Piotr Glinski e Krystsina Tsimanouskaya

Il caso dell’atleta bielorussa che ha chiesto asilo alla Polonia

L’atleta bielorussa Krystsina Tsimanouskaya è stata una delle protagoniste delle olimpiadi di Tokyo 2020, ma non per il suo talento o per una medaglia vinta. Bensì per una critica nei confronti degli allenatori. Nulla di trascendentale, in teoria, ma qualcosa che può mettere a rischio vita e carriera, se il tuo paese di origine è la Bielorussia. Ora la sprinter si trova al sicuro in Polonia, dopo che le è stato offerto un visto umanitario. Ma si è andati molto vicini al rischio che le cose potessero andare nel peggiore dei modi possibili.

Krystsina Tsimanouskaya

Krystina Tsimanouskaya è un’atleta bielorussa di 24 anni. Alle olimpiadi di Tokyo 2020 era iscritta a due prove dell’atletica leggera, le batterie dei 100 e dei 200 metri. Ai giochi olimpici arrivava con un palmarès di quattro medaglie totali, una d’oro, conquistata nei 200 metri, e tre d’argento, vinte nei 100 metri. La sua esperienza giapponese non era iniziata nel migliore dei modi. Aveva corso i 100 metri ed era arrivata quarta, dietro a Blessing Okagbare, Asha Philip e Tynia Gaither con il tempo di 11.47 secondi, che le aveva impedito di qualificarsi alle semifinali. Mentre si preparava per i 200 metri, è accaduto l’imprevisto.

Abuso di potere

A causa di una dimenticanza della Federazione bielorussa, che si era scordata di registrare alcuni atleti per il test anti-doping, Krystina Tsimanouskaya viene registrata, a sua insaputa, per la staffetta 4×400. Gara alla quale non avrebbe dovuto partecipare. Il modo in cui la Federazione bielorussa si comporta fa infuriare la ragazza, che critica immediatamente l’atteggiamento con un post sui social media.

A darle fastidio sono stati due fatti: in primo luogo che lei e altri atleti devono pagare per errori commessi dalla Federazione e, in secondo luogo, il tutto viene fatto alle sue spalle, senza che essere avvisata del cambiamento di programma. Il suo atteggiamento non piace però a Viktor Lukashenko, presidente del Comitato olimpico bielorusso e figlio del presidente Alexander Lukashenko. E da quel momento inizia il tentativo di repressione dell’atleta.

Prove di rimpatrio forzato

Immediatamente dopo le sue critiche, l’allenatore avvisa la ragazza che da Minsk è arrivato l’ordine di rimuoverla. Alcuni funzionari bielorussi la scortano in aeroporto, contro la sua volontà e qui Krystina Tsimanouskaya riesce, grazie a un escamotage, a salvarsi. All’aeroporto la ragazza vede la polizia giapponese e utilizzando google translate riesce a spiegare loro ciò che le sta accadendo.

“All’inizio non hanno capito cosa mi fosse successo. Hanno pensato che non stessi bene o che avessi perso qualcosa. E poi ho scritto che mi stavano portando via con la forza dal paese e non volevo che accadesse”.

Successivamente interviene il Comitato olimpico internazionale, che la porta in un luogo sicuro, prima che l’atleta riceva gli aiuti da parte di Polonia e Repubblica Ceca, che si sono subito offerte per darle un visto umanitario.

Tutto bene, ma…

Ora l’atleta si trova a Varsavia, in Polonia, insieme al marito, il quale è riuscito a lasciare la Bielorussia immediatamente dopo le critiche della moglie nei confronti degli allenatori. Eppure anche a Varsavia, scortata da guardie del corpo durante un’intervista con il Financial Times, l’atleta non se la sente di ordinare qualcosa da bere, per paura di essere avvelenata. Il caso di Krystsina Tsimanouskaya non fa altro che sottolineare come la situazione in Bielorussia sia esplosiva.

Il paese è governato in maniera autoritaria da Aleksander Lukashenko dal 1994 e la sua ennesima vittoria alle elezioni dell’agosto 2020, ottenuta grazie a brogli, ha scatenato proteste di massa in tutto il paese. Se fino a prima delle olimpiadi coloro che erano in pericolo anche fuori dai confini erano politici di opposizione, giornalisti e dissidenti, come Roman Protasevich – il caso che ha fatto più scalpore – ora anche un’atleta che non si era mai schierata politicamente, rischia di vedere la sua vita e la sua carriera in pericolo, soltanto dopo una critica nei confronti dei propri allenatori.

Nelle ultime dichiarazioni lasciate alla stampa, la ragazza ha affermato di voler far domanda per la cittadinanza sportiva polacca, la quale richiede tre anni, per poter continuare a gareggiare. Questo la porterebbe a difendere la bandiera di un altro paese. Quello che le ha salvato la vita e, forse, la carriera.

Immagine: 3.0 PL

Chi è Gezim Qadraku

Laurea triennale in Scienze Politiche Internazionali all'Università degli Studi di Milano. Frequenta un Master in International Economics and Public Policy all'Università di Trier. Nato nel 1992 a Prishtina, cresciuto a Milano, al momento risiede in Germania. Parla albanese, inglese e tedesco.

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