osmani presidente kosovo

KOSOVO: Vjosa Osmani nuova presidente, un’elezione che sa di futuro

Vjosa Osmani è la nuova Presidente della Repubblica del Kosovo: un ruolo che aveva già ricoperto ad interim da novembre, dopo l’arresto del presidente in carica Hashim Thaçi, oggi all’Aja.

Vjosa Osmani è il quinto presidente eletto dall’indipendenza del Kosovo nel 2008, e la seconda donna. I voti necessari per il quorum, 71 in tutto, sono arrivati solo al terzo scrutinio. Scongiurato così lo stallo paventato dalle opposizioni, che facendo mancare il numero legale minacciavano di portare il paese balcanico a nuove elezioni anticipate. Fondamentale è stato l’appoggio di Vetëvendosje e dei deputati delle minoranze non serbe, e la partecipazione al voto della Lega Democratica del Kosovo (LDK), ex partito di Osmani, nonostante alcune defezioni.

Una predestinata

Sebbene largamente prevista e prevedibile, l’elezione di Vjosa Osmani è per certi versi sorprendente. Primo, perché donna in un mondo politico kosovaro espressione di una società, di suo, intrinsecamente patriarcale – sebbene nel quinquennio 2011-2106 Osmani si stata preceduta nel medesimo incarico da Atifete Jahjaga. Secondo, perché ancora molto giovane in relazione all’importanza del ruolo che si appresta a ricoprire, non essendo ancora quarantenne.

Le sorprese, però, finiscono qui ed è sufficiente dare un’occhiata al curriculum della neopresidente per capire che, in qualche modo, Osmani era una predestinata e che quel compito le si cuce addosso su misura. Un dottorato in giurisprudenza all’Università di Pittsburgh negli Stati Uniti – impreziosito da prestigiosi riconoscimenti quali l’Excellence for the Future – e un’attività di docenza presso la medesima università e presso l’Università di Pristina definiscono il suo percorso di studi.

Ma è soprattutto la sua precocissima attività politica a inquadrare, il suo, come un profilo di assoluto rilievo: Osmani è stata ininterrottamente parlamentare nelle ultime tre legislature (eletta nelle fila della LDK, partito dal quale è stata poi espulsa nel maggio scorso) e nell’ultima tornata elettorale ha ottenuto ben trecentomila preferenze, il risultato più alto nella storia del paese. Ha avuto un ruolo attivo nel corso dei negoziati sull’indipendenza del Kosovo e ha rappresentato, con successo, il proprio paese presso la Corte internazionale di giustizia in una causa sulla legalità dell’indipendenza del Kosovo.

L’asse con il premier Albin Kurti

È proprio questo uno dei piani con cui l’asse con il primo ministro Albin Kurti può dare i frutti migliori. Sebbene Kurti e Osmani possano, sulla carta, sembrare una strana coppia – “rivoluzionario” e di sinistra l’uno, moderata l’altra – dopo anni in cui il paese ha vissuto un aperto dualismo, se non addirittura una palese contrapposizione, tra le principali cariche dello stato, i due leader sembrano avere finalmente una visione condivisa e collimante non tanto sull’importanza della ripresa del dialogo con la Serbia quanto, piuttosto, sulle modalità con cui tale dialogo dovrebbe essere riformulato.

Un dialogo che ponga il riconoscimento reciproco non più come obiettivo quanto come conditio sine qua non, ovvero come precondizione affinché esso possa effettivamente essere finalizzato. Un’occasione anche per l’Unione europea di riacquisire un ruolo centrale nell’area, dopo la subalternità connessa all’attivismo dell’ex presidente USA Donald Trump e del suo inviato Richard Grenell (vero regista della caduta del primo governo Kurti), così come lasciano intendere le dichiarazioni di congratulazioni dell’alto rappresentante per gli affari esteri UE, Josep Borrell, e quelle del commissario all’allargamento, Oliver Varhelyi, entrambe incentrate sull’auspicio di un dialogo “agevolato” dalla UE. In questo senso si può sperare che Osmani possa fungere da mediatrice tra Kurti e i vari attori internazionali, stemperandone quella rudezza di toni e quella inflessibilità di posizioni che lo hanno collocato – fin dagli inizi della sua carriera politica – su posizioni ipercritiche con la UE e con quella comunità internationale che avrebbe “imposto” al Kosovo le missioni internazionali sminuendone la sovranità e la possibilità di autodeterminazione.

Il fronte interno come priorità

È tuttavia sul fronte interno che l’asse Osmani-Kurti sembra trovare i punti di convergenza maggiori, saldandosi in una comunione di intenti pressoché totale: primo tra tutti la lotta alla criminalità e alla corruzione come elemento indispensabile perché il paese possa finalmente uscire dall’endemica arretratezza sociale ed economica, condizione che lo rende uno dei paesi più poveri dell’intero continente.

È questo, dall’altronde, uno degli elementi costitutivi di Vetëvendosje, il movimento fondato da Kurti, ed è questo che, alla vigilia delle scorse elezioni, Osmani indicava come obiettivo prioritario in quanto la corruzione “è il più grande ostacolo al successo in tutti gli altri settori, che si tratti dell’istruzione, di sviluppo economico, di occupazione, salute”. Una rinascita che deve partire – altro punto di comunanza tra i due leader – dalla valorizzazione delle nuove generazioni troppo spesso marginalizzate nel processo decisionale della vecchia dirigenza politica al punto da indurre migliaia di giovani a lasciare il paese come unica opzione di futuro. Il lavoro e la creazione di nuova occupazione sono prioritari nell’agenda del nuovo esecutivo e della nuova presidenza, entrambi apparentemente più focalizzati alla soluzione dei problemi che affliggono il paese piuttosto che a quelli di “buon vicinato” con la Serbia. È chiaro, tuttavia, che sarà necessario trovare il giusto equilibrio tra istanze interne e questioni esterne, poiché esse appaiono indissolubilmente interconnesse, specialmente nell’ottica della futuribile integrazione europea del Kosovo; ed è altrettanto chiaro che, in tutto ciò, il ruolo di Osmani potrebbe risultare determinante.

Osmani rappresenta al contempo un’opportunità per il proprio paese e una ventata d’aria fresca per la politica internazionale. Una politica che può trovare in lei, al pari di altre leader donne come Jacinda Ardern in Nuova Zelanda, Sanna Marin in Finlandia o più recentemente Kaja Kallas in Estonia, “una nuova era” e nuove modalità operative basate “su azioni responsabili e etiche”.

(foto Afp)

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato in Kazakhstan. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

Leggi anche

guerra targhe

BALCANI: Tra Kosovo e Serbia la fine della guerra delle targhe e quel sottile filo che non si spezza

Facendo seguito ad un'analoga disposizione del governo serbo di fine anno, anche il Kosovo ha deciso di consentire alle auto serbe di entrare nel proprio paese senza alcun contrassegno. E' la fine della guerra delle targhe, una guerra che ha fatto da sfondo costante a tutti i più drammatici sviluppi degli ultimi anni

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com