In Concorso cineasti del presente a Locarno, Lesson Learned è un promettente debutto che si inserisce in un cinema ungherese indipendente sempre più consolidato.
Da alcuni anni, in Ungheria sembra consolidarsi quasi un genere specifico, legato agli ambienti indipendenti, che trovano la propria voce in storie legate all’ambito scolastico. Non è per nulla un caso, in seguito alle restrizioni subite dagli insegnanti, la manovra di assogettamento dell’Accademia del Cinema, che questo sia il mondo scelto da vari cineasti per raccontare questioni più estese che dividono la società ungherese, e per dimostrare le proprie posizioni su scelte governative. Questo è stato il caso di Una spiegazione per tutto di Gábor Reisz, vincitore del premio miglior film Orizzonti alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia (dove abbiamo intervistato il regista) ed uscito in Italia in sala a Maggio, ma anche di Without Air di Katalin Moldovai, film passato al TIFF di Toronto, entrambi film che raccontano di studenti ed insegnanti schiacciati dal sistema. Il film di debutto Lesson Learned di Bálint Szimler si accoda a queste due opere.
È attraverso i luoghi che il film si presenta: l’aula scolastica, la stanza degli insegnanti, il cortile. Poco si discosta da questi luoghi il lungometraggio, che non risulta per questo claustrofobico quanto piuttosto concentrato e focalizzato su un microcosmo. Palkó, ragazzino cresciuto all’estero, all’improvviso si ritrova in Ungheria a causa del lavoro della madre, ad adattarsi in una scuola di periferia, incastonata tra i prefabbricati brutalisti. Non è l’unico nuovo arrivato: anche un’insegnante di lettteratura, in supplenza, entra per la prima volta in questo ambiente, che presto si dimostra caratterizzato da una disciplina ottusa, in cui vige più il terrore che l’educazione – il titolo ungherese, Fekete Pont, è un riferimento ad una procedura semidisciplinare molto in voga in Ungheria (il “punto nero” viene dato per un comportamento inopportuno). Il film segue così le due storie in parallelo, bilanciando nella parte iniziale maggiormente la storia di Palkó e nella parte finale quella dell’insegnante, mantenendo un equilibrio narrativo.
Più di altri film che raccontano le difficoltà nel mondo scolastico ungherese, Lesson Learned utilizza una forma poetica, ermetica: un leitmotif pianistico che accompagna inquadrature ripetute delle stanze vuote intervalla i vari quadri narrativi, un’ape che cerca di uscire da una finestra, cacciata da un bidello armato di giornale, diventa metafora visiva della situazione in cui si trovano i protagonisti; una finestra crolla in giardino in una scena quasi surreale, anche se in seguito dà luogo ad una sottotrama che racconta la paralisi burocratica del sistema educativo. A contribuire a questo effetto è la fotografia di Marcell Rév (noto a Hollywood per la fotografia nella serie HBO Euphoria), in pellicola, che con sottigliezza racconta il film senza dominarlo. Questa sorta di poeticità controbilancia il coinvolgimento emotivo del film: è difficile rimanere indifferenti alle ingiustizie subite da entrambi i protagonisti e non provare un senso di rabbia.
Lesson Learned è un film che molti definirebbero piccolo – di certo non esplicita i temi di Una spiegazione del tutto, per esempio – ma che in realtà racchiude dentro di sè temi molto importanti. Sono indizi, sottintesi, episodi significativi facilmente interpretabili dal pubblico ungherese, che permettono al film di approcciare problematiche importanti, con un linguaggio che resta sempre audiovisivo, profondamente cinematografico, e che fanno del film una delle gemme del cinema ungherese, ma per estensione, del cinema dell’Europa Centro Orientale di quest’anno.