L’Asia centrale è una delle regioni più a rischio per le conseguenze del cambiamento climatico, in particolare per l’aumento delle temperature e il conseguente stress idrico. Nonostante i paesi centroasiatici siano i soggetti che contribuiscono di meno al cambiamento climatico globale (le emissioni di Tagikistan, Uzbekistan e Kirghizistan insieme non superano il 0,55% delle emissioni globali), le popolazioni centroasiatiche sono le più esposte alle conseguenze, dirette ed indirette.
Tra queste ci sono non solo gli effetti a breve termine dello scioglimento dei ghiacciai (quindi alluvioni) e, più a lungo raggio, una prolungata siccità, ma anche il rischio di escalation delle già presenti tensioni tra gli stati centroasiatici per la gestione delle risorse idriche, la mancanza di elettricità e la scarsità di cibo.
La regione sicuramente risente delle conseguenze del diffuso sfruttamento delle risorse in epoca sovietica. Due sono i maggiori problemi ereditari: il primo deriva dai numerosi test nucleari eseguiti in Asia centrale a partire degli anni Quaranta. Il secondo è la conseguenza della coltivazione intensiva del cotone che ha provocato danni irreversibili al Mar Caspio e più gravante al Lago d’Aral.
Entrambi questi due fattori hanno contribuito all’impoverimento del suolo e danneggiato l’ecosistema. Secondo le stime della Banca Mondiale, ad esempio, il Tajikistan è particolarmente colpito dal degrado del territorio: nel 2019 i conseguenti costi si aggirano tra l’8 e il 13,5% del PIL del paese.
Le conseguenze sull’ambiente: desertificazione e alluvioni
Negli ultimi decenni, la temperatura media in Asia Centrale è aumentata di cinque gradi centigradi. Una delle conseguenze maggiori è l’aumento della siccità, i cui effetti sono la diminuzione di terre coltivabili, la desertificazione e l’aumento dell’insicurezza alimentare. Ad esempio, in Kazakistan, nei prossimi 15-20 anni ci si aspetta che la sicurezza idrica sarà ridotta di un terzo e i pascoli e le terre agricole potrebbero diventare zone semi desertiche o desertiche. La Banca Mondiale, infatti, ha stimato che entro il 2050 i raccolti diminuiranno del 30% a causa del cambiamento climatico.
Inoltre, nonostante negli ultimi decenni in Asia centrale il numero di persone costrette ad affrontare l’insicurezza alimentare sia diminuito, le conseguenze della siccità potrebbero invertire questa tendenza. In particolare, risultano più vulnerabili alla denutrizione il 9% della popolazione tagika e il 7,4% di quella uzbeka.
Per quanto riguarda lo scioglimento dei ghiacciai, alcuni dati possono aiutare a capire l’entità degli effetti del cambiamento climatico in Asia Centrale. Il 20% dei 8492 ghiacciai del Tajikistan si è ritirato significativamente e il 30% rischia scomparire entro il 2050. A lungo termine, ciò porterà ad una sostanziale diminuzione delle scorte d’acqua nella regione ma a breve termine, la conseguenza immediata dello scioglimento dei ghiacciai sono certamente le alluvioni. A maggio 2020, la diga Sardoba, in Uzbekistan, è ceduta, migliaia di persone sono state evacuate e i danni al raccolto si aggirano intorno ai 400.000 dollari.
In generale, per quanto riguarda le conseguenze sia delle alluvioni che della siccità sulla popolazione, i più colpiti sono i lavoratori agricoli, che costituiscono una grande percentuale della forza lavoro nazionale (l’agricoltura in Kirghizistan, Uzbekistan e Tagikistan costituisce il 25% dell’economia nazionale e in quest’ultimo il 60% dei lavoratori sono impiegati in questo settore). I danni che il cambiamento ha provocato ai raccolti e la mancanza di risposte statali adeguate ai disastri naturali hanno portato ad una crescente emigrazione dei lavoratori.
Le conseguenze sulla geopolitica regionale
Con l’aumentare degli effetti del cambiamento climatico sopracitati e l’assenza di efficaci meccanismi di cooperazione e risoluzione delle dispute, emergeranno senza dubbio le tensioni per la distribuzione di acqua tra i paesi situati a monte (Tagikistan e Kirghizistan) e quelli a valle (Uzbekistan e Kazakistan). Le risorse d’acqua, infatti, sono concentrate principalmente in Tagikistan e Kirghizistan che quindi detengono un ruolo maggiore nella gestione delle risorse idriche.
Più acqua viene trattenuta a monte, più diminuiscono le risorse per l’irrigazione dei campi e si verificano interruzioni di energia nelle centrali idroelettriche, minando quindi alla sicurezza dei paesi a valle. L’acqua può così diventare un’arma. Un’arma che può portare ad un’escalation di tensioni nella regione, a partire dalla Valle di Fergana la più fertile, la più densamente popolata e luogo di frontiera di tre stati, che convivono non senza problemi.
Nonostante gli stati centroasiatici non siano ancora stati in grado di stabilire fora istituzionali per adottare politiche di adattamento e mitigazione, il cambiamento climatico e le sue conseguenze potrebbero tuttavia rappresentare un’opportunità per gli stati della regione che si troveranno costretti ad elaborare delle strategie di cooperazione.
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