La campagna elettorale del partito di governo polacco PiS (Diritto e Giustizia), in cerca di un terzo mandato, si fa ancora più complicata. Alla questione ucraina, alle difficoltà economiche e alla crescita sempre maggiore dell’estrema destra di Konfederacja, si aggiunge quello che i media hanno ribattezzato lo scandalo dei visti (Afera wizowa).
Le accuse
A scoperchiare il vaso di Pandora è stato il leader del principale partito d’opposizione, Piattaforma Civica (PO), Donald Tusk. Il ministero degli esteri – ha detto l’ex premier – sarebbe stato complice di un sistema di corruzione che prevedeva il pagamento di circa 5.000 dollari a società intermediarie in cambio di controlli meno stringenti e di una notevole riduzione dei tempi di attesa, permettendo insomma di “saltare la fila”.
Le accuse, per ora senza riscontri, sono corroborate da alcuni eventi quantomeno sospetti: innanzitutto il licenziamento in tronco del viceministro degli esteri Piotr Wawrzyk, che sovrintendeva, tra le altre cose, al sistema dei visti. Il primo ministro Morawiecki aveva motivato la sua rimozione con una non meglio precisata “insoddisfazione” riguardo al lavoro svolto. Ulteriori ombre circondano poi il tentato suicidio del viceministro, ora ricoverato.
Di certo, numeri e dati non stanno dalla parte del partito di governo Diritto e Giustizia (PiS), che dopo un primo tentativo di negare lo scandalo si è trovato ad ammetterne l’esistenza, ma sminuendolo – il ministro della giustizia Ziobro parla di 268 casi sotto esame, a fronte degli oltre 250.000 citati dall’opposizione.
Secondo dati Eurostat, la Polonia ha emesso, per il triennio 2019-2021, 2.289.808 primi permessi di residenza, forniti a persone che provengono da un paese extra-Schengen per la prima volta. L’osservazione di Diritto e Giustizia secondo cui i numeri sarebbero giustificati dalla presenza di rifugiati ucraini può essere valida soltanto per l’anno 2022. Per tutti e tre gli anni in considerazione, la Polonia risulta sempre prima in Europa per numero di primi permessi emessi.
Le indagini
Non c’è chiarezza nemmeno sull’inizio delle indagini che, come detto da Daniel Lerman, procuratore generale, sarebbero iniziate a marzo 2023 su indicazione del CBA (Centralne Biuro Antikorupcyjne, l’agenzia anticorruzione polacca), che le aveva a sua volta iniziate nel luglio 2022.
Secondo quanto riferito da fonti interne di varie ambasciate polacche ad alcune testate giornalistiche, però, le indagini sarebbero partito soltanto a seguito della segnalazione di omologhi servizi segreti esteri e in particolare americani. Ad oggi sette sono le persone indagate, di cui tre si trovano già in carcere.
Pur tralasciando ulteriori dichiarazioni riportate dalle testate polacche Onet e Radio Zet, che non sono ad oggi riscontrabili (come il pittoresco viaggio di persone migranti dall’India alla Polonia e poi in America fingendosi una troupe di Bollywood, o alcuni stand davanti ad un’ambasciata africana dove si sarebbero venduti visti già timbrati), bisognerebbe soffermarsi anche sulla geografia di questi avvenimenti.
La principale società intermediaria su cui si sono soffermate le indagini sembrerebbe essere VFS Global, con sede a Dubai. I consolati maggiormente interessati sarebbero stati quelli di Hong Kong, Taiwan, Emirati Arabi, Arabia Saudita, Filippine, Qatar e Singapore – sebbene questa sia la lista fornita da Lerman, e nulla escluda il coinvolgimento di altri paesi.
Infine, come segnalato dal deputato Michał Szczerba (Coalizione Civica), molti visti per la Polonia sono stati emessi in Bielorussia a cittadini di 65 paesi diversi (dal 2020). Il documento citato dal politico è stato ricevuto direttamente dal ministero degli esteri ed elenca, oltre ai numeri, anche le società intermediarie incaricate: due di queste, i cui contratti riportano la data del 10/07/2020 e del 22/06/2021, hanno sede a Mosca.
Politiche fallimentari
Al di là del peso politico che l’affaire potrebbe avere sulle elezioni ormai prossime (magari favorendo l’estrema destra di Konfederacja), la vicenda rimane esempio plastico del fallimento delle politiche migratorie della destra europea, che vorrebbe fornire risposte semplici ad un problema ben più complesso. Che si tratti della costruzione di un muro, del respingimento in mare o del nostrano blocco navale, la narrazione populista che parla alla pancia dell’elettore non è in grado di sviluppare un discorso articolato per un fenomeno articolato, riducendosi così a pessime figuracce.
Foto: Piotr Wawrzyk, Gazeta Wyborcza