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SCIENZA: Mendeleev e l’ordine degli elementi chimici

Il mattino del 17 febbraio del 1869 Dmitrij Ivanovič Mendeleev si sveglia di soprassalto nel suo studio. Deve essersi addormentato a notte fonda direttamente sulle carte che stava studiando, stremato dallo sforzo e deluso dall’ennesimo insuccesso. Nonostante abbia dormito in una posizione scomoda, Mendeleev è però euforico perché in sogno ha intravisto una soluzione al problema sul quale sta sbattendo la testa non solo lui, ma una intera generazione di chimici. In sogno ha infatti compreso la struttura di quella che oggi conosciamo come tavola periodica, lo strumento che ha messo ordine tra gli elementi chimici noti e, all’epoca, ha permesso di prevedere l’esistenza di altri.

Il problema dell’ordine

La questione di come organizzare le conoscenze degli elementi chimici fino ad allora noti gli si è parata di fronte fin dagli inizi della sua carriera – di chimico presso l’Istituto pedagogico di San Pietroburgo e dal 1863 come insegnante dell’Istituto Tecnologico e dell’Università Statale della stessa città. Manca uno strumento che permetta di insegnare agli studenti quello che sappiamo, che li aiuti a orientarsi tra le decine di elementi noti e le loro caratteristiche chimico-fisiche.

Ma non si tratta solamente dell’assenza di uno strumento didattico. Tra il 1858 e il 1859, grazie a una borsa di studio, Mendeleev era stato all’università di Heidelberg, in Prussia, dove lavorava uno dei più grandi chimici della sua generazione, Robert Wilhelm Bunsen (1811-1899), famoso per aver inventato il becco di Bunsen, uno strumento indispensabile in ogni laboratorio ancora oggi. Nemmeno una mente illuminata come la sua aveva trovato una chiave per spiegare come è organizzata la materia. 

Nel 1860, come membro di una sorta di delegazione russa di cui fa parte anche il chimico e compositore Alexander Borodin (1833-1887), ha partecipato al primo congresso internazionale di chimica a Karlsruhe, dove il tema dell’ordine degli elementi tiene banco quasi tutti i giorni. Al congresso ha tenuto una relazione anche il grande chimico italiano Stanislao Cannizzaro (1826-1910) per proporre un semplice sistema per calcolare il peso atomico degli elementi. Ma nemmeno lui ha trovato la chiave che sarebbe arrivata in sogno a Mendeleev nove anni dopo.

Scoperta o invenzione?

Lo schema, quello elaborato a partire dal suo sogno, è originale perché per la prima volta Mendeleev si accorge che nell’insieme degli elementi esiste una periodicità. Cioè, comincia a intuire una legge della periodicità delle proprietà degli elementi: queste variano con cadenza regolare all’aumentare del numero atomico. In ogni colonna si trovano così elementi che hanno proprietà simili. L’intuizione è ancor più geniale se si pensa che il concetto di numero atomico verrà elaborato definitivamente solo all’inizio del Novecento da Ernest Rutherford e Antonius van den Broek. E tutta la discussione sulla struttura atomica, con ricerche in tutti i maggiori laboratori del mondo, si svolge dopo la sua scomparsa.

Inoltre, Mendeleev si accorge abbastanza presto che in questo modo riesce a organizzare tutti gli elementi chimici conosciuti, ma anche che la sua tavola permette di prevedere l’esistenza di altri elementi a partire dalle caratteristiche che devono avere per poter occupare i posti lasciati vuoti. Mendeleev non ha quindi solamente inventato uno strumento didattico o riassuntivo, ma si convince fin da subito di avere tra le mani anche uno strumento predittivo che potrà guidare la ricerca negli anni successivi. Da questo aspetto del suo lavoro si intuisce anche un aspetto filosofico importante, seppure implicito: l’ordine degli elementi nella tavola non sarebbe un’invenzione dello scienziato, ma Mendeleev si sarebbe limitato a scoprire come gli elementi siano organizzati in natura. 

Le conferme del pensiero di Mendeleev arrivano abbastanza presto. I tre “buchi” lasciati tra i 65 elementi noti nel 1869 vengono riempiti nell’arco di 17 anni con la scoperta di altrettanti elementi (il gallio nel 1875, lo scandio nel 1879 e il germanio nel 1886). Certo, anche altri chimici dell’epoca avevano previsto queste scoperte, ma la tavola di Mendeleev aveva permesso allo scienziato russo di prevederne dettagliatamente il peso atomico, con una precisione che nessun altro era stati in grado di fornire.

Umili origini

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Dmitri_Mendeleev_Wikipedia

La celebrità che arriva grazie alla tavola, soprattutto dopo che si sono riempiti i tre buchi avrebbe probabilmente reso felice sua madre, Marija Dmitrievna Kornil’eva, che ha fatto tutto quanto era nelle sue possibilità per garantire al figlio un’istruzione. Dmitrij Ivanovič è nato nel 1834 in un piccolo villaggio siberiano vicino a Tobol’sk, dal direttore del ginnasio locale, che però prima diventa cieco e perde il lavoro, poi muore lasciando i 12 o 14 figli (non è chiaro) sulle spalle della moglie. La sfortuna però si accanisce, perché proprio quando la vita lavorativa di Marija Dmitrievna migliora con la promozione a direttrice di una fabbrica di vetro, un incendio nel 1848 distrugge tutto, costringendola a ricominciare daccapo. È a questo punto che intraprende un viaggio della speranza verso San Pietroburgo, dove riesce a iscrivere almeno Dmitrij Ivanovič a scuola. Lo sforzo deve essere stato tale, però, che qualche giorno dopo l’inizio della scuola muore. Non sappiamo che fine facciano gli altri fratelli, ma sicuramente Dimitrj Ivanovič a metà del 1800 è a San Pietroburgo orfano di entrambi i genitori e in compagnia di un unico fratello.

Passano solamente vent’anni tra quel momento e la notte del sogno che apre le porte alla fama internazionale e a un posto di rilievo nella storia della scienza mondiale. Una fama ingigantita dalle conferme delle scoperte successive, ma che non lo ha distolto dall’idea di perfezionare la sua tavola. Nel 1890 compila la versione più aggiornata, aggiungendo l’ottava colonna, quella dei gas nobili, e conferendole la struttura che ancora oggi si trova in ogni libro di chimica del mondo.

Muore nel 1907, settantatreenne con l’aspetto che conosciamo grazie alle fotografie dell’ultimo periodo che lo ritraggono con capelli e barba lunghi, non molto diversi da quelli dipinti da Il’ja Efimovič Repin nel 1885 e oggi conservato alla Galleria Tret’jakov di Mosca. La figlia maggiore, Ljubov’ (1881-1939), in quegli anni veniva intanto immortalata dal marito, il grande poeta Aleksandr Blok, come la “Bellissima dama” (Prekrasnaja dama) della letteratura russa, contesa in un triangolo amoroso anche da Andrej Belyj.

Immagine: vubp da Pixabay 

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