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POLONIA: Una mancata rivoluzione di destra. Perché il PiS ha perso le elezioni

La sconfitta del PiS in Polonia segna l’arresto di una rivoluzione di destra che, in varia misura, vediamo in tutta Europa ma che – sperabilmente – potrebbe deragliare per le stesse ragioni che l’hanno vista perdere in Polonia…

Una delle principali teorie sul successo del populismo di destra è quella elaborata da Pippa Norris e Ronald Inglehart nel celebre volume Cultural backlash (Cambridge University Press, 2019) in cui si postula una “reazione culturale” contro il cambiamento sociale di matrice progressista – o il suo spettro. Questa “reazione culturale” sarebbe il risultato del timore del cambiamento dei valori sociali e della trasformazione della società da parte della fascia più anziana della popolazione e di coloro che vivono al di fuori dei centri metropolitani. La paura dell’immigrazione, lo spaesamento identitario, la perdita dei tradizionali punti di riferimento, sarebbero il terreno fertile per le forze politiche che promettono di preservare le strutture sociali tradizionali.

Il caso polacco è in tal senso interessante poiché, a una prima occhiata, sembra davvero che il successo elettorale della destra conservatrice – al potere dal 2015 al 2023 – sia perfettamente spiegabile con questa teoria. Eppure, se si guarda con attenzione, il partito conservatore Diritto e Giustizia (PiS) ha sempre riscosso importanti successi anche nelle grandi città e tra i giovani. Ci soccorre allora Armin Schäfer, autore di Die demokratische Regression (2021), il quale mostra come non ci sia una polarizzazione tra giovani e anziani, tra centro e periferia, nei paesi dove il populismo di destra ha successo, e che le fasce giovani della società siano invece quelle più attratte dal populismo autoritario, che riscuote successi tanto nelle aree metropolitane quanto in quelle rurali.

Qual è dunque la natura di questo populismo autoritario e quali siano le ragioni del suo successo? E, tornando al caso polacco, perché questo modello politico è infine uscito sconfitto dalle elezioni? Capirlo può aiutarci a comprendere, o quantomeno immaginare, la parabola del conservatorismo radicale in Occidente. Le basi teoriche del populismo autoritario e della rivoluzione conservatrice le ha chiarite Zeev Sternhell, storico israeliano di origine polacca, nel celebre volume The Anti-Enlightenment Tradition (2009) che ha insistito sul ruolo delle radici anti-illuministiche del pensiero neoconservatore contemporaneo la cui cultura politica enfatizza immagini e pregiudizi propri del filone del comunitarismo anti-universalista. Secondo Sternhell la base di consenso dell’autoritarismo populista è da ricercarsi in una classe media che, pur non ostile a programmi di welfare, non vuole che il denaro pubblico venga destinato al sostegno di altri gruppi considerati parassitari, i migranti soprattutto.

Diritto e Giustizia (PiS) ha mantenuto il potere negli ultimi otto anni grazie a una piattaforma politica fatta di lotta all’immigrazione, difesa dei valori cattolici e redistribuzione della ricchezza. Quest’ultimo aspetto colloca il PiS in una posizione piuttosto insolita rispetto alla tradizionale dicotomia tra destra e sinistra. Effettivamente le politiche redistributive del governo hanno ridotto il tasso di povertà tanto che la Polonia è tra i paesi europei a più basso rischio di esclusione sociale (15,9%) preceduta solo da Slovenia e Repubblica Ceca. Il numero di persone a rischio povertà è sceso del 6,5% da quando il PiS è al potere. Si tratta di numeri portentosi se li paragoniamo all’Italia, dove il 24% della popolazione è a rischio di esclusione sociale, o all’Europa, che nel suo insieme ha registrato un calo di appena il 2,5% dal 2015 ad oggi. Insomma, il PiS ha realmente trasformato la vita di molti polacchi, riducendo la povertà e dando un senso di dignità a coloro che vivevano in piccole città e villaggi precedentemente trascurati, ma anche nelle periferie dimenticate delle grandi città. E allora perché ha perso?

A queste politiche economiche progressiste si sono però affiancate politiche culturali reazionarie che, nel tempo, hanno eroso il consenso verso il partito: la criminalizzazione dell’immigrazione, il ruolo della Chiesa cattolica nella società, il divieto totale d’aborto, la discriminazione delle persone LGBT, hanno spinto la società a pretendere maggiori libertà individuali e maggiori diritti civili. Infine, le riforme del sistema giudiziario promosse dal PiS – che hanno assoggettato la magistratura al governo, limitandone l’indipendenza – hanno messo a repentaglio lo Stato di diritto e la qualità della democrazia, mostrando il vero volto della rivoluzione conservatrice della destra polacca, innegabilmente attratta dall’autoritarismo: la penetrazione del partito nelle istituzioni culturali, il revisionismo storico, le riforme del sistema scolastico, il controllo dei media pubblici, erano funzionali a garantirsi una presa ideologica duratura sulla società. La società ha però reagito, sia attraverso imponenti manifestazioni di piazza (pensiamo alla battaglia delle donne polacche contro le restrizioni al diritto d’aborto), sia con sotterranei dissensi (il rifiuto della religione cattolica a scuola).

In generale, la società polacca si è andata lentamente ma inesorabilmente liberalizzando proprio in virtù delle politiche culturali reazionarie del governo. I partiti di opposizione, pur con ritardo, hanno saputo farsi interpreti di questo nuovo modo di sentire, e hanno sfidato il governo anche sul terreno delle politiche economiche, aprendo a progetti di welfare più ambiziosi. Soprattutto, la società ha rifiutato quel “sovrano egoismo” su cui si fondava la weltanschauung del PiS, chiedendo invece maggiore inclusività. C’è stata quindi una “controreazione culturale”? La rivoluzione conservatrice è andata a sbattere contro le stesse proprie tendenze autoritarie?

L’impressione è che un modello sociale e culturale che si discosti eccessivamente dai valori illuministici (valori che, anche inconsapevolmente, sembrano sussistere irrimediabilmente nel sentire europeo) vengano infine rifiutati anche a fronte del successo economico. Ovviamente, deve esserci un’alternativa credibile. La Polonia rimane un paese relativamente conservatore, in cui la religione è ancora importante, ma il ritorno alla moderazione rappresentato dalla vittoria delle opposizioni alle ultime elezioni parlamentari può essere un monito per tutte le destre radicali europee: se si perde il sostegno dei moderati, se si spinge troppo a destra, se si toccano le libertà individuali, finisci sconfitto alle urne. Ed è una buona notizia, a ben vedere. Forse, ancora una volta, la Polonia indica la direzione dei destini europei. C’è luce in fondo al tunnel, malgrado tutto?

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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