Souvenirs war

BOSNIA: Si può essere attratti dal dolore? Intervista al regista di Souvenirs of War

Si può essere attratti dal dolore? Intervista a Georg Zeller, autore del documentario “Souvenirs of War”.

di Stefano Boring

Si può essere attratti dal dolore? Come si chiama quell’impulso che ti spinge a fotografare l’immondizia o edifici fatiscenti e crivellati dai colpi di mortaio? Perché i territori poveri o di guerra esercitano fascino?

É per rispondere a questi interrogativi, sorti durante un viaggio in Bosnia Erzegovina nel 2007, che il documentarista Georg Zeller ha intrapreso il lavoro che è poi culminato nel documentario “Souvenirs of War”, presentato al festival del cinema di Sarajevo nell’estate del 2023.

“La forza attrattiva dei luoghi di guerra la osservavo negli altri e in me stesso, vedevo le persone fotografare le rose di Sarajevo (i fori provocati dai colpi di mortaio riempiti con resina rossa), inizialmente ne ero turbato e forse inorridito. Girare il documentario mi ha dato modo di comprendere questa attrazione e smetterla di giudicarla”

“Souvenirs of War” è un lavoro delicato che tra il 2018 e il 2021 si inerpica tra le montagne della Bosnia, la città di Sarajevo, Srebrenica, Jajce, mostrandoci le trasformazioni di un territorio di guerra in una meta turistica, tanto più ambita quanto più martoriata; la guerra diventata a pieno titolo un itinerario turistico: “Nei nostri pacchetti turistici mettiamo un po’ tutto. Un po’ di islam, un po’ di cibo, un po’ di guerra” dice il titolare di un agenzia turistica ad Adnan, un veterano in cerca di lavoro come guida.

“Con Adnan sono riuscito a stabilire una comunicazione profonda. All’inizio la sua storia sembrava non c’entrare niente con il mio documentario; era un veterano impegnato in una sorta di analisi collettiva come elaborazione del trauma. Mi aveva colpito il suo lavoro anti-nazionalista, in cui coinvolgeva i veterani bosniaci: bosgnacchi, serbi, croati, andando oltre l’appartenenza etnica. Non sapevo come inserirlo, poi la sua vita si è sviluppata in direzione del film. È diventato guida durante il film”, racconta Georg.

Il turismo di guerra che ci mostra Zeller si muove in un equilibrio precarissimo composto da esperienze tra loro anche molto distanti, che spaziano dalla necessità di tener viva la testimonianza di ciò che è accaduto e che non è stato mai, però, politicamente riconosciuto, alla spettacolarizzazione di alcuni spazi di dolore.

Luogo turistico è Tuzla, dove incontriamo Dragana Vučetić, antropologa forense, che mostra a un gruppo di studenti italiani le ossa ritrovate nelle fosse comuni e il lavoro certosino per attribuire a quei resti un nome e un cognome. Luogo turistico è il campo di air soft, che si trova sul monte Igman, dove si gioca alla guerra in una ex war zone.

“Conoscere Adis, l’imprenditore che ha dato vita campi di air soft, è stato sorprendente, come osservare le persone che vanno lì a giocare. Ci sono tanti bosniaci e nessuno mi è sembrato mosso da nostalgia o nazionalismo. Adis, mettendo su questo campo, ha realizzato il sogno che aveva da bambino. Sognava un campo di air soft e lo ha costruito nonostante la guerra, non facendosi fermare dal trauma. Mi ha raccontato che quando era piccolo proprio su quella montagna giocava con gli altri bambini alla guerra, però la guerra c’era davvero. Sparavano con pistole giocattolo contro i combattenti, che a volte rispondevano usando armi vere”.

Il turismo di guerra non è derubricato come dark tourism nel documentario di Zeller; il regista rifiuta un punto di vista arrogante e mette in evidenza invece la complessità del fenomeno. “Da una parte, il turismo ha dilatato la guerra impedendole quasi di finire, poiché è diventata un tratto identitario. All’entrata di Sarajevo infatti è scritto: Città dei giochi olimpici e dei 1452 giorni sotto assedio. Dall’altra, il turismo con tutti gli introiti che porta con sé ha il potere di oltrepassare le convinzioni politiche. Il parco-divertimenti di Sunnyland, per esempio, pur essendo nella Republika Srpska, l’entità a maggioranza serbo-bosniaca, è frequentato soprattutto da turisti arabi. Incontri donne velate e tanti bambini. I soldi riescono a far passare in secondo piano le diversità etniche”.

Essere attratti dal dolore può avere origini molto diverse; Muhamed nel mio documentario racconta la sua storia, parla del padre ucciso e il cui corpo non è mai stato trovato. Raccontando quella storia incontra persone disposte a credergli e a offrirgli la loro empatia. Le persone che viaggiano attraverso quelle mete sono lì per offrire la loro comprensione e la loro solidarietà. Nessuna domanda può essere liquidata con una risposta univoca o semplice, ma penso che una componente dell’attrazione per il dolore sia il bisogno umano di condividere il dolore degli altri e di non lasciare solo chi soffre”

Durante l’assedio di Sarajevo il collettivo artistico FAMA pubblicò il testo “Sarajevo: Survival Guide”, a metà tra una guida turistica e un manuale di istruzioni. Attraverso questo espediente letterario, raccontava la miseria e il pericolo continuo a cui erano esposti i residenti e, allo stesso tempo, apriva uno spazio per la condivisione. Giurerei che quando ho acquistato questo libro, aveva attorno una fascetta con su scritto: “Vieni nell’assolata Sarajevo”.

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