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SERBIA: Numeri record di vaccini e donazioni nella regione, i segreti del successo di Belgrado

Negli ultimi giorni di marzo sono arrivate in Kosovo e in Nord Macedonia le prime dosi di vaccini per il Covid-19 ottenute grazie al meccanismo di ripartizione Covax. Ma fino a questo momento è stata la Serbia il deus ex machina della campagna vaccinale nella regione e lo stato delle cose suggerisce che potrebbe continuare a esserlo ancora per lungo tempo.

La Serbia, che è attualmente il secondo stato in Europa con il più alto tasso di vaccinazioni dopo il Regno Unito, ha beneficiato di accordi sia per il vaccino di Pfizer/BionTech che per quelli cinese e russo, Sinopharm e Sputnik V. L’acquisto di questi ultimi due ha anche rinsaldato i legami politici con entrambe le potenze. L’arrivo a Belgrado, omaggiato con tanto di cerimonia sulla pista di atterraggio, di due milioni di dosi del vaccino cinese ha permesso alla Serbia di essere uno dei Paesi campioni per ora nelle vaccinazioni ma anche un attore di primo piano nella geopolitica dei vaccini.  La Serbia si è infatti fatta carico di diverse donazioni di fiale ai Paesi vicini – uno dei modi più attuali, e immediati, per esercitare il proprio soft power negli stati della regione, che lamentano di essere stati trascurati in particolare dall’Unione europea.

Una “diplomazia vaccinale”

Il governo serbo nelle scorse settimane ha donato migliaia di dosi di vaccino a Bosnia Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro e ai serbi che vivono in Kosovo. Il 2 Marzo, il presidente serbo Aleksandar Vučić è arrivato in aereo a Sarajevo portando con sé in regalo 5.000 dosi di vaccino per i cittadini bosniaci e promettendo l’arrivo di altrettante. All’aeroporto Vučić è stato accolto dai membri della presidenza della Bosnia Erzegovina, Milorad Dodik, Željko Komšić e Šefik Džaferović, che hanno accettato di buon grado l’aiuto serbo, criticando invece il multilateralismo che avrebbe mancato le proprie promesse. Tuttavia, il ministro degli Esteri Bisera Turković ha espresso riserve, dicendo che i vaccini sono stati prodotti in India su licenza di AstraZeneca e dovrebbero essere approvati dall’Agenzia bosniaca per i medicinali prima dell’uso. Bakir Izetbegović, leader bosgnacco del Partito d’Azione Democratica (SDA), ha definito quello serbo un gesto simbolico e reciproco, sminuendo di fatto l’importanza per la Bosnia delle migliaia di dosi ricevute, quando in realtà nel Paese la situazione del contagio sta velocemente peggiorando.

Quella di inizio marzo è stata la seconda partita di vaccini donati alla Bosnia dalla Serbia, dopo quella inviata alla Republika Srpska, una delle due entità del paese. A metà febbraio erano partite da Belgrado anche 2.000 dosi di Sputnik V per il Montenegro e 4.680 dosi di Pfizer/BioNTech per la Macedonia del Nord. In entrambi i casi, i governi di Podgorica e Skopje hanno accettato di buon grado l’aiuto offerto, ringraziando il governo di Belgrado.

Nella regione anche l’Albania ha seguito, in piccolo, le orme serbe, lanciando un’importante campagna vaccinale dopo l’arrivo di quasi 200mila vaccini cinesi. Il premier Edi Rama, in piena campagna elettorale, ha inoltre offerto vaccini per il personale medico del Kosovo, unico paese dei Balcani occidentali ad aver ricevuto i primi vaccini, attraverso il sistema Covax, solo a fine marzo.

Vaccini anche a chi viene da fuori

Nelle ultime settimane, la Serbia ha anche dato inizio alla vaccinazione sul proprio territorio di cittadini stranieri non residenti. I dipendenti della Corte costituzionale della Bosnia ed Erzegovina, ad esempio, sono stati vaccinati in Serbia il 15 marzo, come ha confermato il tribunale di Sarajevo. Anche un centinaio di lavoratori dei media macedoni sono stati vaccinati in Serbia il 23 marzo, come ha riportato l’Associazione dei giornalisti di Macedonia. Belgrado ha anche permesso di vaccinare in Serbia gli operatori sanitari della Republika Srpska, oltre a centinaia di persone di etnia serba residenti in Kosovo.

In questi giorni, le inoculazioni si stanno tenendo a un ritmo serrato al Belexpo Centre di Belgrado, oltre che nei punti di frontiera con Bosnia, Nord Macedonia e Montenegro. Più di qualcuno, come riporta il sito di notizie Balkan Insight, arriva in Serbia anche dall’Albania. Il primo ministro serbo Ana Brnabić ha dichiarato che la Serbia avrebbe dovuto distruggere da 20.000 a 25.000 vaccini AstraZeneca che sarebbero scaduti all’inizio di aprile, ma ha scelto di non farlo, invitando i cittadini di altri paesi per utilizzarli.

La scelta recente di vaccinare migliaia di stranieri provenienti dalla regione è stata però criticata da un sindacato di lavoratori della sanità “Uniti contro il Covid”, che ha sottolineato la poca sicurezza di far viaggiare così tante persone per la regione in questo momento. Da metà gennaio, infatti, i cittadini di Bosnia, Montenegro, Albania, Bulgaria, Macedonia del Nord e Ungheria non devono sottoporsi a nessun test per entrare in Serbia.

La campagna vaccinale aiuta Vučić e la Cina

Nonostante qualche critica, e in gran parte grazie a Cina e Russia, la campagna vaccinale serba è per il momento un successo, amplificato dalla retorica del presidente Vučić e dai media amici. La velocità con cui la Serbia sta portando avanti le vaccinazioni, arrivando a iniettare la prima dose a più di 2 milioni di persone su una popolazione di 7, e le donazioni di vaccini ai Paesi vicini hanno fatto bene alla popolarità del presidente, criticato nei mesi scorsi per la gestione della pandemia. Un fatto non banale se si tiene conto che la Serbia il prossimo anno andrà al voto per le elezioni presidenziali, parlamentari e locali.

Oltre al successo di Vučić, che si propone come leader regionale, l’exploit serbo sembra al momento una vittoria anche per la Cina. In un sondaggio del Centro di politica di sicurezza di Belgrado, circa il 75% degli intervistati ritiene che la Cina abbia aiutato maggiormente la Serbia, mentre solo il 3% pensa che sia stata l’Unione europea a farlo. Come ha scritto Angel Petrov su Al Jazeera, “fornendo a Vučić facili vittorie politiche, i suoi partner cinesi stanno essenzialmente favorendo le sue tendenze autoritarie”, oltre a minare il già difficile processo di riforme e l’adesione all’Unione.

La Serbia, insomma, potrebbe uscire vittoriosa dalla lotta contro il Covid, ma il futuro della sua democrazia continua a non godere di ottima salute.

Foto: torstensimon/Pixabay

Chi è Tommaso Meo

Giornalista freelance, si occupa soprattutto di Balcani, migranti e ambiente. Ha scritto per il manifesto, The Submarine e La Via Libera, tra gli altri. Collabora con East Journal dal 2019.

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