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RUSSIA: Navalnyj è comunque un uomo morto

Aleksej Navalnyj, oppositore storico di Vladimir Putin, per il potere russo è un uomo morto. Non lo è ancora fisicamente, grazie ai casi fortuiti che hanno impedito al novičok – il veleno di stato – di portarlo alla tomba, ma come figura pubblica in Russia, sì. Avendo comunicato la sua intenzione di rientrare in patria nonostante il gravissimo rischio personale, la giustizia russa ha subito annunciato l’apertura di un’inchiesta per “truffa su larga scala”, reato passibile di una pena di dieci anni di prigione, e che consente in teoria l’arresto immediato al suo rientro nel paese.

Se neppure la morte sfiorata ha potuto aprire gli occhi a Navalnyj su cosa lo avrebbe atteso, ora il messaggio è chiaro: non esiste futuro per lui sul territorio russo. A maggior ragione ora che, dopo il fallimento del complotto per avvelenarlo, l’inchiesta internazionale condotta da Bellingcat, The Insider, Cnn e Der Spiegel ha individuato gli agenti del FSB (i servizi federali per la sicurezza) incaricati di eliminarlo e i loro spostamenti alle calcagna dell’oppositore per ben tre anni.  La beffa finale, condotta ai danni di uno di questi agenti che, ingannato dal numero chiamante che corrispondeva a quello del suo ufficio, ha confermato al telefono allo stesso Navalnyj, sotto le mentite spoglie di un superiore, ha rivelato i dettagli sostanziali della fallita operazione.

Un’umiliazione storica che si aggiunge all’imbarazzo dell’ennesimo avvelenamento fallito, dopo il caso di Sergej Skripal in Inghilterra, anch’egli salvato in extremis dai medici. Unica consolazione per i servizi, il fallimento inglese era stato responsabilità del GRU (il servizio segreto militare russo), quindi una struttura differente, in qualche modo vissuta come rivale del FSB.

La metodica dell’avvelenamento risale ai tempi di Lenin, e un’abbondante letteratura mostra come questa tecnica sia stata ampiamente utilizzata nei decenni, sia sotto Stalin che in tempi successivi, sino ai giorni nostri. L’ultimo successo eclatante, l’avvelenamento a Londra di Aleksandr Litvinenko nel 2006, ma negli ultimi anni vi sono stati molti casi di magnati e diplomatici russi morti improvvisamente all’estero per cause sospette. Sul caso Navalnyj, il commento del presidente Putin secondo cui, qualora i servizi avessero voluto eliminarlo ci sarebbero riusciti, risuona abbastanza sinistra: quanto siamo distanti dall’affermazione esplicita del principio secondo cui lo Stato si riconosce il diritto di eliminare un oppositore politico? Nei fatti questo passo è già stato compiuto, per il suo riconoscimento teorico forse dovremo aspettare ancora.

Foto: YouTube/Navalny (screenshot)

Chi è Alessandro Ajres

Alessandro Ajres (1974) si è laureato all’Università di Torino con una tesi su Gustaw Herling-Grudziński, specializzandosi nello studio della lingua e letteratura polacca. Nel 2004 ha conseguito il dottorato di ricerca in Slavistica con un lavoro sull’Avanguardia di Cracovia, da cui scaturirà poi il volume Avanguardie in movimento. Polonia 1917-1923 (Libria 2013). Attualmente è professore a contratto di Lingua Polacca all’Università di Torino.

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