da Affari Internazionali
Il Parlamento europeo non è più una Cenerentola in materia di politica estera e di difesa. Se ne sono accorti non solo gli Stati membri e le altre istituzioni dell’Unione europea, ma anche gli americani. Forte dei suoi nuovi poteri di controllo sull’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza (AR), l’Assemblea di Strasburgo sta facendo la voce grossa nel negoziato con AR e i governi nazionali su organizzazione e funzionamento del nuovo Servizio europeo per l’azione esterna (Seae). Ma rivendica anche una maggiore voce in capitolo sulle missioni dell’Unione, finora quasi tutto sottratte al suo controllo. Non è ancora chiaro, tuttavia, quanto i nuovi poteri che il Trattato di Lisbona attribuisce al PE gli consentiranno di dare un contribuito coerente ed efficace alla politica estera europea.
Nuovi poteri
All’inizio di febbraio l’attuale segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha chiamato il presidente del Parlamento europeo Jerzy Buzek per perorare un voto favorevole dell’Assemblea di Strasburgo al c.d. accordo Swift sul trasferimento agli Usa di dati bancari di cittadini Ue nell’ambito della lotta al terrorismo. L’11 febbraio scorso il PE ha tuttavia votato a larga maggioranza contro l’accordo, che non è quindi potuto entrare in vigore. Le due parti sono state quindi costrette a negoziare su un nuovo testo. In effetti il Trattato di Lisbona ha esteso il potere di codecisione del PE a una serie di nuove politiche interne, fra cui quelle riguardanti lo “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”, conferendogli il potere di veto sugli accordi internazionali che le riguardano.
Altre due novità rilevanti del trattato di Lisbona – la creazione dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che è anche vicepresidente della Commissione, e il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) – aprono interessanti spazi di azione per il PE. Il nuovo Alto rappresentante, ad esempio, in quanto membro della Commissione, è soggetto, unitamente agli altri commissari, al voto di approvazione del Parlamento e individualmente ad un’audizione preliminare sempre presso il PE. L’Alto rappresentante ha inoltre il dovere di tenere il PE costantemente aggiornato sui principali sviluppi in materia di politica estera, di sicurezza e difesa e, novità significativa, dovrà provvedere “affinché le opinioni del Parlamento europeo siano debitamente prese in considerazione.” (art. 36 Tue).
Controllo democratico
Mostrando di voler utilizzare le nuove possibilità offerte dal Trattato di Lisbona, il PE ha riproposto il problema del controllo democratico (accountability) sulla politica estera, di sicurezza e difesa. Proprio in questi giorni si sta discutendo a Bruxelles una proposta – sulla quale non c’è però ancora accordo – per definire il ruolo del PE nel controllo democratico della politica estera e di sicurezza. La proposta, che è stata formulata su sollecitazione dello stesso PE, precisa alcuni degli atti sui quali il Parlamento sarà consultato, come ad esempio le strategie e il mandato delle missioni dell’Ue all’estero finanziate dal bilancio comune. In effetti, il ruolo del PE in materia di missioni civili e militari è sempre stato estremamente ridotto. Il potere maggiore su cui finora ha potuto fare leva è quello di bilancio, che si applica però solo alle missioni civili. Il documento propone inoltre un’estensione del finora limitato accesso dei parlamentari europei alle informazioni confidenziali in materia di missioni.
Il PE è comunque intenzionato a insistere per un’estensione delle proprie prerogative in una fase in cui anche altri elementi del quadro istituzionale stanno cambiando. Il 31 marzo scorso, infatti, è stato deciso che l’Unione dell’Europa occidentale (Ueo) terminerà le sue funzioni, e con essa anche l’Assemblea interparlamentare preposta al controllo sulla politica di sicurezza e difesa dell’Ue. Si è quindi aperto un dibattito sulla soluzione istituzionale per sostituire l’Assemblea parlamentare dell’Ueo: creare un nuovo organo transnazionale oppure favorire il coordinamento in altre forme tra i parlamenti nazionali? Anche in questo caso, il PE sembra intenzionato a far sentire la propria voce, rivendicando un accrescimento del suo ruolo.
La battaglia sul nuovo Servizio diplomatico europeo
Anche l’intenso negoziato in corso tra il PE da un lato e AR e governi nazionali dall’altro sull’organizzazione e il funzionamento del Seae conferma che il PE mira a conquistare più spazio in politica estera. Il Parlamento ha solo un ruolo “consultivo” sulla decisione istitutiva del Seae, ma ha un potere di co-decisione su due punti fondamentali: la modifica del bilancio dell’Ue (bilancio rettificativo) necessaria a dar vita al bilancio autonomo del Servizio e lo statuto del personale del Seae. Legando queste due questioni su cui ha competenza a co-decidere a quelle più generali su cui invece ha un ruolo meramente consultivo (organizzazione e funzionamento del Seae), il Parlamento è oggi a un passo dal suo obiettivo politico di fondo: avere voce in capitolo anche sul merito del bilancio del Seae e accrescere i suoi poteri di controllo su alcune delle nomine più importanti.
Il Parlamento ha ottenuto altri risultati. Su sua richiesta, è stato parzialmente ridimensionato il ruolo del Segretario generale che sarà al vertice del Servizio (la candidatura fino ad oggi più accreditata è quella dell’Ambasciatore di Francia a Washington, Pierre Vimont); si è concordato che i capi delle delegazioni dell’Ue all’estero più strategiche saranno ascoltati dalla Commissione affari esteri del PE dopo essere stati nominati, ma prima che assumano l’incarico presso la nuova sede; ed è stato stabilito che le delegazioni dell’Ue si doteranno di una persona che fungerà da collegamento con il Parlamento europeo. Il Parlamento non è tuttavia riuscito ad ottenere né che il Seae fosse inserito interamente all’interno della Commissione (proposta che fin dall’inizio era sembrata utopistica e in contrasto con la lettera del Trattato) né che i vicesegretari generali fossero di nomina politica e dunque più direttamente controllabili dal PE. La struttura finale del Servizio sarà comunque il risultato di un ampio accordo inter-istituzionale, la cui concreta attuazione costituirà anche il più importante banco di prova del nuovo equilibrio politico-istituzionale previsto dal trattato di Lisbona. Secondo le previsioni più realistiche, il negoziato con il PE si concluderà entro la fine di giugno, il che potrebbe consentire l’adozione da parte del Consiglio della decisione sull’istituzione del Seae entro luglio. Bilancio del Servizio e statuto del personale saranno approvati solo dopo l’estate.
Il nuovo dinamismo del PE in politica estera e non solo, è una novità certamente positiva. Anche alla luce dell’ulteriore calo dell’affluenza alle urne registratosi nelle elezioni europee di giugno 2009, è fondamentale che le forze politiche del Parlamento europeo utilizzino a fondo le numerose potenzialità contenute nel Trattato di Lisbona per accrescere il ruolo politico-istituzionale del PE. Ma anche per rafforzare legittimità democratica, coerenza e dimensione sopranazionale della politica estera dell’Ue.
Michele Comelli è responsabile di ricerca presso lo Iai. Raffaello Matarazzo è ricercatore dello Iai e caporedattore di AffarInternazionali
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