Visegrad

C’era una volta il gruppo Visegrad, come la guerra ha cambiato l’Europa orientale

C’era una volta il gruppo Visegrad, l’alleanza culturale e politica dei paesi dell’Europa centro-orientale, fondata su interessi comuni – dall’adesione alla NATO all’ingresso nell’UE – e sull’idea di un comune destino. Siglato nel 1991, si tratta di un accordo di cooperazione politica che riunisce Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, che ha favorito lo sviluppo economico della regione, inserendola nella filiera manifatturiera e industriale del mercato unico europeo, soprattutto nel settore dell’automotive, trasformando quei paesi in economie moderne e dinamiche.

Negli ultimi anni, il quartetto di Visegrad ha trovato unità e coesione attorno all’opposizione ad alcune politiche dell’Unione Europea, come la redistribuzione dei migranti e le politiche in materia ambientale, portando avanti riforme illiberali che hanno minato lo stato di diritto, l’indipendenza della giustizia, la libertà di stampa e di espressione. Così i ‘quattro’ sono divenuti il modello per tutte le destre sovraniste europee. Tuttavia l’unità del gruppo Visegrad è sempre stata apparente. E la guerra ha portato alcuni nodi al pettine.

La defezione di Budapest

La guerra in Ucraina ha provocato forti ripercussioni politiche in Europa centrale. La Polonia è fin dall’inizio in prima linea nel sostegno a Kiev. A marzo, il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, insieme agli omologhi sloveno e ceco, si è recato in visita nella capitale ucraina, ancora sotto le bombe, portando una solidarietà molto concreta al presidente Zelens’kyj. In generale, i paesi dell’Europa centro-orientale si sono apertamente schierati a favore dell’Ucraina, rinsaldando la propria appartenenza alla NATO. L’unica defezione – sicuramente la più vistosa – è stata quella di Budapest.

Il premier ungherese, Viktor Orbán, non ha mai nascosto la propria simpatia per il Cremlino. Nei suoi dodici anni di governo è volato a Mosca ben dodici volte, costruendo con la Russia un rapporto di collaborazione che non si è incrinato nemmeno quando Mosca ha cominciato ad accumulare truppe ai confini ucraini, minacciando direttamente Kiev e i suoi alleati occidentali. Ancora il 1° febbraio 2022, poche settimane prima della guerra, Orbán era a Mosca asserendo di trovarsi “in buona compagnia” di fronte “ai tempi difficili” che andavano profilandosi. E mentre la NATO inviava truppe in Europa orientale, il governo ungherese ribadiva che Budapest “non avrebbe aiutato gli ucraini” finché questi “continueranno a perseguitare la minoranza ungherese, privandola dei suoi diritti e minacciandola fisicamente e moralmente”. L’argomento della persecuzione della minoranza magiara, del tutto pretestuoso, è sempre stato l’elemento attorno a cui il governo ha costruito una narrativa tesa a mobilitare l’opinione pubblica magiara a sostegno di Mosca.

Fredde relazioni

All’indomani dell’aggressione russa all’Ucraina, il rapporto della Polonia con l’Ungheria è diventato gelido. In aprile, Jarosław Kaczyński, leader del partito conservatore al governo, ha aspramente criticato Orbán asserendo che “non sarà più possibile cooperare” se l’Ungheria “continuerà nel suo atteggiamento”. Il premier ungherese ha rispedito le accuse al mittente, criticando i governi di Varsavia, Praga e Bratislava per le loro posizioni atlantiste. Questi ultimi, complice la guerra, hanno nel frattempo stretto ulteriormente i rapporti, superando le dispute legate alla miniera di carbone di Turow, e immaginando progetti energetici comuni.

Sogni di grandezza polacchi

Soprattutto, il governo conservatore polacco sembra aver messo da parte, almeno per il momento, le retoriche anti-europeiste al fine di costruire una più solida intesa antirussa con i paesi della regione, baltici compresi. Il gruppo Visegrad rischia quindi di cambiare forma un’altra volta diventando uno strumento di politica estera, e di potenza, per la Polonia, tesa ad affermarsi come paese guida della regione. Ora è un ottimo momento per Varsavia per convincere Praga e Bratislava, ad esempio, dei meriti di un maggiore coinvolgimento nel progetto Tre Mari, soprattutto perché gli Stati Uniti a giugno hanno dichiarato un ulteriore sostegno finanziario all’iniziativa. Si tratta di un progetto che intende rafforzare la cooperazione economica, le infrastrutture energetiche e logistiche, la collaborazione militare dei paesi dell’Europa centro-orientale, dall’Adriatico al Baltico al Mar Nero, in funzione anticinese e antirussa. Un progetto di cui la Polonia è capofila.

La fine di Visegrad?

In questo contesto, la piccola Ungheria si troverebbe emarginata e, senza appoggio russo, relegata a una posizione di subalternità fin qui evitata solo grazie alla voce grossa del piccolo Orbán. Il reuccio di Budapest si trova adesso a dover scegliere tra l’emarginazione e il gregarismo mentre il gruppo Visegrad, che prende il nome proprio dalla città ungherese in cui è nato, rischia di diventare una scatola vuota. E ciò non rappresenta per forza un male. La guerra sembra produrre nuovi equilibri e nuove intenzioni geopolitiche in Europa centro-orientale. Una prova di maturità e di forza per paesi fin qui considerati minori.

Illustration by Paul Ryding for POLITICO

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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