Alberto Basciani

Gli italiani in Albania, 1939-1943. Un dialogo con Alberto Basciani

Alberto Basciani parla a Trento del suo libro, “L’impero nei Balcani. L’occupazione italiana dell’Albania, 1939-1943”. Un volume che chiarisce i contorni di una vicenda che segnò profondamente la società albanese…

Ai primi di aprile del 1939 le truppe italiane occuparono l’Albania, e nelle settimane e nei mesi successivi una serie di passaggi politici e amministrativi chiarirono la natura dell’unione italo-albanese. Il Paese adriatico restava formalmente indipendente e venne unito all’Italia attraverso la corona del regno che il 16 aprile fu offerta a Vittorio Emanuele III. A Tirana fu formato un governo formalmente autonomo, di fatto il vero organo di potere era rappresentato dalla Luogotenenza del Regno organo di potere esecutivo albanese ma, allo stesso tempo, strumento dell’esecutivo italiano dipendente dal ministero degli Affari Esteri. Di fatto l’Albania cessava di essere uno Stato indipendente e sovrano e veniva pienamente inglobata nell’impero fascista italiano. La creazione di un ulteriore organo, il Sottosegretariato per gli Affari Albanesi dipendente anch’esso dal Ministero degli Affari Esteri e la fondazione del Partito Fascista Albanese – unico caso di un partito fascista creato in un territorio extra-italiano occupato negli anni del fascismo e del tutto ricalcato sul modello del PNF, completavano l’architettura di dominio italiano sul Paese adriatico.

Il recente lavoro di Alberto Basciani, “L’impero nei Balcani. L’occupazione italiana dell’Albania, 1939-1943, chiarisce come la conquista italiana dell’Albania non fu un’azione estemporanea dovuta all’ambizione di qualche gerarca quanto piuttosto il risultato finale di un lungo accerchiamento politico, economico e culturale. Una volta sottomessa l’Albania doveva diventare non solo parte integrante della comunità imperiale fascista ma anche centro di irradiazione della politica di potenza fascista nell’Europa balcanica e danubiana e del futuro controllo di Roma dell’intero bacino adriatico rafforzando la proiezione italiana sul Mediterraneo orientale. L’Italia sbarcò in forze sulla sponda adriatica orientale e arrivò per restarvi. Lo dimostrano non solo lo spiegamento di forze armate e di polizia con cui venne prima occupato e poi presidiato capillarmente il territorio albanese ma anche l’avvio di un enorme e ambizioso programma di lavori pubblici destinato a cambiare il tessuto urbano di Tirana e a estendere nel resto del Paese una prima moderna rete di infrastrutture. Alcuni dei più importanti architetti italiani di quel periodo (Gherardo Bosio tra tutti, per esempio) lavorarono intensamente in Albania e forgiarono la nuova Tirana.

Consistenti furono i reparti militari e di carabinieri destinati a controllare in maniera ferrea il territorio albanese, accanto a militari e alle forze dell’ordine fu istituito un tribunale speciale direttamente controllato dalla Luogotenenza che dal 1939 al 1943 inviò al confino in remote località italiane (nelle province di Avellino, Rieti, L’Aquila, Campobasso, a Ponza, Ventotene, Lipari ecc.) migliaia di cittadini albanesi anche solo sospettati di nutrire sentimenti antitaliani, mentre molti altri per lo stesso motivo furono espulsi dai luoghi di lavoro o espropriati dei rispettivi beni.

L’arma della delazione e della denuncia incoraggiate dalle ricompense in danaro e l’assegnazione di cariche e/o lavori furono usate in maniera massiccia dalle autorità italiane per dividere e creare fratture tra la popolazione locale. La propaganda fascista aveva presentato l’occupazione come un’operazione necessaria per mettere fine al regime di re Zog dominato dalla sopraffazione, dall’arbitrio e dall’arretratezza e come un’occasione propizia per liberale le energie migliori del Paese e far entrare la società sqipetara finalmente nella modernità. Tuttavia gran parte delle promesse restarono inevase, solo una piccola élite di bey e politici riuscì a migliorare la propria situazione sociale ed economica. Non c’è dubbio che all’indomani della conquista i gangli vitali della vita pubblica ed economica dell’Albania furono occupati quasi esclusivamente da italiani, agli albanesi furono riservati solo posti di secondaria importanza sia nell’amministrazione civile che nelle forze armate.

L’annessione rappresentò una sorta di bomba sull’arretrata società albanese e questo lavoro di Basciani mette in luce come una collettività quale quella sqipetara, arretrata, clanica, conservatrice e a maggioranza di religione musulmana, visse l’esperienza della dominazione italiana e del contatto con una massiccia immigrazione di funzionari, lavoratori, soldati, forze di polizia (in totale, senza contare gli appartenenti alle forze armate, si stabilirono in Albania circa 20mila italiani) che nel volgere di pochi mesi portarono in un contesto sociale ed economico arcaico nuovi costumi, tradizioni e comportamenti anche nella vita quotidiana. L’avvio dei cantieri necessari a realizzare le infrastrutture, l’apertura di nuove imprese commerciali, l’aumento dei traffici, l’avvio di una più estesa struttura burocratica e amministrativa determinarono, per esempio, una grande circolazione di denaro, nuove opportunità di lavoro e di promozione sociale ma, allo stesso tempo, rappresentarono anche una sfida alla mentalità e ai costumi della popolazione e determinarono processi inflattivi che peggiorarono in molti casi il livello di vita generale degli albanesi. Vale la pena dunque chiedersi quali furono i risultati effettivi, quali furono le percezioni degli albanesi, e come e con quali risultati gli albanesi furono integrati nei ranghi dell’esercito, della burocrazia, delle forze di polizia italiane.

La guerra di Grecia segnò uno spartiacque nell’avventura albanese. La pessima prova bellica offerta dall’Italia rivelò anche agli albanesi i grossi limiti della potenza fascista e contribuì a innescare un movimento di resistenza che si ramificò sia tra gli studenti che tra le classi più umili e che gradualmente costrinse gli italiani a impiegare consistenti forze per cercare di tenere sotto controllo un territorio sempre più ostile. Dopo la primavera del 1941 neppure la creazione della Grande Albania con l’unione al regno del Kosovo e del Dibrano contribuì a cambiare troppo la situazione che anzi non fece altro che peggiorare. L’Albania divenne suo malgrado uno specchio dei limiti della forza dell’imperialismo fascista italiano e dei pregiudizi razzisti che, al di là dei proclami, definivano l’agire del regime nei confronti dei popoli europei orientali vicini tanto albanesi che slavi.

Il lavoro di Basciani è il frutto di un profondo scavo archivistico condotto su un gran numero di archivi italiani e due stage di ricerca effettuati presso l’Archivio Nazionale d’Albania a Tirana. In Italia sono state esaminate le carte della Luogotenenza del Regno e del Sottosegretariato degli Affari Albanesi presso l’archivio del ministero degli Affari Esteri. Carte di polizia, del MinculPop, della Segreteria particolare del Duce, della Casa Reale ecc. sono state consultate presso l’Archivio Centrale dello Stato e sempre a Roma sono state studiate le carte di molti archivi, tra i quali gli Archivi Storici dei Carabinieri, della Banca d’Italia, dell’Accademia d’Italia, dello Stato Maggiore dell’esercito.

La Biblioteca Archivio del CSSEO organizza a Trento, nella Sala degli affreschi della Biblioteca comunale (Via Roma 55), mercoledì 29 marzo 2023, alle ore 17,30, l’incontro-dibattito “Oltre Adriatico. Gli italiani in Albania, 1939-1943”. Marco Mondini e Stefano Petrungaro discutono con Alberto Basciani, autore de “L’impero nei Balcani. L’occupazione italiana dell’Albania, 1939-1943” (Viella). L’incontro-dibattito può anche essere seguito on-line sulla piattaforma Zoom al seguente link: https://us02web.zoom.us/j/84797055315 

Alberto Basciani è professore ordinario di Storia dell’Europa orientale presso l’Università Roma Tre dove dirige il Centro interdipartimentale di ricerca sull’Europa orientale, la Russia e l’Eurasia. Si occupa prevalentemente di storia politica e di modernizzazione dei paesi balcanici negli anni tra le due guerre mondiali. Le sue due ultime monografie sono “Italia e Balcani. Storia di una prossimità” (con Egidio Ivetic, Il Mulino, 2021) e “L’Illusione della modernità. Il Sud-est dell’Europa tra le due guerre mondiali” (Rubbettino, 2016).

Marco Mondini insegna History of conflicts al Dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali dell’Università di Padova ed è ricercatore associato all’UMR Sirice (CNRS – Paris Sorbonne). Dopo aver studiato alla Scuola Normale Superiore di Pisa, ha collaborato con l’ENS di Parigi, l’università di Lille 3 “Charles de Gaulle”, l’università di Paris Diderot e l’Istituto Storico Italo Germanico di Trento, dove ha diretto l’unità di ricerca “La prima guerra mondiale”.

Stefano Petrungaro è uno storico dell’Europa Orientale in epoca contemporanea e insegna presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Membro associato presso il CETOBaC – Centre d’Études Turques, Ottomanes, Balkaniques et Centrasiatiques (EHESS, CNR, Collège de France), Parigi, e Research Fellow presso il Leibniz-Institut für Ost- und Südosteuropaforschung di Ratisbona, dove è stato Senior Researcher

Foto: Wikicommons

Chi è Fernando Orlandi

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