Russia Dio guerra

La Russia, Dio e la guerra

In Russia, Dio e guerra sono strettamente legati da secoli, e la religione è uno strumento di potere nella mani del Cremlino, la fede una maschera dell’imperialismo russo…

di Lorenzo Ferrazzano

I russi lo ripetono da secoli: tutto è nato a Kiev. Ma non solo. È la Crimea la culla della loro civiltà. È a Chersoneso, vicino Sebastopoli, che secondo le Cronache di Nestore si è compiuto il miracolo della trasformazione: il battesimo della Rus’, la conversione di Vladimir che nell’anno 988 segnò un sentiero di civiltà per gli slavi orientali che oggi si chiamano russi, ucraini e bielorussi, ora in guerra tra loro. Ucraina: un’origine che a Mosca rimarcano da secoli e che è stata ricordata negli ultimi anni e nelle ultime ore. Due giorni dopo il referendum sull’autodeterminazione della Crimea, il 16 marzo 2014, in modo da giustificare l’annessione, Putin disse: «Tutto in Crimea parla della nostra storia condivisa e del nostro orgoglio. Questo è il luogo dell’antica Chersoneso, dove il principe Vladimir venne battezzato. La sua opera spirituale di adottare l’Ortodossia ha determinato le basi complessive della cultura, della civiltà e dei valori umani che uniscono i popoli di Russia, Ucraina e Bielorussia».

Parole che, in quel momento di tensione, hanno gettato Dio tra le crepe di una crisi, quasi ad approfondire la faglia piuttosto che a ripararla. Una visione “grande russa”, questa, riproposta all’indomani dell’invasione dell’Ucraina dal fondamentale alleato spirituale del presidente russo, il patriarca di Mosca Kirill, la cui visione religiosa è da sempre perfettamente sovrapposta alla ragion di stato russa: «Che il Signore custodisca la Terra russa. Quando dico “russa”, adopero l’antica espressione dalla “Cronaca degli anni passati”: “Donde è cominciata la Terra russa”. La terra di cui fanno parte la Russia, l’Ucraina e la Bielorussia, e anche altri popoli ed etnie. […] E chiedo a tutti voi di pregare in chiesa e a casa […] per i nostri fratelli e sorelle in Ucraina e per la pace».

Durante il giorno del perdono, Kirill ha poi collocato l’invasione sul solco della «soppressione» e dello «sterminio» della popolazione del Donbass, ricordando ai fedeli che «il perdono senza giustizia è capitolazione e debolezza» e invitandoli a restare «dalla parte della luce, della verità di Dio e dei comandamenti divini»: dalla parte di Putin. Fa parte, tutto questo, della dimensione religiosa della guerra. Uno spazio profondo che si articola secondo intrecci indissolubili tra fede e mito, nazionalismo e preghiera, manipolazione e teologia. Una confusione che si fa pericolosa quando le autorità utilizzano simbologie storiche e religiose in tempi di guerra. I risultati di queste forzature li abbiamo visti, non troppo tempo fa, seppur con tutte le differenze, in Jugoslavia e in Kosovo.

Non è possibile comprendere la Russia senza la religione ortodossa. Ha ragione Putin, seppur nelle sue volute mistificazioni storiche, a considerare il battesimo della Rus’ come momento d’inizio della civiltà russa. Per un millennio il cristianesimo, molto più che l’Islam – la seconda religione del Paese -, ha scandito tempo e spazio della vita dei russi, definendo nel bene e nel male la grammatica dell’autorità imperiale, dove religione e potere erano parte della stessa simbologia zarista. Ivan il Terribile fu profondamente influenzato da Macario, il metropolita di Mosca, che incoraggiò lo zar a costruire uno Stato cristiano. Pietro il Grande impose un controllo assoluto dello Stato sulla Chiesa, per splendere più dei templi: gli uomini al di sotto dei trent’anni non potevano far parte del clero e i sacerdoti erano obbligati a celebrare la grandezza dello zar. Nicola I, profondamente religioso, rovesciò le gerarchie di grandezza terrena e divina imposte da Pietro il Grande, convinto che «lo Stato deve servire Dio, non Dio lo Stato».[1]

Per secoli l’Ortodossia è stata la religione dominante in Russia. Le cose sono cominciate a cambiare agli inizi del ventesimo secolo, con la Rivoluzione bolscevica e l’imposizione dell’ateismo di Stato come parte dell’ideologia comunista. In pochi decenni, attraverso l’uso della forza e di una pressante propaganda, le autorità sovietiche sostituirono Dio con il Partito e Cristo con Lenin. Un fenomeno di trasformazione religiosa che gli studiosi hanno definito la “Chiesa dell’ateismo scientifico”.[2]

Dopo il collasso del comunismo, la Russia ha vissuto una nuova ondata di appartenenza religiosa. Eppure, come dimostra il Pew Research Center, nonostante le percentuali dei russi che si identificano con la religione ortodossa siano cresciute significativamente dal crollo dell’URSS, i numeri sulla partecipazione alle cerimonie religiose è rimasto incredibilmente basso: 1% nel 1991 e 3% nel 2008, senza sostanziali differenze tra uomini e donne. Ciò che è cambiato è il rapporto tra Stato e Chiesa, ritornato ad una condizione di assoluto privilegio, anche rispetto alle altre confessioni (Islam, Buddismo, Ebraismo) riconosciute come “tradizionali” secondo la Legge sulla Libertà di Coscienza e Associazione Religiosa firmata da Boris El’cin nel 1997.

Nonostante le garanzie sulla separazione tra Stato e Chiesa, le gerarchie ortodosse sono riuscite a riconquistarsi un notevole spazio di influenza sul governo, provocando di fatto – secondo una precisa strategia di comunicazione morale e spirituale -, una ri-sacralizzazione del discorso politico e della vita pubblica. Una svolta, questa, che ha spinto gli studiosi a chiedersi se non si sia verificato nella Russia post-sovietica il contrario di ciò che era successo sotto l’Urss: una de-secolarizzazione dall’alto al posto della secolarizzazione forzata di stampo comunista. Putin, come è noto, è allo stesso tempo interprete e vettore di questa trasformazione spirituale dello spazio pubblico.

Eppure i confini della Federazione non corrispondono più a quelli della geografia religiosa ortodossa. E qui c’entra l’Ucraina, la “culla della civiltà russa”, sul cui suolo si trovano siti religiosi verso cui il patriarcato di Mosca ritiene di poter estendere la sua giurisdizione. Una posizione che genera conflitti con le autorità ortodosse ucraine, mai stanche di ripetere che l’Ucraina è uno stato indipendente dal 1991, e come tale ha diritto ad amministrare ciò che si trova all’interno delle sue frontiere. Secondo alcuni analisti, questa idea – seppur radicata nella rappresentazione che la Russia ha di sé stessa – è fondamentalmente una maschera del neo-imperialismo di Vladimir Putin: l’assunto che la Crimea sia la culla della civiltà russa ha offerto una legittimazione religiosa e spirituale all’annessione della Crimea del 2015. Mescolare Dio e potere: uno scenario che si ripete in questi giorni, quando Kirill, davanti ad un Paese incerto e spaventato per la mobilitazione, dal suo pulpito dice: «Vai coraggiosamente a compiere il tuo dovere militare. E ricorda che se muori per il tuo Paese, sarai con Dio nel suo regno, gloria e vita eterna».

[1] Mara Kozelsky (2014), “Religion and the crisis in Ukraine”, International journal for the Study of the Christian Church, 14:3, 219-241, DOI: 10.1080/1474225X.2014.957635, p. 223

[2] Paul Froese (2004), “Forced Secularization in Soviet Russia: Why an Atheistic Monopoly Failed”, Journal for the Scientific Study of Religion 43:1 (2004) 35–50

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