangue ucraino sporca le mani di Putin, ma anche di chi ha mandato gli ucraini a crepare con l’illusione di essere aiutati e sostenuti, senza volerlo fare davvero. Così l’Ucraina è stata tradita e uccisa. E il “cattivissimo” Trump sarà solo l’esecutore testamentario.

Immagine da Flikr, Yavoriv, Ukraine – Spc. Caleb Bailey, a combat medic assigned to the Joint Multinational Training Group – Ukraine (JMTG-U) treats a casualty during a MASCAL exercise here Jan. 12 2018

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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