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Gli eroi son tutti giovani e belli

“Ma nella fantasia ho l’immagine sua: gli eroi son tutti giovani e belli”. Chissà se nelle redazioni dei tabloid filogovernativi della Serbia ne hanno mai avuta di fantasia: all’indomani della storica sentenza che manda il criminale Ratko Mladic in galera per sempre, sicuramente no. Si è preferito pescare tra i mantra in voga nei circoli nazionalisti e riconfermare che Mladić, responsabile e colpevole per il genocidio di Srebrenica, sarebbe un eroe.

Nelle stesse ore in cui la stampa di regime del presidente Vucic usciva con questa prima pagina, due serbi salivano in cattedra per dimostrare il vero autentico prestigio internazionale della Serbia. Il primo è Nikola Jokic, che è stato insignito del titolo di “most valuable player” (MVP) dell’NBA; il secondo è il numero uno al mondo nel tennis, Novak Djokovic, che battendo Matteo Berrettini si è aggiudicato un posto in semifinale al Roland Garros.

Eppure, per la macchina propagandistica, il vero eroe è quel vecchio e brutto di Mladic. Al successo di Jokic è stato dedicato solo un trafiletto a margine. D’altronde, la nazione non si ricompatta esaltando i campioni dello sport che la rendono celebre nel mondo, ma ribadendo, ancora una volta, come una cantilena lunga trent’anni, che nella Bosnia orientale non ci fu genocidio.

Ma qui non si intende spiegare perché quello di Srebrenica fu un genocidio. Per farlo ci sono già migliaia di testimonianze e diverse sentenze frutto del lavoro pluridecennale di giudici di tutto il mondo. Che – sempre secondo il suddetto apparato propagandistico – sarebbero tutti corrotti e al soldo di chi odia la Serbia, salvo poi rilanciare l’opinione dissenziente della giudice dello stesso tribunale Prisca Matimba Nyambe: lei no, lei non è corrotta e venduta all’occidente, sebbene sia anche lei parte di quel meccanismo per anni accusato di essere “antiserbo”. La logica del nazionalismo è tutta qui: negare e mistificare, e poi manipolare. Infine, esaltare. Fino a trasformare un boia in eroe.

Già, perché per i nazionalisti Mladic è un eroe proprio perché il genocidio lo ha commesso. Se non l’avesse compiuto sarebbe relegato all’anonimato, come le centinaia di comandanti e colonnelli che hanno fatto quell’inutile guerra. Oggi invece si erge a simbolo della “difesa della Republika Srpska”. Come ci si difenda da una cittadina da anni assediata, isolata e tenuta nella fame e da 8mila uomini disarmati è un mistero, ma, anche qui, non entreremo nell’agone.

Ma se è vero che ha difeso la Republika Srpska, allora ecco che la sentenza viene automaticamente interpretata come una condanna contro un intero popolo. Anche in questo caso, la colpa è della propaganda.

Le sentenze di tribunale si applicano a individui: i crimini li compiono i criminali, non i popoli. Sempre, ovunque e comunque. A Norimberga si condannarono i gerarchi nazisti, e il suo esito venne accettato come un processo di giustizia atto a ripristinare anche quell’onore nazionale usurpato, manipolato e infangato per anni da un’ideologia. Quel processo servì anche per affermare che non furono “i tedeschi” i responsabili dei campi di concentramento e delle altre nefandezze di cui fu vittima l’Europa, ma i nazisti; e tra i tedeschi stessi non si diffuse la convinzione che quel tribunale fosse “antitedesco”. Questo è solo uno dei tanti esempi che riconferma l’ovvio: i crimini potranno anche essere perpetrati “nel nome di una nazione”, ma la loro punizione colpisce gli individui, non addossa colpe collettive.

C’è poi un’abbondante dose di benaltrismo tutto balcanico. Consiste grossomodo nel considerare la giustizia come una specie di bilancia, motivo per cui il tribunale sarebbe antiserbo per aver condannato per lo più serbi e pochi croati e bosgnacchi. Ma soprattutto, si è diffusa una logica secondo la quale Mladic doveva esser scagionato poiché Naser Oric, comandante bosniaco e responsabile di alcuni crimini, o Ante Gotovina, generale croato responsabile della pulizia etnica dell’operazione Oluja, non sono stati condannati in via definitiva. Ed è un errore che non lo siano stati, certo. Ma ad un errore non si rimedia con un altro errore, soprattutto perché – vale la pena ribadirlo – le condanne non riguardano i popoli d’appartenenza degli imputati e quindi un tribunale giudica il singolo caso, senza tener conto di crimini compiuti da persone in luoghi e momenti che nulla c’entrano con il caso in questione. D’altronde che credibilità avrebbe un tribunale che giudica col bilancino etnico e distribuisce giustizia secondo prestabilite quote nazionali? Sembrano domande inutili, e invece da anni persiste questa narrazione.

Chiunque abbia veramente a cuore il popolo serbo dovrebbe gioire della sentenza contro Mladic, che non è né giovane né bello e dietro di sé lascia solo cadaveri e macerie. Ed esaltare i veri eroi di quel popolo: Bravo Nikola! Bravo Nole!

 

Foto: Basketuniverso.it

Chi è Giorgio Fruscione

Giorgio Fruscione è Research Fellow e publications editor presso ISPI. Ha collaborato con EastWest, Balkan Insight, Il Venerdì di Repubblica, Domani, il Tascabile occupandosi di Balcani, dove ha vissuto per anni lavorando come giornalista freelance. È tra gli autori di “Capire i Balcani occidentali” (Bottega Errante Editore, 2021) e ha firmato due studi, “Pandemic in the Balkans” e “The Balkans. Old, new instabilities”, pubblicati per ISPI. È presidente dell’Associazione Most-East Journal.

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