epa10097623 Serbian President Aleksandar Vucic speaks during a press conference with Spanish Prime Minister after their meeting in Belgrade, Serbia, 29 July 2022. Prime Minister Sanchez is on an official state visit to Serbia. EPA/ANDREJ CUKIC

SERBIA: Verso le elezioni del 17 dicembre

La Serbia si avvicina alle elezioni parlamentari straordinarie, indette per il prossimo 17 dicembre. I cittadini serbi chiamati ai seggi esprimeranno la propria preferenza tra le diciotto liste che concorrono per ottenere un seggio in parlamento, sui 250 disponibili, con una soglia di sbarramento fissata al 3%, eccezion fatta per le sette liste delle minoranze nazionali in corsa che potranno ottenere un seggio anche al di sotto di essa. Si voterà anche per rinnovare l’assemblea della provincia autonoma della Vojvodina e in 60 comuni, tra cui la capitale Belgrado.
Stando a uno dei pochi sondaggi pubblicati, i partiti della coalizione di governo, formata dal Partito progressista serbo (SNS) e il Partito Socialista della Serbia (SPS), insieme dovrebbero ottenere poco meno del 50%, mentre il principale cartello dell’opposizione, La Serbia contro la violenza (SPN), dovrebbe aggiudicarsi oltre il 25%. Sono dati che vanno presi con cautela ma che se confermati segnerebbero una piccola rottura rispetto agli ultimi anni: la prima volta che l’SNS del presidente Aleksandar Vučić non riuscirebbe a riconfermare la tradizionale alleanza che ha retto i suoi governi, e la prima volta che le opposizioni riescono a superare il 20%.
Considerazioni che valgono soprattutto per Belgrado, dove l’opposizione dovrebbe andare meglio che a livello nazionale e dove è molto probabile che SNS non riesca a confermare il sindaco uscente Aleksandar Šapić.

I candidati principali

La coalizione guidata da SNS, che governa il paese in autonomia o in coalizione dal 2012, porta il nome del presidente Aleksandar Vučić. Oltre all’SNS, nella lista “Aleksandar Vučić – Srbija ne sme da stane” (La Serbia non deve fermarsi), figura il movimento dei socialisti Aleksandar Vulin, recentemente sollevato dall’incarico di capo dei servizi segreti per via delle sanzioni USA nei suoi confronti, il partito Socialdemocratico di Rasim Ljajić, il Partito dei pensionati uniti della Serbia, Serbia sana, il Partito popolare serbo di Nenad Popović e il Movimento di Rinnovamento Serbo di Vuk Drašković. La linea politica del partito è ben nota: proseguire sulla strada dell’integrazione europea, ribadendo al contempo il non riconoscimento del Kosovo e la poca efficacia delle sanzioni internazionali verso la Russia, alle quali l’attuale governo non si è mai allineato.
Secondo i sondaggi, la lista dovrebbe ottenere il 39% dei voti.
Al vertice della lista del Partito socialista serbo (SPS), partner di ogni governo di coalizione dell’SNS dal 2012 ad oggi, troviamo invece il ministro degli esteri Ivica Dačić, candidato alla carica di primo ministro. Condotta sotto lo slogan “Ivica Dačić – Premier Srbije”, la campagna elettorale dei socialisti è sostenere l’ingresso nell’UE, senza mai allontanarsi dalla Cina e dalla Russia. Allo stesso modo, i socialisti reputano possibile un dialogo con il Kosovo, senza mai giungere però al riconoscimento della sua indipendenza.
Per la prima volta, stando agli opinion polls, i socialisti dovrebbero andare sotto la doppia cifra e prendere circa il 9%.

La novità più interessante è rappresentata dalla lista “Serbia contro la violenza” (SPN, Srbija Protiv Nasilja, Miroslav Miki Aleksić – Marinika Tepić”), erede istituzionalizzato del movimento sorto spontaneamente dall’indignazione popolare in seguito alle due vicende drammatiche che hanno sconvolto il paese lo scorso maggio, quando in due sparatorie a distanza di 48 ore l’una dall’altra morirono 19 persone, tra cui nove adolescenti della scuola “Ribnikar”. E’ proprio in virtù delle pressioni esercitate dal movimento di piazza – stando alle parole del presidente Vučić – che il governo avrebbe indetto le elezioni anticipate. Anche se queste potrebbero piuttosto essere il frutto di un calcolo politico di Vučić sulla base della situazione dei negoziati stagnanti sul Kosovo e su cui il presidente vorrebbe guadagnare tempo.
Ad ogni modo, il programma di SPN risulta fortemente eterogeneo e piuttosto generico sulle questioni attualmente dirimenti, a partire da quelle socio-economiche, nonostante una linea politica comune tendente al centrismo e al filo europeismo. Tra i partiti che concorrono sotto la sigla SPN troviamo il Partito Libertà e Giustizia (SSP), il Partito Democratico (DS), il Movimento popolare serbo (NPS) e il Fronte dei Verdi di sinistra (ZLF). Inoltre, parteciperanno alcune forze ecologiste, i liberali e il movimento SRCE (Cuore) di Zdravko Ponoš.
In caso di vittoria, tali partiti sostengono la creazione di un governo tecnico per un anno che soddisfi le richieste avanzate durante i mesi di protesta, ovvero rivoluzionare i vertici della direzione della Radiotelevisione serba, cambiare i membri del Consiglio dell’organismo di regolamentazione dei media elettronici, e la rimozione di programmi violenti dalle frequenze nazionali.
Ad oggi, i sondaggi indicano che la coalizione possa superare il 25% a livello nazionale, mentre a Belgrado potrebbe sfiorare il 35%.
Il partito radicale di Vojislav Šešelj, tornato alla vita politica serba dopo la condanna per crimini di guerra da parte del tribunale dell’Aja, concorre invece in maniera indipendente rispetto all’SNS, tranne che in alcuni comuni e città, tra cui Belgrado. Le loro richieste vanno dal porre termine all’integrazione europea per virare verso l’adesione ai BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), sino al rifiuto netto del piano-franco tedesco per il Kosovo, per il quale non viene preso in considerazione alcun futuro in cui non sia parte integrante della Serbia. I radicali, tuttavia, non dovrebbero superare lo sbarramento del 3%.
Sulla stessa linea di pensiero si pone la lista di estrema destra “Milica Đurđević Stamenkovski – Boško Obradović – Raduno nazionale – Potere nazionale”, di cui fanno parte il partito Zavetnici e il movimento Dveri. Essi sono contrari all’UE, alla NATO, propendono verso i BRICS e sostengono la neutralità militare del paese. Così come l’altra coalizione di destra filomonarchica, NADA, Raduno nazionale è dato intorno al 6%.

Belgrado, banco di prova?

La partita fondamentale per l’SNS si gioca però sul rinnovo dell’amministrazione di Belgrado e della Vojvodina. Nella capitale i sondaggi vedono una crescente impopolarità del partito del presidente e uno spiraglio per l’opposizione. L’opposizione di SPN potrebbe infierire un duro colpo al regime di Vučić risultando il primo partito di Belgrado e, con ogni probabilità, in grado di formare una coalizione per l’amministrazione cittadina. Belgrado è non solo l’epicentro della dissidenza e delle critiche al governo, in virtù soprattutto di progetti poco trasparenti come il complesso residenziale di Belgrado sull’acqua, ma anche il luogo dei tragici eventi di maggio, considerati il risultato indiretto di un governo che promuove violenza, sessismo e apatia socio-culturale.
Anche se non vanno escluse sorprese, così come l’influenza di eventuali brogli elettorali, va sottolineato che la vittoria a Belgrado potrebbe rappresentare la prima tessera del domino che possa successivamente far cadere il regime di Vučić, che governa in tutti i comuni del paese. Belgrado sarebbe in tal caso un banco di prova soprattutto per l’opposizione, che qui sarebbe in grado di organizzarsi e sperimentare la tenuta politica in ottica di un successivo voto a livello nazionale, che potrebbe arrivare già nel 2024 qualora nessun esecutivo poggi su una maggioranza assoluta.

Verso il voto

Inoltre, lo stesso Vučić aveva annunciato che il terzo governo Brnabić, entrato in carica il 26 ottobre dello scorso anno e durato solamente un anno e sei giorni, sarebbe durato massimo due anni. Le elezioni parlamentari anticipate sono perciò una possibilità per rafforzarsi, oltre che una regola per un paese come la Serbia in cui dal 2012 ad oggi gli esecutivi hanno lavorato per un quinto del tempo sotto mandato tecnico. Infine, non va esclusa la possibilità di un governo tecnico guidato sempre da Ana Brnabić, che guidi il paese fino a nuove elezioni che si dovrebbero tenere già nel 2024. Uno scenario che offrirebbe al presidente serbo ulteriore tempo da sfruttare per prolungare il momento delle decisioni nei vari dossier di politica estera, in primis per quanto riguarda i negoziati sul Kosovo.
Domenica i risultati delle urne ci diranno se le scelte del presidente Vučić siano state in grado di radicare ancor di più il suo partito nelle istituzioni.

Foto: InsideOver.com

Chi è Lorenzo Serafinelli

Classe 1999, laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso l'Università di Roma, la Sapienza. Attualmente, presso lo stesso istituto, sta conseguendo la laurea magistrale in Relazioni Internazionali e sicurezza globale. Esprime la sua passione per la storia e l'attualità dei Balcani Occidentali scrivendo per East Journal da luglio 2022.

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