Prigožin

RUSSIA: La ribellione abortita di Prigozin, ma Putin non è intoccabile

Che potesse essere una messinscena l’avevamo pensato, eppure alcune linee rosse erano state varcate. La ribellione dei mercenari della Wagner, l’occupazione di Rostov sul Don, il presidente Putin che li accusa di tradimento, un elicottero dell’esercito russo abbattuto a Voronezh, la marcia su Mosca del convoglio militare “wagneriano”, le barricate nella capitale, le ruspe mandate a scavare solchi nell’autostrada all’altezza di Ryazan per fermarne l’avanzata, la Guardia Nazionale che si fortifica lungo il fiume Oka. E poi? Niente, avevamo scherzato: “Volevano sciogliere il Gruppo Wagner – ha dichiarato Prigožin,  il leader della Wagner – e il 23 giugno siamo partiti per la nostra “marcia della giustizia”. Nell’arco di ventiquattr’ore siamo arrivati ​​a meno di duecento chilometri da Mosca e non una sola goccia del sangue dei nostri combattenti è stata versata. Ora però siamo al punto in cui è possibile spargere sangue russo da entrambe le parti e per questo stiamo tornando indietro, girando le nostre colonne nella direzione opposta, verso le nostre basi”.

Qualcosa dev’essere accaduto. L’accordo, cercato nei giorni scorsi, è infine stato raggiunto. Ma i contenuti di questo accordo non ci sono noti. A fare da mediatore sarebbe stato il presidente bielorusso Lukashenko, tuttavia appare poco plausibile che un vecchio malfermo e privo di qualsiasi autorità possa negoziare alcunché. Si dice che Prigožin avrebbe ottenuto un salvacondotto per la Bielorussia, ma non è un posto dove scappare. Non c’è un posto dove scappare quando si è nemici del Cremlino. Resta da capire quali saranno le mosse del Cremlino nei confronti di Shoigu e Gerasimov la cui defenestrazione potrebbe essere parte dell’accordo. Un accordo siglato da un Putin in posizione di debolezza, consapevole di non poter altrimenti fermare l’avanzata della Wagner. Tanto consapevole da aver lasciato Mosca in direzione della più sicura San Pietroburgo. Intanto la tregua sul fronte ucraino, probabilmente dovuta alla sedizione – non è peregrino immaginare che gli ucraini qualcosa sapessero – è cessata mentre mancano proprio le truppe della Wagner, che stanno smobilitando da Rostov sul Don in direzione delle proprie basi.

Prigožin ha però mostrato che Putin non è intoccabile. Questa prima crepa all’interno del potere russo può essere nulla, solo uno scossone, oppure il segno di un cedimento strutturale. Trovare un compromesso – se non con Prigožin, almeno con i mercenari – era tuttavia necessario, l’abbiamo detto. Non ci si poteva permettere uno scontro tra russi, né si potevano sacrificare i migliori uomini di cui il regime dispone. Uomini che la gente osanna, che applaudiva al loro passare lungo le strade di Rostov sul Don e che sono un mito per gli stessi soldati russi.

In questa pagliacciata sembrano tutti perdenti, Prigožin non è l’unico a fare una figura poco decorosa. I comandi militari ne escono umiliati, e il presidente Putin – che aveva gridato al tradimento – ha dovuto trovare un accomodamento mostrando, una volta di più, che can che abbaia non morde. Un esercito così frammentato può essere usato contro di lui. Prenderanno nota gli altri nemici interni.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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