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UCRAINA: “Nessuno come te”, i trent’anni dell’indipendenza

Questo articolo è frutto di una collaborazione con OBCT

Da KIEV30 anni di indipendenza sono un evento che non passa inosservato. E non lo è sicuramente stato per l’Ucraina: questo importante anniversario, ricorso ufficialmente lo scorso 24 agosto, è stato celebrato in pompa magna non solo nella capitale, ma anche in altre città e province, con eventi che hanno accolto centinaia di ospiti stranieri a dispetto dell’epidemia in corso – tra cui capi di Stato, rappresentanti di governi e parlamenti stranieri, nonché circa 30 delegazioni di organizzazioni internazionali. 

In particolare, il 23 agosto – giorno della bandiera ucraina – nel centro geografico del paese a Čerkasy ha avuto luogo una cerimonia solenne di innalzamento della bandiera blu e gialla più grande del paese, con la partecipazione del presidente Volodymyr Zelensky. Nello stesso giorno, Kiev ha ospitato il primo vertice dell’iniziativa “Piattaforma Crimea“, un evento pensato dallo stesso Zelensky al fine di discutere sulla politica di non riconoscimento della penisola, sulle sanzioni, sulla sicurezza, sulla protezione dei diritti umani nella Crimea temporaneamente occupata e sul ripristino dei diritti dei Tatari di Crimea. Il 24 agosto, invece, giorno dell’indipendenza, nella via centrale della capitale si è svolta una parata delle forze armate accompagnata dal volo dell’iconico Antonov An-225 Mrija.

Tutte celebrazioni che dimostrano quanto l’Ucraina sia un paese sì giovane, ma con una storia secolare e che, da est a ovest, è unito sotto un’unica bandiera. Eppure, da ben 7 anni, l’Ucraina non gode pienamente della sua integrità e sovranità territoriale e la sua unificazione e indipendenza sono (di nuovo) messe a dura prova: infatti, mentre nei territori orientali del Donbas l’esercito ucraino combatte contro i separatisti filorussi in un conflitto armato che non accenna a finire, la penisola di Crimea – annessa dalla Federazione Russa nel marzo 2014 – rimane de facto sotto l’amministrazione del Cremlino. 

Ma di fronte all’incertezza sulla sicurezza e la sovranità dei loro confini, gli ucraini oggi celebrano insieme trent’anni di libertà e governo indipendente.

“La nazione ucraina è una squadra. Venticinque regioni, ossia 25 giocatori insostituibili che la rendono forte. È invincibile e ogni giocatore è indispensabile” (Volodymyr Zelensky).

Tutto si colora di blu e giallo 

Nonostante ucraini e russi (insieme ai bielorussi) vengano considerati fratelli inseparabili o, come ha sottolineato più di recente il presidente russo Vladimir Putin in un suo articolo, “un unico popolo”, l’Ucraina ha una sua storia secolare, una lingua e delle caratteristiche e tradizioni culturali che spesso e volentieri si dissociano da quelle russe; un’identità propria e multiculturale, per la quale gli ucraini non hanno mai smesso di lottare. Ma, come la Storia ci insegna, l’indipendenza ucraina è stata conquistata solamente nell’agosto 1991.

Il 1991 è, infatti, l’anno che segna la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Un processo che inizia già nella seconda metà degli anni ’80 con le lotte di potere tra Michail Gorbačev e Boris El’cyn al governo centrale di Mosca, e che dà il via libera a una serie di movimenti indipendentisti nelle altre repubbliche sovietiche. Nella Repubblica Socialista Sovietica d’Ucraina, sebbene la voglia di costituire uno Stato sovrano fuori dall’orbita imperialista russa (e non solo) fosse sempre stata presente, è con l’insediamento di Michail Gorbačev al Cremlino che gli ucraini iniziano apertamente a manifestare il proprio dissenso, finora in tutti i modi represso e annientato dal potere centrale. 

Contrariamente a quanto si possa pensare, a scatenare questi primi movimenti in nome della democrazia non è stata solamente la mancanza di trasparenza e l’incapacità del governo sovietico di gestire l’incidente nucleare di Černobyl del 1986, catastrofe rimasta volutamente un mistero per lungo tempo e che ha giocato un ruolo chiave soprattutto per le prime manifestazioni anti-sovietiche nelle aree occidentali e baltiche. Le prime vere dimostrazioni di cambiamento in Ucraina si verificarono, infatti, nel 1989 nel bacino del Donbas, quando gli operai delle miniere della regione entrarono in sciopero (e per la prima volta nella storia il Soviet Supremo ne riconobbe il diritto ai lavoratori): chiedevano le dimissioni del governo, la soppressione di tutte le organizzazioni del PCUS/PCU dalle fabbriche, dalle scuole, dall’esercito, dal KGB e dal ministero degli Interni. Le rivendicazioni dei minatori non erano quindi solamente di stampo economico, ma anche – e soprattutto – politico. Successivamente furono gli studenti a scendere in piazza per la democrazia: nell’ottobre del 1990, appoggiati dal neonato movimento democratico Narodnyj Ruch Ukraiiny (capitanato da Vjačeslav Čornovil), si raccolsero nell’attuale piazza Maidan della capitale – che diventerà poi il luogo della Rivoluzione per antonomasia – per chiedere nuove elezioni e protestare contro la firma del nuovo trattato sull’URSS. La protesta passerà alla storia come Rivoluzione sul Granito (Revoljucia na hraniti).

In ogni caso, sei mesi dopo, nel marzo 1991, il referendum per preservare l’Unione Sovietica accolse il sostegno del 70% dei votanti nella Repubblica Socialista Sovietica d’Ucraina (solo la regione della Galizia orientale votò contro, esprimendo il suo desiderio di indipendenza). Eppure, il Trattato sul nuovo assetto dell’Unione Sovietica non verrà mai firmato in quanto le forze indipendentiste nelle altre repubbliche sovietiche erano già in ascesa, mentre a Mosca i conservatori cercavano di riprendere il potere e mettevano in atto il noto colpo di stato fallito contro Gorbačev. 

Così, il 24 agosto 1991, il parlamento ucraino guidato da Leonid Kravčuk – vicesegretario del Comitato centrale del PCUS/PCU, leader dell’ala indipendentista della nomenklatura ucraina – presentò la Dichiarazione d’Indipendenza; pochi mesi dopo, il 23 dicembre, venne proclamata la dissoluzione definitiva dell’URSS. Dopo il crollo dell’URSS, la bandiera blu e gialla, adottata nel 1918 ma vietata in epoca sovietica in quanto simbolo nazionalista, divenne ufficialmente la bandiera di stato dell’Ucraina indipendente, festeggiata ogni anno il 23 agosto.

Un’indipendenza pericolante

Al momento della sua fondazione, lo stato ucraino indipendente fu, di fatto, una continuazione della Repubblica socialista sovietica d’Ucraina: se ciò ha permesso al paese di non dover creare da zero le proprie istituzioni statali, dall’altro ha ritardato la decomunizzazione del sistema organizzativo e giuridico, che ancora oggi è vittima del retaggio sovietico.

I primi anni d’indipendenza non furono facili: i rapporti con la Russia furono molto tesi (la questione degli armamenti nucleari sul territorio ucraino e il controllo della flotta del Mar Nero ancorata a Sebastopoli furono due questioni cruciali), l’inflazione aveva livelli elevatissimi e l’economia del paese conobbe un periodo di crisi a causa della mancanza di riserve energetiche. Le tensioni interne aumentarono e il primo presidente Kravčuk fu sconfitto nel 1994 da Leonid Kučma, riformatore filorusso rieletto poi nel 1999. Gli anni 2000 furono caratterizzati da una grande instabilità politica che sfociò con la destituzione del governo riformista di Viktor Juščenko e l’ascesa a primo ministro e successivamente a presidente di Viktor Janukovyč. L’ombra del Cremlino era sempre in agguato.

A 23 anni dall’indipendenza, nel 2014, l’Ucraina ha affrontato un ennesimo collasso interno: la Rivoluzione della Dignità, nota come Euromaidan, provocò la fuga dell’amico del Cremlino, Janukovyč, creando scompiglio all’interno del paese, costretto ora a decidere seriamente se guardare a Occidente o a Mosca per le proprie scelte politiche ed economiche. L’annessione della Crimea da parte di Mosca e l’istigazione della Russia alla ribellione secessionista nei territori orientali del Donbas segnarono l’inizio di una guerra aperta per la quale Kiev era completamente impreparata. Il conflitto nell’est del paese continua oggi, anche se in misura più contenuta, da ormai 7 anni: né l’ex-presidente Petro Porošenko, né l’attuale Volodymyr Zelensky si sono piegati al volere di Mosca, sebbene Kiev abbia formalmente accettato gli accordi di Minsk, concordati con Germania, Francia e Russia (Formato Normandia). Tuttavia, con questa firma Kiev ha scelto forse il male minore: continuare il conflitto armato limitato all’est del paese è sempre meglio di consentire un’autonomia all’interno dei confini dello stato (come richiesto dai separatisti), che darebbe al nemico il potere di intervenire legalmente nella politica interna ed estera dell’Ucraina. Un potere che, tuttavia, resiste all’interno delle repubbliche separatiste.

La Russia di Vladimir Putin continua, infatti, a influenzare le zone occupate del Donbas, tanto che per la prima volta i cittadini con passaporto russo provenienti dai territori delle repubbliche di Donetsk (DNR) e Luhansk (LNR) hanno partecipato alle elezioni politiche alla Duma di Stato russa tenutesi lo scorso mese. Un evento storico per il Donbas, come è stato definito dal governatore di Donetsk, Denis Pušilin, che ha permesso a circa 400 residenti della regione di ricevere il passaporto russo e recarsi nella regione amministrativa di Rostov per votare. ln totale, al voto hanno partecipato 50mila persone provenienti da DNR e LNR, con la speranza di diventare cittadini della Russia a tutti gli effetti, stanchi dell’incertezza e della guerra che continua senza sosta lungo i loro confini.

“Non c’è nessuno come te!”

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Nell’arco di questi trent’anni, l’Ucraina ha superato molte sfide e raggiunto diversi traguardi, benché ostacoli e difficoltà siano sempre dietro l’angolo. Ma, come il presidente Zelensky ha sottolineato nel suo discorso, l’importante è essere uniti, sempre e comunque: “Guardate la nostra bandiera nazionale o immaginatevela. Immaginatevela senza il colore giallo, e ora senza il colore blu. Separatamente, questi sono solo colori. Ma messi insieme, per noi, diventano la migliore combinazione, la più forte. Perché noi siamo forti insieme. Perché noi, così diversi da est a ovest, di lingua ucraina e russa, siamo uniti in un’unica famiglia, siamo uniti dall’Ucraina. E le diciamo: ‘Non c’è nessuno come te!’. E la difendiamo perché siamo diversi, uguali, vicini, forti, liberi e indipendenti!”.

 

 

Foto: Claudia Bettiol/East Journal

Chi è Claudia Bettiol

Nata lo stesso giorno di Gorbačëv nell'anno della catastrofe di Chernobyl, sono una slavista di formazione. Grande appassionata di architettura sovietica, dopo un anno di studio alla pari ad Astrakhan, un Erasmus a Tartu e un volontariato a Sumy, ho lasciato definitivamente l'Italia per l'Ucraina, dove attualmente abito e lavoro. Collaboro con East Journal e Osservatorio Balcani e Caucaso, occupandomi principalmente di Ucraina e dell'area russofona.

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