Katalin Novák

UNGHERIA: Due dimissioni pesanti preludono a grandi cambiamenti?

Le dimissioni della Presidente dell’Ungheria Katalin Novák e della ministra della giustizia Judit Varga faranno vacillare il sistema Orbán?

di Salvatore Sinagra. Classe 1984. Analista finanziario e laureato in economia ed in scienze politiche. Segue per il CESPI-Centro Studi di problemi Internazionali di Sesto San Giovanni i paesi dell’Europa Centro-Orientale, in particolare Cechia, Slovacchia, Ungheria, Polonia e Slovenia.

Ad inizio febbraio la testata online ungherese 444.hu ha riportato la notizia che la Presidente della Repubblica Katalin Novák, in occasione della visita in Ungheria del Pontefice, aveva concesso la grazia al vicedirettore di un orfanotrofio condannato per favoreggiamento in un caso di molestie sessuali ai danni di minori. Gli uomini incriminati, per pedofilia o per favoreggiamento, appartengono come la Presidente Novák alla chiesa ungherese riformata. Il paese è stato attraversato da vibranti proteste, culminate con le manifestazioni del 9 febbraio in cui diverse decine di migliaia di cittadini sono andati in piazza a chiedere le dimissioni della Presidente. Il 10 febbraio Novák ha affermato di aver fatto un errore ed ha rassegnato le dimissioni; lo stesso giorno si è dimessa da Parlamentare ed ha dichiarato che abbandonerà la vita pubblica Judit Varga, ministro della giustizia di Orbán dal luglio 2019 al luglio 2023, quando aveva lasciato il ministero per assumere l’incarico di capolista di FIDESZ alle elezioni europee. Varga in qualità di ministro della giustizia aveva controfirmato la grazia. Orbán si è affrettato a presentare un emendamento che esclude la possibilità di concedere il perdono presidenziale per reati connessi alla pedofilia.

A diversi giornalisti non è sfuggito che Péter Magyar, ex marito di Judit Varga, avvocato ed influente uomo d’affari che grazie alla sua rilevanza in ambienti politici ha ottenuto prestigiosi incarichi in società private e pubbliche ungheresi, ha affermato, sui social, e poi con una lunga intervista, di volersi dimettere da tutte le cariche in società pubbliche ed accusato il sistema di nascondersi “dietro le gonne delle donne”; tra l’altro denunciando una gigantesca macchina della propaganda gestita dal capo di gabinetto di Orbán, Rogan Antal. Magyar ha stigmatizzato il modo in cui è stata attaccata la presidente Novák dalla stampa, ha affermato che la vicenda ha escluso dalla lotta di successione a Orbán due fortissime candidate ed ha denunciato i significativi malumori nella base di FIDESZ per la crescente concentrazione dei media e della ricchezza.

Novák, classe 1977, già ministro della famiglia, nel marzo 2022 era diventata, a quarantacinque anni da compiere, la prima donna e la più giovane presidente dell’Ungheria. In FIDESZ ha spesso interpretato il ruolo della moderata e dialogante, in particolari nei rapporti con l’UE e sulla questione Ucraina; nel 2021 sostenne le modifiche alla normativa ungherese che con il supposto fine di combattere la pedofilia equiparano pedofilia e omosessualità, di fatto un intervento ispirato dalla legislazione putiniana sulla propaganda omosessuale. Per completezza occorre dire che Novák ha poi messo il veto alla normativa che consentiva la denuncia anonima di coppie omosessuali. Varga, classe 1980, era figura assolutamente in ascesa nel panorama nazionalista ungherese; chi è stato ministro della giustizia di Orbán per anni non può non essere stato direttamente coinvolto nell’approvazione di provvedimenti controversi. Gli anni di Varga al ministero della giustizia sono stati qualificati dall’approvazione della normativa sulla propaganda omosessuale e dai contrasti con Bruxelles sullo stato di diritto dell’Ungheria, oltre che da contestazioni sulla reale democraticità delle elezioni.

Il ruolo effettivo di Novák e Varga, colte, con molti titoli di studio sul curriculum, con “esperienze da generazione Erasmus”, è oggetto di controversie. Da un lato molti conservatori hanno esaltato l’Ungheria, uno dei pochi paesi al mondo con due donne in posizioni apicali delle istituzioni; dall’altro a sinistra non pochi non hanno esitato a qualificare la scelta di Orbán di puntare sulle due donne come una “pittata di rosa“data ad un regime maschilista e omofobo. Ad oggi le donne rappresentano solo poco più del 10% dei parlamentari ungheresi e non è loro affidato alcun ministero. Riporta Massimo Congiu, a lungo corrispondente del Manifesto da Budapest, che qualcuno ha definito Novák la penna a sfera di Orbán.

Reuters qualifica l’evento una battuta d’arresto (setback) per Orbán che perde un suo fedele alleato, Politico parla addirittura della più grande sfida della carriera politica di Orbán. Siamo comunque ben lontani dal dire che il sistema Orbán sia in difficoltà. Il premier ungherese nel 2020 superò senza grandi problemi l’imbarazzo legato al fatto che l’europarlamentare omofobo József Szájer, tra i fondatori FIDESZ, fu sorpreso dalla polizia belga mentre partecipava ad un’orgia gay: bastarono le dimissioni del deputato; negli stessi mesi FIDESZ puntò tantissimo sulla legge che innalzava il tetto degli straordinari a 400 ore l’anno e consentiva ai datori di lavoro di posticipare il pagamento dei compensi anche per tre anni: tale provvedimento fu chiamato “legge schiavitù“, causò molte proteste e fu bocciato dalla corte costituzionale a maggio 2021, quando di fatto il paese era già in campagna elettorale per le politiche; Orbán ha facilmente superato l’insidia dell’Ucraina, in un paese che fu invaso dai russi nel 1956; infine, diversamente da quanto successo alla destra nazionalista polacca, Orbán non ha pagato alle urne il suo isolamento in Europa nemmeno di fronte al rischio concreto per l’Ungheria di perdere fondi UE per miliardi. Alle elezioni di Aprile 2022 non mancavano certo le fonti di potenziali rischi per FIDESZ, ma il partito del premier ottenne il 54% e vinse con 20 punti di vantaggio sul cartello composto di fatto da tutte le altre forze rappresentate in parlamento, mentre i sondaggi degli ultimi giorni lo davano in vantaggio di pochi punti.

Paradossalmente, la vicenda delle doppie dimissioni potrebbe essere ancora una volta sfruttata da Orbán per almeno due motivi, in primis gli esponenti d FIDESZ stanno puntando sulla narrazione che quando gli scandali colpirono la sinistra, dopo un intercettazione nel 2006, il premier Gyurcsány mise tre anni per dimettersi e l’impopolare governo a guida socialista arrivò a fine legislatura mentre quando gli scandali si abbattono sulla destra arrivano dimissioni eccellenti in una settimana; poi, in un contesto in cui le opposizioni tanto puntano, per il momento senza grandi successi, sulla minaccia della deriva putiniana e dove c’è un problema oggettivo di pluralismo dei media, un’inchiesta di una testata online che fa dimettere due pezzi da novanta del sistema di potere può addirittura fare comodo a chi governa.

Hanno ragione gli editorialisti di Politico e Reuters a pensare che questa volta è diverso? Se un parlamentare omofobo è scoperto ad un’orgia gay poco cambia in Ungheria (in fondo il referendum sulla “propaganda gay” non ha neppure raggiunto il quorum), gli ungheresi potrebbero reagire duramente contro l’ipocrisia di una parte politica che tanto parla di bambini e famiglia e poi perdona i pedofili? Probabilmente no. È possibile che qualche uomo di apparato come Magyar con le sue dichiarazioni faccia vacillare il sistema? Anche in questo caso gli spazi sono limitati. In Ungheria il peso degli imprenditori vicini ad Orbán, la concentrazione dei mass media tanto significativa da condizionare l’esito delle elezioni, la gestione opaca dei fondi europei e dei lavori socialmente utili non sono certo un mistero. Qualche donna e uomo di FIDESZ che si scaglia contro l’apparato probabilmente è sintomo non di un “regime change” ma dell’inizio della battaglia per la successione ad Orbán, in un contesto in cui non è ancora chiaro quando il premier ungherese vorrà farsi da parte. Senza una proposta delle opposizioni che profumi di futuro, Orbán continuerà a gestire facilmente qualsiasi insidia.

Foto: dal profilo Facebook di Novák Katalin

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