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Le ambiguità del Vaticano sulla guerra in Ucraina

Il Papa ha dichiarato “lecito e morale” l’invio di armi all’Ucraina ma la posizione del Vaticano sulla guerra resta ambigua anche alla luce dei precedenti rapporti col Cremlino

L’invio di armi “lecito e morale”

Papa Bergoglio, sul volo di ritorno dal suo viaggio in Kazakhstan, ha dichiarato ai giornalisti che che l’invio di armi all’Ucraina è un atto morale se la motivazione è morale. Ovvero, inviare armi per provocare una guerra è “immorale”, ha detto il pontefice, ma se si tratta di difendersi allora è lecito: “La motivazione è quella che in gran parte qualifica la moralità di questo atto – ha detto Bergoglio – Difendersi è non solo lecito, ma anche una espressione di amore alla Patria. Chi non si difende, chi non difende qualcosa, non la ama, invece chi difende, ama”. Una dichiarazione che segna l’ennesima giravolta, l’ennesimo sforzo contorsionistico, di un pontefice che da mesi appare ondivago, quando non ambiguo, rispetto al conflitto che oppone Russia e Ucraina.

Un salto indietro nel tempo

Era intorno alle metà del dicembre 2013 quando Vladimir Vladimirovič Putin varcava la soglia del Vaticano per incontrare il nuovo pontefice, Francesco I, al secolo Jorge Mario Bergoglio. Putin portò allora in dono a Bergoglio l’icona della Madonna di Vladimir, dal potente significato simbolico, poiché fu quella che Stalin fece volare su Mosca durante l’avanzata nazista. Quale fosse il nuovo “nazismo” da combattere lo si sarebbe compreso solo tempo dopo, ma in quelle settimane Kiev era in rivolta per la mancata firma dell’Accordo di Associazione con l’UE che, all’ultimo momento, l’allora presidente Janukovyč aveva deciso di non apporre. Sarebbero poi venute la Rivoluzione di Maidan, l’invasione e annessione della Crimea, la guerra in Donbass. Il Cremlino prese a ripeterlo ossessivamente: ci sono i nazisti a Kiev, occorre combatterli.

Giugno 2015, la Russia sta ancora scontando l’isolamento diplomatico a seguito dell’annessione della Crimea mentre nel Donbass è in corso un conflitto a bassa intensità. Vladimir Putin è di nuovo in Vaticano. L’incontro fu il risultato di un intenso lavoro di riavvicinamento tra Vaticano e Chiesa ortodossa russa, tra papa Bergoglio e il patriarca Kirill. Meno di un anno dopo, nel febbraio 2016, il patriarca Kirill incontrò Bergoglio all’Havana dove firmarono una dichiarazione congiunta in cui, rimarcando i valori tradizionali della Chiesa, si sosteneva e supportava l’intervento russo in Siria e in Ucraina. La dichiarazione esprimeva posizioni tradizionaliste e reazionarie in termini di diritti individuali, libertà sessuale, educazione, e sanciva una santa alleanza tra le due chiese impegnate a combattere la modernità. Kirill, fingendo di accettare il dialogo ecumenico, rafforzava il proprio ruolo di puntello del regime putiniano promuovendo le istanze dell’imperialismo russo. Bergoglio, firmando con Kirill, siglava con Putin un patto per la difesa dei valori cristiani in Europa.

Putin, “un uomo molto saggio”

Nei primi giorni di guerra, il Papa ha espresso prevedibili parole di condanna definendo “chierico di Stato” il patriarca Kirill, ma già nel marzo 2022 monsignor Carlo Maria Viganò, nunzio apostolico della Santa Sede a Washington e diplomatico di carriera, sostenitore di Trump e di alcune tesi complottiste sulla diffusione della pandemia da SARS-CoV2, diffondeva un lungo comunicato in cui sosteneva le tesi della Russia. Lo stesso Bergoglio ha successivamente dichiarato che di fronte alla guerra non si deve distinguere tra buoni e cattivi, perché, a suo dire, il conflitto è provocato dall’espansione a est della NATO, che “abbaia” alle porte della Russia. Il Papa ha poi voluto che durante la tradizionale Via Crucis lungo le strade di Roma, tenutasi il 15 aprile 2022, la croce venisse portata da due donne, una russa e una ucraina, come segno di riconciliazione: una decisione molto criticata poiché sembrava porre sullo stesso piano vittime e carnefici. Il 18 giugno, durante una conversazione con i direttori delle riviste dei gesuiti, Bergoglio ha definito Vladimir Putin “un uomo saggio, che parla poco, davvero molto saggio”. Quindi, secondo Bergoglio, la colpa del conflitto sarebbe della NATO, e Putin un uomo saggio che ripudia la guerra.

Se telefonando

Fin dall’inizio del conflitto il Papa ha instancabilmente chiesto la pace. Tuttavia, alla luce delle precedenti dichiarazioni, la “pace” invocata dal Vaticano è spesso sembrata una richiesta di “resa” all’invasore russo. Certo, più volte Bergoglio ha inviato messaggi di sostegno al popolo ucraino ma le telefonate con il presidente Zelens’kyj sono parse ambigue. In marzo il Papa gli avrebbe detto che capiva la necessità di difendersi del popolo ucraino e avrebbe fatto il possibile per la pace, salvo poi ribadire – attraverso il segretario Parolin – come la “via maestra” fosse il negoziato in quanto occorre cercare “una soluzione onorevole per tutti” riconoscendo quindi dei diritti all’invasore. In agosto una seconda telefonata tra Zelens’kyj e Bergoglio, dai contenuti interlocutori, ribadiva la richiesta di sostegno di Kiev per “trasmettere al mondo la verità sugli atti di orrore commessi dall’aggressore”. Una preghiera, niente di più. Quello intercorso tra Kiev e la Santa Sede è parso non un dialogo, ma un soliloquio.

Tu chiamale se vuoi contraddizioni 

Le recenti dichiarazioni sull’invio “lecito e morale” di armi all’Ucraina confermano la posizione ondivaga del Vaticano, che oscilla tra gli appelli alla pace, il sostegno alla popolazione ucraina e il dialogo con Mosca, mostrando le difficoltà della Santa Sede e del mondo cattolico a interpretare il conflitto. La volontà della Chiesa cattolica di proseguire nel dialogo ecumenico, mantenendo buoni rapporti con il mondo ortodosso, e in particolare con il patriarcato di Mosca, rischia di vanificare quegli stessi appelli alla pace che il pontefice ripete dall’inizio del conflitto. È chiaro che il Vaticano non può sostenere una guerra, quale che sia. Ed è altrettanto evidente lo sforzo di ribadire come nessuna guerra sia “giusta”. Ma i rapporti intercorsi con il presidente russo Vladimir Putin – l’uomo saggio – e con il patriarca moscovita Kirill gettano un’ombra sulla neutralità della Santa Sede che rischia, una volta di più, di trovarsi dalla parte sbagliata della Storia.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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