Parlamento europeo

Per il Parlamento europeo l’Ungheria non è più una democrazia

Con l’approvazione di un report, il Parlamento Europeo definisce l’Ungheria un “regime ibrido di autocrazia elettorale”.

Con 433 voti favorevoli e 123 contrari, il Parlamento europeo ha approvato un documento che definisce l’Ungheria un “regime ibrido di autocrazia elettorale”. Il report, che precede il voto sul blocco ai fondi UE per Budapest, è stato promosso dall’eurodeputata francese Gwendoline Delbos-Corfield dei Verdi.

L’articolo 7

Il confronto a Strasburgo è stato molto duro. Il gruppo dell’estrema destra Identità e Democrazia ha già fatto sapere che presenterà una proposta a favore di Budapest, mentre la sinistra si è duramente scagliata contro la Commissione Europea. “Ci aspettiamo che la Commissione faccia la sua parte. Non state facendo abbastanza. Dovete intervenire”, afferma la svedese Malin Björk. Già nel 2018, infatti, il Parlamento aveva attivato l’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea per determinare l’esistenza di un chiaro rischio di grave violazione dei valori dell’UE in Ungheria. Più che alla Commissione, mossasi di recente per bloccare una parte dei fondi del Recovery Fund (l’Ungheria è attualmente in trattativa per veder sbloccati i soldi del piano di ripresa), le critiche si scagliano contro il Consiglio dell’Unione Europea: rimandare ulteriormente azioni concrete per bloccare i fondi UE corrisponderebbe ad un’infrazione dello Stato di diritto per l’istituzione in questione.

Le accuse

Nel documento approvato dal Parlamento sono elencate le varie infrazioni di cui il governo Orbán sarebbe colpevole. Da subito vengono chiamate in causa le istituzioni del paese, in particolare per quanto riguarda lo stato d’emergenza senza limiti temporali istituito durante la pandemia, nonché processi legislativi e interazioni con lobby poco chiari.

Si passa poi all’ambito giudiziario e alla libertà d’espressione: la separazione tra poteri sarebbe sempre più sottile e il governo avrebbe sempre più potere sulle nomine di posti chiave in ambito giuridico. Risultato: tutti i tentativi di far chiarezza su questioni politiche verrebbero soffocati senza controlli. Il documento contiene infatti una serie di esempi in cui la Corte europea per i diritti dell’uomo ha giudicato illecita l’azione del governo ungherese. È il caso, tra gli altri, della creazione di KESMA (fondazione mastodontica che raccoglie i principali media del paese, molto legata ad Orbán), del divieto di accesso per i media nei centri d’accoglienza profughi o del licenziamento del caporedattore di Index.hu, in passato uno dei principali media d’opposizione.

Secondo il Parlamento, le università ungheresi sarebbero continuamente sotto attacco: viene citata la rimozione dei corsi di Gender studies dalla lista di facoltà accreditabili e finanziabili. Tra gli altri diritti minati, quelli della comunità lgbt ricevono particolare attenzione nel report: il quadro giuridico attorno al recente referendum sull’accesso dei bambini a materiale su questioni di genere e orientamento sessuale sarebbe stato fortemente inadeguato. Seguono diverse pagine che elencano le infrazioni nei confronti di profughi, migranti, comunità rom ed ebrei.

Le reazioni

Tra gli altri, lo spagnolo VOX, il Partito della Libertà Austriaco, il belga Vlaams Belang, nonché Lega e Fratelli d’Italia, hanno accusato il Parlamento di interferire negli affari nazionali. Intervistata, Giorgia Meloni dichiara che, le elezioni svoltesi regolarmente, l’Ungheria può definirsi democratica: una posizione fortamente contraria alla decisione del Parlamento che mette in imbarazzo l’alleato Silvio Berlusconi (Forza Italia è tra le fila del Partito Popolare Europeo). A sostegno di Budapest anche il partito Unione Democratica Magiara di Romania, il fratello transilvano di Fidesz: le accuse sulle politiche antisemite e contro i rom del governo Orbán sarebbero totalmente infondate.

Verdi, liberali, estrema sinistra e socialdemocratici hanno votato quasi esclusivamente a favore del report, mentre il Partito Popolare Europeo (di cui Orbán faceva parte), in maggioranza favorevole al documento, ha espresso qualche voto contrario e diverse astensioni. L’opposizione ungherese di Momentum (liberali) e i socialdemocratici accolgono positivamente il voto, ritenendo che, se gli ungheresi hanno diritto ai fondi UE, questi finiscono sempre nelle tasche del cerchio di Orbán.

Spetta ora a Commissione e Consiglio stabilire in che misura i fondi UE per l’Ungheria debbano essere sospesi. Sappiamo già, però, che Orbán può contare sull’aiuto della Polonia in sede del Consiglio, a maggior ragione perché quest’ultima sa che potrebbe essere la prossima nella lista. Un possibile passo verso la riconciliazione tra Budapest e Varsavia, il cui rapporto è stato fortemente minato dalla guerra in Ucraina?

Foto: dal profilo Facebook di Orbán Viktor

Chi è Gianmarco Bucci

Nato nel 1997 a Pescara, vive a Firenze. Al momento svolge un dottorato in Scienze Politiche e Sociologia alla Scuola Normale Superiore di Pisa sulle coalizioni rosso-brune in Europa centro-orientale. Scrive su East Journal dal dicembre 2021.

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