ARMENIA: Si aggrava la crisi del Lago Sev

A oltre sei mesi dalla firma dell’accordo di pace che ha sancito la fine della Seconda Guerra del Nagorno-Karabakh, le rivendicazioni territoriali continuano a gravare sulle relazioni tra Armenia e Azerbaigian. Le tensioni sono degenerate a partire dal 12 maggio, quando le forze armate azere sono penetrate in territorio armeno dalla zona di confine del Lago Sev (Lago Nero), avanzando le loro posizioni di 3,5 chilometri. In base alle informazioni fornite dall’esercito armeno, circa 1000 soldati azeri sarebbero stanziati nelle regioni del Syunik e del Gegharkunik. Sebbene Erevan abbia esortato Baku a ritirare i militari dal suo territorio, quest’ultima si è rifiutata di adempiere alla richiesta, affermando che le sue truppe sono situate all’interno dei propri confini nazionali.

Confini e mappe

Il 18 maggio, i media armeni hanno pubblicato una mappa dello Stato maggiore delle forze armate dell’Unione Sovietica che mostra come le coste occidentali, meridionali e orientali del Lago Sev si trovassero all’interno della Repubblica Socialista Sovietica Armena.

Il riemergere delle cartine geografiche dell’epoca sovietica, le uniche a delineare, parzialmente, la frontiera tra i due paesi caucasici, è indice della complessa questione della demarcazione del confine internazionale tra Armenia e Azerbaigian. Nel corso della Prima Guerra del Nagorno-Karabakh (1988-1994), Erevan ha preso il controllo di vaste porzioni di territorio azero intorno alla regione contesa. La maggior parte della frontiera visibile sulle cartine geografiche o su Google Maps non ha quindi riflettuto la realtà sul territorio fino alla vittoria azera nel conflitto nell’autunno del 2020L’accordo di cessate il fuoco del 9 novembre, firmato da Armenia e Azerbaigian con la mediazione della Russia, tuttavia non regola la demarcazione delle aree di confine estranee al Nagorno-Karabakh, ecco quindi la causa della tensione di queste settimane.

Dopo lo sconfinamento azero del 12 maggio, l’Armenia ha avviato una serie di consultazioni con l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), l’alleanza militare guidata da Mosca di cui Erevan è membro dal 2002. In base agli obblighi previsti dalla CSTO, il Cremlino si dovrebbe impegnare a fornire sostegno militare agli stati membri qualora la loro sovranità territoriale venga messa a repentaglio. Il 19 maggio, nel corso di un vertice dei paesi membri a Dušanbe, il segretario generale dell’Organizzazione, Stanislav Zas, ha dichiarato che l’alleanza “osserva con preoccupazione l’evoluzione della situazione nella regione armena del Syunik”. Il 26 maggio, parlando all’Assemblea nazionale, il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan ha espresso insoddisfazione per l’operato della CSTO, affermando che l’Armenia non ha escluso la possibilità di rivolgersi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

A seguito delle continue tensioni, le reazioni all’interno della comunità internazionale si sono fatte sentire. Il Dipartimento di Stato americano ha invitato i suoi cittadini a non recarsi in Armenia, nella regione del Nagorno-Karabakh e in Azerbaigian. Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha affermato che il Cremlino ha lanciato un’iniziativa per creare una commissione mista armeno-azera sulla demarcazione dei confini, alla quale prenderebbe parte come mediatore. In un comunicato ufficiale, il segretario del Consiglio di sicurezza dell’Armenia, Armen Grigoryan, ha osservato che il prerequisito fondamentale per risolvere la questione dei confini sia l’immediato ritiro delle forze azere dal territorio dell’Armenia. L’Azerbaigian, dal canto suo, ha chiesto che gli armeni forniscano loro mappe delle mine terrestri deposte durante la guerra, un ritiro delle forze militari armene dal Nagorno-Karabakh e un calendario accelerato per l’apertura di nuove rotte di trasporto verso l’exclave di Nachicevan attraverso la regione del Syunik.

Crisi ed elezioni

Sullo sfondo di tali tensioni, un nuovo scandalo ha agitato l’opinione pubblica armena. Il 19 maggio Mikael Minasyan, ex ambasciatore presso la Santa Sede, nonché genero dell’ex presidente Serzh Sargsyan, ha dichiarato che il primo ministro Pashinyan starebbe concordando con il suo omologo azero nuovi principi di demarcazione e concessioni territoriali in cambio del ritiro delle truppe dal territorio armeno. Il giorno successivo, il premier armeno ha annunciato, con un post su Facebook, che l’Armenia firmerà un’intesa con l’Azerbaigian, purché rispetti al 100% gli interessi nazionali. Il testo di tale accordo non è stato reso noto, ma una parte dell’opinione pubblica armena non ha perso tempo per accusare Pashinyan di tradimento.

Sul versante opposto, il presidente azero Ilham Aliyev, in un tweet del 21 maggio, ha scritto che l’Azerbaigian è pronto a collaborare con l’Armenia al trattato di pace. Usando toni molto diversi da quelli battaglieri impiegati finora, Aliyev ha espresso l’auspicio che, in seguito alle elezioni in Armenia del prossimo 20 giugno, le relazioni tra i due paesi possano migliorare.

Mentre i negoziati continuano, il ministero della Difesa armeno ha riferito che, il 25 maggio, un soldato è rimasto ucciso in una sparatoria al confine con l’Azerbaigian, nella provincia armena di Gegharkunik. Le autorità azere hanno risposto negando che le loro forze armate avessero aperto il fuoco e accusando l’Armenia di diffondere false informazioni. Due giorni dopo, sei soldati armeni  sono stati catturati dalle forze azere vicino al confine. Se da una parte Erevan ha dichiarato che i sei sono stati “circondati e catturati” sul suolo armeno dalle forze azere nelle prime ore di giovedì, dall’altra Baku ha respinto le accuse al mittente, sostenendo che i propri soldati sono stati trovati sul lato azero del confine.

Dopo questi ultimi sviluppi, il ministro degli Esteri armeno, Ara Ayvazyan, ha presentato le sue dimissioni il 27 maggio. All’origine della decisione ci sarebbe stato un appello presentato lo stesso giorno da Pashinyan e indirizzato ai tre paesi co-presidenti del gruppo di Minsk dell’OSCE – l’ente internazionale preposto a risolvere il conflitto tra Baku e Erevan – senza consultare Ayvazyan. In tale dichiarazione, il premier armeno proponeva il ritiro delle forze armene e azere dall’area di confine e invitava Francia, Russia e Stati Uniti a schierare osservatori internazionali nella zona per evitare l’aggravarsi della situazione.

I recenti incidenti si consumano in un clima soggetto ora a crescenti tensioni lungo il confine, ora a schiarite negoziali sul delicato contenzioso territoriale. Chissà che una volta che le due parti riescano a trovare un accordo sulla demarcazione dei confini e che le elezioni armene avranno dato un verdetto, non si assista a un graduale miglioramento nelle relazioni tra Baku e Erevan.

Immagine: East Journal/Aleksej Tilman

 

Chi è Leonardo Zanatta

Nato e cresciuto a Bologna, classe 1996, ha vissuto per motivi di studio e lavoro in Russia, Azerbaigian, Serbia e, infine, Ungheria. Torna sporadicamente in Italia per rivedere i suoi due più grandi amori: la Sampdoria e la Virtus Bologna. Laureatosi in Scienze internazionali e diplomatiche, continua I suoi studi magistrali al programma MIREES (Interdisciplinary studies on Eastern Europe), per poi iniziare il dottorato in studi di sicurezza e relazioni internazionali all’Università Corvinus di Budapest. Scrive per la redazione Caucaso di East Journal da inizio 2020.

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