Macedonia

Elogio alla Macedonia del Nord

L’inizio non può che essere iperbolico. Il paese più sfigato d’Europa che va a suonarle a casa di quello più forte del mondo, la Germania. Si sta parlando di calcio, e del miracolo macedone alle qualificazioni per i mondiali 2022, ma il discorso può valere anche in altri ambiti. Ma se stiamo coi piedi per terra, si può comunque intravedere una piccola vendetta di quel paese che da anni lotta per entrare nel più esclusivo club europeo, l’Unione Europea, proprio in casa del “padrone” di questo club.

Negli ultimi tre anni non ci sono paesi che sono stati più europei della Macedonia del Nord. Che è così europea che tre anni fa non si chiamava nemmeno così, altrimenti i loro vicini greci – europeisticamente ritenuti dal club “i peggiori d’Europa” – si arrabbiavano. Perché sì, la Macedonia cos’è? Grecia? Bulgaria? Serbia del sud? No, è un paese dei Balcani che sta facendo più di tutti per entrare nell’UE. Ed è “sfigato” perché ha a che fare con i peggiori incubi nazionalisti insiti alla stessa Europa.

In soli cinque anni, si sono disfatti di un regime autoritario, si sono dati un nome vero invece di un acronimo, hanno seppellito l’ascia di guerra coi bulgari che li considerano una loro regione, hanno investito molto per bilanciare la componente maggioritaria slava e quel 25% di albanesi da sempre cittadini di serie B, e sono entrati nella NATO. Ha fatto tutto quello che Bruxelles gli ha ordinato di fare, insomma. Solo che i membri del club si sono ricordati di essere espressione degli stati-nazione. In un mondo in cui il progresso ci ha portato con una telecamerina su Marte, in Europa salvaguardiamo ancora quel simulacro degli stati-nazione, l’istituzione più obsoleta nel mondo che si dice globalizzato.

In meno di due anni, il governo più progressista della regione, quello di Zoran Zaev, è caduto preda di più veti. Dopo quello decennale greco, è arrivato quello di Macron, europeista solo quando non deve vincere l’estrema destra di casa sua. E allora tutto daccapo, addirittura si è ripensato il modo col quale l’Europa si deve allargare, perché ok tirar dentro Bulgaria e Romania così, un po’ a caso forse, senza aver fatto molto per estirpare la corruzione che lì dilaga, ma aprire a un paese che davvero investe sulla propria anima europea poi vorrà dire che il resto di quei selvaggi ai margini d’Europa vorranno seguirli nel club. E ci mancherebbe altro.

E se ancora la nuova metodologia per l’allargamento non basta per frenare la coerenza geopolitica della Macedonia del Nord, arriva Boyko Borisov, il primo ministro più corrotto d’Europa – conscio che l’elettorato bulgaro ne è conscio – che dissotterra l’ascia di guerra, si rimangia le promesse di quattro anni prima di non interporsi al percorso europeo di Skopje e spara un altro veto sui macedoni: “Il macedone è un dialetto bulgaro”. E pretendono che questo delirio nazionalista sia sui testi scolastici macedoni. Un altro veto, un altro stop, un altro nazionalismo che vince sul progresso. Sull’Europa.

Ecco che quindi il 2 a 1 conquistato a Duisburg ha il sapore di “vendetta” contro quella Germania che all’epoca del veto bulgaro aveva la presidenza di turno dell’UE, e che avrebbe potuto fare di più per i Balcani, onorando “la Commissione geopolitica” di von der Leyen. Ma i Balcani ultimamente sono diventati la friendzone d’Europa. Arrivano da lontano sotto casa durante il diluvio coi fiori in mano, ma questa manco risponde al citofono.

Due giocatori della serie A, il “nonno” Pandev ed Elmas (che è di origine turca), hanno restituito al loro paese l’onore che gli spetta, quello di essere considerati alla pari di tutti gli altri, dopo anni di porte chiuse in faccia e false promesse.

La geograficamente piccola, paesaggisticamente stupenda e politicamente progressista Macedonia del Nord ci ha semplicemente ricordato che tutti i paesi meritano rispetto. E che, quando questo viene meno in altri mondi, il calcio continua a essere il modo più bello per riparare ai torti subiti.

Foto: East Journal

Chi è Giorgio Fruscione

Giorgio Fruscione è Research Fellow e publications editor presso ISPI. Ha collaborato con EastWest, Balkan Insight, Il Venerdì di Repubblica, Domani, il Tascabile occupandosi di Balcani, dove ha vissuto per anni lavorando come giornalista freelance. È tra gli autori di “Capire i Balcani occidentali” (Bottega Errante Editore, 2021) e ha firmato due studi, “Pandemic in the Balkans” e “The Balkans. Old, new instabilities”, pubblicati per ISPI. È presidente dell’Associazione Most-East Journal.

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