Belgrado nucleare

SERBIA: Quella volta che a Belgrado ci fu un incidente nucleare

Fu l’odore dell’ozono a dare il segnale, un odore acre, quello del fieno appena tagliato; un odore che per chi era del mestiere indicava inequivocabilmente che qualcosa era andato storto, irrimediabilmente storto.

Quello fu l’inizio della storia, una storia che meno di un mese dopo avrebbe portato un giovane chirurgo francese, Georges Mathé, a operare il primo trapianto di midollo osseo mai realizzato sull’uomo, una pietra miliare della medicina e delle cure oncologiche in genere. Era l’11 novembre del 1958, a Parigi, sessantacinque anni fa giusti, e dall’altra parte del bisturi c’era Radojko Maksić, serbo, nel pieno dei suoi vent’anni.

L’incidente

Il 15 ottobre, Maksić era intento a lavorare con altri cinque ricercatori dentro a uno dei reattori alimentati a uranio arricchito dell’Istituto nucleare di Vinča, periferia est di Belgrado. Tutti giovanissimi, due addirittura impegnati nella preparazione della propria tesi di laurea in fisica. L’impianto era nuovo di zecca, i due rettori che lo componevano erano un regalo dell’Unione Sovietica a un paese, la Jugoslavia, che all’epoca dei fatti era all’avanguardia nella ricerca nucleare, scienza che oltre al peccato aveva conosciuto in quegli anni uno straordinario sviluppo.

I fisici dovevano fare solo delle misurazioni sperimentali ma innescarono accidentalmente una reazione a catena incontrollata: passarono dieci minuti, poi quell’odore, il segnale. E’ un attimo, Života Vranić, uno degli scienziati, sale sul reattore – sapendo cosa questo significhi – armeggia disperatamente, ferma la reazione ed evita la catastrofe.

Vranić morirà cinque giorni dopo, nel suo corpo una carica radioattiva di 433 rem, quella tollerata dall’uomo è di 0,5 rem, l’equivalente di venticinque lastre toraciche. A suo nome è oggi dedicato un premio annuale conferito al miglior studente in fisica del paese. Tutti sono portati a Parigi con un aereo speciale, raggiungono l’Istituto Curie, a due passi dal Pantheon, perché anche i simboli hanno la loro importanza e stanno laddove devono stare.

Maksić è il primo a essere sottoposto a trapianto di midollo, poi tutti gli altri. I donatori sono persone comuni, rischiano sapendo di rischiare: c’è il meccanico d’auto, la casalinga con quattro figli, l’impiegato spagnolo che in Francia ha trovato ciò che cercava e s’è sposato. Ci vorranno quattro mesi di cure ma tutti sopravvivono, torneranno a Belgrado in treno, faranno una vita normale, la donna del gruppo, Rosanda Dangubić, avrà dei figli.

Georges Mathé rimarrà amico della Jugoslavia e della Serbia per tutta la vita e nel 1981 è eletto membro straniero dell’Accademia serba delle scienze e delle arti sfiorando la vittoria al Nobel per la medicina. Si recherà in Serbia anche nel periodo delle sanzioni internazionali per offrire il suo supporto gratuito presso la clinica Bežanijska kosa di Belgrado.

L’oblio, le bombe e le scorie

La ricerca nucleare era agli inizi, non c’erano sistemi o blocchi automatici, affidare un reattore nucleare in mano a dei ragazzi fu una leggerezza imperdonabile e dimostra, a margine, quanto il tentativo di predominio su questa nuova scienza avesse portato a derogare sulla sicurezza.

La logica, d’altra parte, era quella dei blocchi contrapposti e solo una manciata di anni prima gli Stati Uniti avevano dimostrato al mondo la potenza devastante delle nuove bombe. La stessa logica che ha fatto sì che la vicenda fosse insabbiata rimanendo ignota per decenni, fin quando fu raccontata in un articolo pubblicato dallo stesso Istituto Vinča. Era il 1997, la Jugoslavia non c’era più, la Serbia era nel pieno delle guerre di fine secolo e Belgrado si apprestava a ricevere le bombe della NATO; bombe che, secondo la stampa locale dell’epoca, provocarono danni collaterali anche all’Istituto Vinča.

Voci mai confermate, mentre quel che è certo è che nei sotterranei dell’istituto sono stati conservati per anni i resti dei proiettili all’uranio impoverito raccolti in tutti i Balcani, lascito della follia di quel periodo. Saranno rimossi solo a partire dal 2002, quando seimila di quei proiettili furono ricollocati in un sito apposito con un’operazione descritta come “preventiva contro la minaccia del terrorismo nucleare” e per la quale ci sono voluti milleduecento soldati e il supporto tecnico del Dipartimento di Stato e dell’Energia degli Stati Uniti, del Ministero dell’Energia Atomica russo e dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. Nel 2011, le ultime due tonnellate di uranio che costituivano il combustibile dei reattori sono state “rimpatriate” in Russia con la più grande spedizione singola di combustibile nucleare mai effettuata al mondo, chiudendo così un cerchio lungo oltre mezzo secolo.

Radojko Maksić è morto nel 2021, sessantatré anni dopo l’incidente. E’ l’epilogo di una storia di amicizia tra persone, tra popoli; e di muri che si abbattono con la solidarietà ancor prima che con le picconate, in un mondo forse meno diviso di quanto non si volesse far credere. E’ una storia così, questa, bella così.

Foto: l’Istituto Curie a Parigi, foto Pietro Aleotti

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato in Kazakhstan. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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