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RUSSIA: Caso Navalny. L’avvelenamento della “creatura del Cremlino”?

Il famoso oppositore di Putin, Aleksej Navalny, è stato avvelenato con il ‘novichok’, lo stesso agente nervino utilizzato contro l’ex agente dei servizi segreti russi Skripal, colpito due anni fa nel Regno Unito. È questa la conclusione delle autorità tedesche, paese dove Navalny è stato trasportato su richiesta della sua famiglia dopo essere finito in coma nell’ospedale di Omsk, in Siberia. E mentre la cancelliera tedesca, Angela Merkel, chiede spiegazioni alle autorità russe, molte strade sembrano portare direttamente al Cremlino. Ma al di là delle speculazioni e supposizioni, chi è davvero Aleksej Navalny e cosa significa il suo avvelenamento?

Liberale, nazionalista e agente del Cremlino

Una domanda banale, ma si sa che in Russia sono proprio le domande facili ad avere le risposte più complesse. La complessità della sua figura si abbina spesso male, infatti, con la voglia di chi ne parla di presentare un’immagine intelligibile e semplificata. I romantici, così, lo dipingono come un campione del paradigma liberale, unico incorruttibile paladino e speranza per il futuro della Russia, con in mano al posto della spada una webcam e un iPhone. Gli scettici, puntano il dito soprattutto sul suo passato, fatto più di business e nazionalismo che di progressismo democratico. Quelli che sono ancora più scettici vanno anche oltre, vedendo nella figura di Navalny una vera e propria creazione del Cremlino, un modo per far vedere che un’opposizione sia possibile anche in Russia e rafforzare la legittimità del regime. Come dire, “lo vedete, abbiamo anche noi un’opposizione, ma la gente comunque vota per Putin”.

Il problema con tutte queste immagini è che propongono una visione statica sia del regime sia dell’opposizione. Non solo. Tendono a proiettare immagini stereotipate raggruppando tutto in categorie che hanno a che vedere più con i valori (o preconcetti) che circondano l’osservatore, piuttosto che con la complessa realtà del regime. Il paradosso, infatti, è che in Russia puoi anche essere tutte queste cose insieme, nazionalista e liberale, oppositore di Putin e allo stesso tempo sua stampella.

Un uomo del sistema

Nonostante la sua immagine anti-sistemica, Navalny nasce come uomo del sistema. La sua carriera politica inizia nel 2000 all’interno delle strutture del partito ‘liberale’ Yabloko. Espulso nel 2007 per la sua attività che strizzava l’occhio al nazionalismo xenofobo, abbandona le strutture politiche tradizionali creandosi un’immagine ibrida con una discreta flessibilità ideologica. Abbina a sporadici tentativi elettorali la sua attività di giornalista investigativo che punta il dito contro la corruzione nelle alte sfere dello stato.

Nel 2011 quest’attività diventa più strutturata e nasce la sua Fondazione Anti-Corruzione (FAC) che in pochi anni diventerà la vera base del suo ‘impero mediatico’ e della sua rinnovata immagine di paladino anti-regime. Le sue posizioni più xenofobe, intanto, lasciano lentamente spazio a un nazionalismo più moderato (e accettabile agli occhi degli osservatori occidentali) e il suo iper-liberalismo economico di stampo marcatamente americano – che continua tanto ad affascinare i liberali russi – sembra ora più stemperato.

Nel frattempo anche la Russia è cambiata. I partiti ‘liberali’ sono stati estromessi dal parlamento nel 2003 e non vi hanno fatto più ritorno. L’opposizione parlamentare è stata lentamente addomesticata. Il Cremlino ha iniziato a giocare a braccetto con il nazionalismo. Anche il primo tentativo di Navalny di incidere dal punto di vista politico nel frattempo era fallito.

Nel 2009 era stato nominato consigliere del governatore della regione di Kirov. La sua vita nelle strutture del potere, però, finì presto e male. La società statale Kirovles (che si occupa della vendita di legname) viene accusata di aver favorito l’appropriazione di denaro pubblico da parte di privati. Uno schema classico. Il nome di Navalny appare nelle carte processuali. Una vicenda complessa – data anche la scarsa indipendenza del sistema giudiziario – ma che torna a tuonare nel 2013, alla vigilia delle elezioni per il sindaco di Mosca, quando Navalny, già uno degli oppositori più famosi, viene condannato a 5 anni e arrestato. Secondo la ricostruzione di Proekt-Media, infatti, alla vigilia delle elezioni l’amministrazione presidenziale prende una decisione: permettere a Navalny di partecipare.

Il ragionamento sembra lineare e il regime non è un monolite. Dopo le grandi proteste del 2011-2012, nasce il bisogno di allentare un po’ la corda. Permettere a Navalny di partecipare (e di perdere) è la valvola di sfogo ideale e un elemento di legittimazione per il Cremlino. Il suo arresto arriva come una sorpresa e sottolinea una mancanza di coordinamento tra i vari organi dello Stato, ma il problema viene presto risolto. Appena il giorno dopo infatti l’oppositore viene rilasciato e gli viene permesso di registrare la propria candidatura. Riuscirà a totalizzare poi un sorprendente 27% di preferenze. Nasce anche da qui il mito di Navalny come ‘creatura del Cremlino’.

Leader dell’opposizione, ma quale?

Ma non è solo per il suo essere un personaggio che proviene dal sistema a rendere difficile definire Navalny come unico o vero leader dell’opposizione. Secondo un sondaggio di Levada Center, infatti, solo il 9% dei rispondenti considera l’attività di Navalny ‘positivamente’, contro il 25% che la vedono sotto una luce negativa e il 31% che rimangono indifferenti. Questo non sottolinea solo lo stato dell’opposizione in un regime come quello russo, ma anche la sua disomogeneità e frammentazione, alla quale lo stesso Navalny ha in buona misura contribuito. Non è raro sentire altri esponenti dell’opposizione extraparlamentare parlare dell’autoritarismo di Navalny, della sua scarsa volontà di costruire un fronte più ampio, oltre a una collaborazione sporadica. Per il suo modo e per il suo passato rimane un personaggio contestato anche all’interno dello stesso campo dell’opposizione.

Il più grande successo di Navalny, infatti, non è stato quello di aver unito l’opposizione a Putin, ma piuttosto quello di aver creato un brand, uno stile e un progetto per molti versi semplice ma funzionale, che catalizza il malcontento partendo da questioni pratiche, tangibili, la corruzione appunto. Di aver abbandonato il linguaggio tipico dell’intelligencija liberale russa, incapace di far presa sulla popolazione più giovane. Di aver presentato strategie elettorali innovative, come quelle del voto intelligente, che sarà adottato anche nelle prossime elezioni regionali previste per metà settembre. Uno sforzo notevole anche dal punto di vista pratico, con sedi del FAC aperte in moltissime regioni del paese, tra mille ostacoli.

E ora..?

Non sapremo mai chi lo abbia avvelenato. Se sia stato direttamente Putin a commissionare l’avvelenamento o se, come alcuni affermano, sia stata un’idea di qualche potente ramo dello Stato (servizi segreti) o qualche oligarca finito nella lunga lista dei corrotti sbugiardati da Navalny. Se, come sostiene qualche cospirazionista supportato (consapevolmente o inconsapevolmente) dalla propaganda (che paradosso!), il Cremlino abbia deciso di sbarazzarsi di una sua creatura divenuta scomoda, o se sia tutta una trama dell’opposizione o dei servizi segreti occidentali, come afferma il Cremlino. Il fatto che il veleno trovato nel corpo di Navalny sia il famoso ‘novichok’ e che i servizi segreti seguissero passo-passo tutti i suoi spostamenti, appare se non altro un’indicazione abbastanza chiara, per chi vuole coglierla.

Sembra anche inutile domandarci la logica, il perché. Sentire il solito ritornello: “non conviene a Putin”. O cercare di indovinare perché proprio ora e non un anno fa, o non domani. Come ha scritto bene Ekaterina Šul’man, politologa e docente dell’Accademia presidenziale dell’economia nazionale e della pubblica amministrazione (RANEPA), la logica del regime e dei vari gruppi al potere non segue il concetto di razionalità come lo intendiamo noi. Quello che è irrazionale per me, non è per forza irrazionale per un boss mafioso, per un oligarca, per il Cremlino.

In tutta questa storia, due cose appaiono evidenti però. Primo, un certo cortocircuito del ‘navalnismo’. Navalny si è nutrito delle piazze, è stato capace di mobilitare le persone quando gli era stato proibito di correre nelle elezioni presidenziali (2018), di riempire le strade di giovani sdegnati per le ville e gli yatch dell’allora primo ministro Medvedev. Non è un’accusa, ma la domanda sorge quasi spontanea: dove sono i suoi sostenitori ora? Perché nessuno scende in piazza (a parte qualche sporadico picchetto) quando tutti gli indizi sembrano indicare il fatto che ci sia il regime dietro al ‘novichok’? Dov’è la famosa Generation P, quella della politica qualcosa punto zero, quella della comunicazione in tempo reale, dell’interazione multimediale? Magari la mobilitazione ci sarà domani o tra una settimana. Ma potrebbe essere troppo tardi.

Infine, quello che l’avvelenamento di Navalny sottolinea è probabilmente l’inizio di una nuova fase del regime e di nuove configurazioni delle sue dinamiche interne. Come sottolinea il giornalista Oleg Kashin, Navalny nell’ultimo decennio ha plasticamente rappresentato la stabilità e la prevedibilità del regime. Putin è il suo eterno leader e Navalny il più famoso tra gli oppositori. “Era difficile immaginarlo arrestato o ucciso. Ma tutto cambia”. Il regime non è un monolite, appunto.

Foto: Evgeny Feldman/AP

Chi è Oleksiy Bondarenko

Nato a Kiev nel 1987. Laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Bologna (sede di Forlì), si interessa di Ucraina, Russia, Asia Centrale e dello spazio post-sovietico più in generale. Attualmente sta svolgendo un dottorato di ricerca in politiche comparate presso la University of Kent (UK) dove svolge anche il ruolo di Assistant lecturer. Il focus della sua ricerca è l’interazione tra federalismo e regionalismo in Russia. Per East Journal si occupa di Ucraina e Russia. Collabora anche con Osservatorio Balcani e Caucaso.

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