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ARMENIA: Due piazze a confronto a Erevan

Una giornata molto tesa quella di ieri, 25 febbraio, nella capitale armena, Erevan. In risposta a un appello alle sue dimissioni a firma dei vertici dell’esercito, il primo ministro, Nikol Pashinyan, ha parlato di “tentato colpo di stato militare” e ha indetto una manifestazione in piazza della Repubblica, nel centro della città. Intanto le opposizioni si sono date appuntamento nella vicina piazza della Libertà per chiedere le dimissioni del premier. Mentre un MiG dell’aviazione russa stazionata in Armenia sorvolava a bassa quota la capitale, i due gruppi si sono pericolosamente avvicinati. Fortunatamente gli scontri tra i manifestanti sono stati solo verbali, ma la situazione rimane molto fluida: l’onda lunga della sconfitta nella seconda guerra in Nagorno-Karabakh continua a far sentire il suo peso sul paese. 

Un lungo inverno in Armenia

I problemi per Pashinyan sono iniziati subito dopo la firma del cessate il fuoco con l’Azerbaigian lo scorso 9 novembre. Tale accordo sanciva, infatti, la perdita di territori controllati dall’Armenia fin dagli anni Novanta a costo di grandi sacrifici per il paese. Nel corso dei mesi invernali le opposizioni hanno manifestato quasi ininterrottamente chiedendo le dimissioni del primo ministro, considerato il responsabile della sconfitta militare. La vecchia classe politica, rappresentata a livello istituzionale dal presidente, Armen Sarkissian, dopo essere caduta in disgrazia per conseguenza della “Rivoluzione di Velluto” nel 2018, ha approfittato della situazione. Cavalcando il malcontento di parte della popolazione, sono tornati sulla scena pubblica i due predecessori di Pashinyan, Robert Kocharyan e Serzh Sargsyan, con il primo che ha addirittura lanciato la propria candidatura in caso di elezioni anticipate.

Nonostante il contesto burrascoso, l’attuale primo ministro non ha mai accennato a dimettersi e, anzi, l’eventualità di una consultazione elettorale nei prossimi mesi, che sembrava quasi certa a gennaio, è stata definitivamente scartata dallo stesso premier a inizio febbraio.

Le due piazze di Erevan

Il 24 febbraio, Pashinyan ha licenziato il vice capo di stato maggiore dell’esercito, Tigran Khachatryan, un atto che ha portato alla spaccatura con i militari, alleati della vecchia classe politica. Il già menzionato appello della mattina del 25 febbraio è stato firmato da decine di ufficiali ai vertici dell’esercito e, oltre a invocare le sue dimissioni, invita il premier ad “astenersi dall’usare la forza contro le persone che sono morte per difendere la patria e l’Artsakh [il Nagorno-Karabakh come viene chiamato dagli armeni, nda]”.

Di fronte a un attacco di questo genere, Pashinyan ha mostrato di avere ancora il polso della situazione. Come nel 2018, non ha esitato a scendere in strada con i suoi sostenitori. Si è rivolto al paese in piazza della Repubblica, dichiarando che “l’esercito non può essere coinvolto in politica” e che “i militari devono obbedire alla volontà elettorale delle persone”. Dopo aver accusato l’opposizione per i suoi legami con l’esercito, ha chiuso proclamando la fine del velluto (la morbidezza) della rivoluzione del 2018. “C’è un limite che non può essere valicato, se lo superi verrai arrestato”. Successivamente ha invitato i suoi sostenitori a tornare a casa e le opposizioni a negoziare.

Nel frattempo, a meno di un chilometro di distanza, in piazza della Libertà, si sono radunate 2 mila persone al grido di “Armenia senza il turco [Pashinyan, nda]” e fischiando il corteo in supporto del primo ministro quando è passato nelle vicinanze. L’ex presidente Kocharyan ha invitato i cittadini a sostenere l’esercito dichiarando che “il governo che ha perso la guerra e ha ceduto territori deve andarsene”. Alla manifestazione partecipava anche Ishkan Saghatelyan, uno dei leader del partito nazionalista Federazione Rivoluzionaria Armena (Dashnaktsutyun). Secondo uno dei giornalisti presenti, il numero di partecipanti a questa seconda manifestazione era inferiore al gruppo di sostenitori di Pashinyan. Nonostante questo, alcuni manifestanti, tra i quali Saghatelyan, hanno bloccato il viale Bagramyan, dove ha sede il parlamento, accampandosi per la notte di fronte al’edificio.

La via d’uscita da questa situazione non è affatto scontata. In base ad un recente sondaggio, Pashinyan è ancora il politico più popolare in Armenia e ieri ha dimostrato di non aver perso la sua capacità di mobilitare la piazza, la protagonista per eccellenza della politica armena. Al contempo, l’esercito è una forza da non sottovalutare, in un paese che, secondo i dati del Bonn International Center for Conversion, è tra i più militarizzati al mondo in proporzione alla sua popolazione

Viene anche da interrogarsi se un’alternativa all’attuale governo sia auspicabile per l’Armenia. Kocharyan, il volto più noto dell’opposizione, rappresenta quella vecchia classe dirigente il cui livello di corruzione aveva portato il paese all’esasperazione sfociata nella Rivoluzione di Velluto. Il suo comportamento nelle poche settimane dall’annuncio del suo ritorno in politica, poi, è stato piuttosto allarmante: prima ha proposto l’unione dell’Armenia con la Russia sul modello bielorusso, poi ha, a tutti gli effetti, incoraggiato l’intervento dell’esercito in politica. 

Immagine: militari in strada a Erevan (East Journal/Aleksej Tilman)

Chi è Alessio Saburtalo

Alessio Saburtalo è uno pseudonimo. L'autore che vi si cela si occupa principalmente di Caucaso con sporadici sconfinamenti in Russia e Asia Centrale. Saburtalo è un quartiere di Tbilisi.

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