di Giovanni Bensi
DA MOSCA – Il Daghestan si prepara alla guerra che rischia di divenire una ripetizione di quella cecena. Lo fanno temere notizie sempre più insistenti di movimenti di truppe russe (decine di migliaia di soldati mobilitati), spesso tenuti nascosti o camuffati dalle autorità, e di accresciuta attività dei guerriglieri, talvolta nazionalisti, talaltra fondamentalisti islamici e spesso entrambe le cose insieme. Il Daghestan è una piccola repubblica del Nord Caucaso, tra la Ceceniae il Mar Caspio, la cui capitale si chiama Makhachkalà. A cominciare dal 2010 questa repubblica è diventata il centro della resistenza militare alle autorità russe nel Caucaso. Che una guerra sia imminente è ritenuto probabile da molti, nel Daghestan e fuori di esso. La ragioni sono tante: la popolazione è musulmana sunnita, anzi il Daghestan è la repubblica più islamizzata della Russia. In essa però sono attivi i cosiddetti wahhabiti estremisti musulmani che, accumulata esperienza nella guerra cecena, vengono ad applicarla in Daghestan non solo contro la truppe della “potenza occupante”,la Russia, ma anche contro l’islam moderato. Perciò nella regione è in corso un massiccio riarmo delle truppe russe, mentre l’approvazione del programma federale mirato per lo sviluppo civile del Nord Caucaso è stata rinviata: il ministero delle Finanze ha dichiarato di non essere in grado di reperire la somma di 2,6 trilioni di rubli richiesti dal programma stesso, il cui costo complessivo si aggira intorno ai 4 trilioni.
Nello stesso tempo per il riarmo della Circoscrizione militare Sud, comprendente il Nord Caucaso, è prevista la spesa di oltre 5 trilioni di rubli entro il 2020. Già ora nella regione è in corso un massiccio riarmo dei reparti combattenti.[1] Questo riarmo viene messo in relazione anche con un programma di mobilità delle truppe russe all’interno del Daghestan, al fine di controllare meglio l’attività dei guerriglieri. Come osserva un giornalista Daghestano, Narimin Gadzhiev, “la gente qui ormai non si fida più di nessuno. Il punto di vista ufficiale è che abbiamo una già prevista rotazione di militari. Quello non ufficiale è che domani scoppierà la guerra. Nel Daghestan è già cresciuta un’intera generazione di bambini i cui genitori si sono abituati al pensiero che domani può scoppiare le guerra”.
A cominciare dalla metà di marzo 2012 nel distretto di Karabudakhkent sono stati trasferiti dalla Cecenia non meno di 30.000 militari delle truppe del ministero degli Interni (MVD), ovvero della polizia militare. Nel corso del 2011 e 2012 in Daghestan sono circolate senza sosta voci riguardanti possibili operazioni di guerra nel periodo successivo alle elezioni del presidente russo e delle Olimpiadi a Soci. Nei primi mesi del 2012 sono stati periodicamente trasferiti migliaia di militari in Daghestan, cioè in una repubblica già satura di truppe e di reparti speciali. I raggruppamenti in Cecenia e Daghestan sono stati i primi in Russia a completare il processo di riarmo: gli armamenti tattici già a metà del 2011 erano stati rinnovati all’80%. Nel distretto di Buynaksk, confinante con quello di Karabudakhkent nel gennaio 2012 si sono svolte manovre militari con il coinvolgimento dell’aviazione, dei carri armati e dell’artiglieria.
Il trasferimento di reparti militari in Daghestan è stato giudicato “non del tutto logico” se si tiene conto del fatto che essi hanno il compito di neutralizzare piccoli gruppi che conducono la resistenza con metodi partigiani, nascosti in gran parte in abitazioni “cospirative” nelle città e nei villaggi, oppure in basi ben mascherate e difficilmente accessibili. Inoltre il distretto di Karabudakhkent sembra creato apposta per la guerra partigiana. Questo terreno accidentato, coperto da foresta vergine, abbonda di una grande quantità di caverne e grotte capaci di offrire ottimi nascondigli. I guerriglieri che agiscono in questo distretto sono originari dei villaggi circostanti, si orientano benissimo sul territorio. Invece i militari di alcuni reparti speciali, di regola, non sanno con chi e con che cosa hanno a che fare, non si orientano nella situazione generale, per non parlare delle specificità religiose e perciò possono combinare non pochi guai. Il cosiddetto “eccessivo ricorso alla forza” è capace di provocare ritorsioni.
Secondo i media locali come “Nashe delo”, “Daghestanskaja pravda”, “Ilçi” („Il Messaggero”, in lingua lak), “Chernovik”, solo da Khankaly, la base dei militari russi in Cecenia, sono giunte in Daghestan due divisioni al completo: oltre 25.000 uomini. Più o meno la stessa quantità di militari si trova già in Daghestan, per non parlare della polizia, dei reparti speciali e delle “forze aggiuntive”, della flottiglia del Caspio, della brigata alpina e delle guardie di frontiera. Sono passati i tempi in cui il sistema, ancora sovietico, degli informatori locali era stato completamente smantellato. Negli ultimi dieci anni esso è stato ristabilito e conta, secondo stime approssimative, più di 10.000 uomini.
Nel distretto di Karabudakhkent, in meno di un mese sono perite circa 30 persone da entrambe le parti, militari russi e guerriglieri, compreso il cosiddetto “emiro del Daghestan” Ibragimkhalil Daudov, esponente dei wahhabiti. Il segretario del Consiglio di sicurezza del Daghestan, Magomed Baachilov insiste a smentire le informazioni sul dislocamento di ulteriori forze militari nella regione, affermando che “è in corso solo una rotazione delle truppe già pianificata”. “In Daghestan si si trovano costantemente truppe in trasferta per 3-6 mesi, le cosiddette “forze aggiuntive”. Baachilov però riconosce che in Daghestan sta per essere creato un “raggruppamento operativo provvisorio di organi e reparti del ministero degli interni (MVD), come si era fatto in Cecenia”, il che dimostra che le autorità del Daghestan non considerano improbabile uno scenario come quello già visto nella vicina repubblica ribelle.
La realtà delle azioni di guerra in Daghestan è confermata da segni indiretti. In dieci anni in questa repubblica non è stato realizzato nessun serio progetto economico. All’inizio del 2012 si è saputo che il Cremlino ha rinunciato a svolgere a Kaspijsk, località daghestana, le Olimpiadi giovanili del 2018. Il reclutamento di daghestani e ceceni nell’esercito russo, ridotto nell’anno precedente, è completamente cessato nel 2012. Segni del fatto chela Russia non vuole impegnarsi con iniziative importanti in Daghestan che potrebbero essere vanificate da una eventuale guerra. Il Daghestan oggi è pieno di preoccupate attese. I suoi abitanti vedono con perplessità una differenza nel comportamento del Cremlino verso i governanti nord-caucasici “vassalli” di Mosca.
Nella vicina Cecenia, per esempio, al presidente (per grazia di Putin) Ramzan Kadyrov viene consentito di criticare le “operazioni speciali” (rastrellamenti anti-guerriglieri) che in Cecenia vengono condotte dalle forze locali, e non da quelle “aggiuntive” inviate da Mosca. Invece in Daghestan la gente aspetta con ansia almeno un’esauriente relazione del presidente della repubblica Magomedsalam Magomedov sulla situazione in questo “avemposto meridionale della Russia” e sulle vere ragioni degli spostamenti di truppe russe. Tuttavia Magomedov tace. Tace anche il procuratore Andrej Nazarov, mandato da Chelyabinsk, dal 2009, che, con tutto quello che si muove intorno, da quanto si può capire, non ha altro da fare che tenere aperto il suo ufficio: a giudizio di tutti è una figura molto modesta, incapace di fare luce su ciò che avviene nella repubblica, cioè sulla crescita esponenziale della criminalità organizzata e del terrorismo. Questi silenzi, in contrasto con la loquacità di Kadyrov non sembrano casuali, ma dettati dalla necessità di tener quieta la popolazione e lascire mano libera al gran numero di militari.
Contemporaneamente in Daghestan si stanziano fondi per la profilassi dell’estremismo, le cui manifestazioni in confronto con il 2011 sono aumentate del 20%. Ma spesso questo denaro scompare in “buchi neri” di vario genere. Nessuno è riuscito a capire per che cosa concretamente sono stati spesi, per esempio, i 45 milioni di rubli per la profilassi dell’estremismo stanziati alla fine del 2011 dal ministero per gli affari delle nazionalità delle religioni e delle relazioni esterne del Daghestan, se l’escalation della tensione ormai esige l’intervento dei militari. In nessuna settore nella repubblica vi è qualche segno di vita che si possa considerare positivo. È piuttosto vero il contrario. Ed è del tutto evidente che la misure militari, se veramente saranno messe in pratica in Daghestan, serviranno solo a peggiorare la già scoraggiante situazione in questa repubblica.
[1] Khloponin: Severnyj Kavkaz lidiruet po otmyvaniju deneg,
http://www.newsru.com/finance/20jan2012/khloponin_print.html
I “cosiddetti wahhabiti” sono un movimento islamico fondato su una rigorosa applicazione della legge coranica e sulla intransigente opposizione alle innnovazioni della civiltà moderna. La loro presenza nel paese, come ad esempio nel Kosovo, é sicuramente un segno di guerra che, come tutti i conflitti tra forze regolari e terroristi, si trasformerà, in un succedersi di violenze sempre più accentuate, in un bagno di sangue di cui a pagare le conseguenze saranno i cittadini. Non credo che mostrare i muscoli con ingenti spiegamenti di forze servirà a bloccarli in quanto l’aspirazione al martirio, all’autodistruzione é fortissima per uomini che “amano la morte”. Si ripropone il dramma di paesi islamici che non riescono a darsi stabili ordinamenti politici fondati sui diritti del cittadino e nei quali, con lodevoli eccezioni, le donne sono tenute in condizioni di subordinazione. Se fossi un cattolico osservante pregherei per il Daghestan.