Continua ad essere precaria la situazione dei cittadini azeri a Kullar, paesino russo di poco più di duemila anime situato al confine tra la Repubblica Autonoma del Daghestan (nel distretto di Derbent) e l’Azerbaigian. Più di mille cittadini azeri, desiderosi di tornare in patria, sono rimasti bloccati in questo villaggio, dove è stato allestito un centro di accoglienza temporaneo che fa parlare di sé per le condizioni di disagio.
La pandemia riporta il Daghestan nell’occhio del ciclone
La recessione economica, iniziata in Russia nella primavera del 2020 a seguito delle misure di quarantena dovute al COVID-19, ha costretto molti migranti azeri che hanno perso il lavoro a cercare di tornare a casa. Peccato che il confine tra Russia e Azerbaigian sia stato chiuso il 18 marzo e, dopo un drastico aumento dei contagi, il governo di Baku abbia deciso di prolungarne la chiusura il 21 giugno. Per questo motivo, centinaia di lavoratori sono stati fermati a Kullar dove, dopo un breve periodo trascorso in alloggi improvvisati in moschee, case e alberghi, il ministero delle Emergenze del Daghestan ha allestito un centro di accoglienza. Per accedervi, occorre risultare negativi al test per il coronavirus. La decisione di aumentare o diminuire il numero di tende nel campo spetta alla sede operativa della repubblica daghestana.
Le condizioni del centro di accoglienza, per motivi di capienza – era stato pensato per ospitare fino a 500 persone – e di igiene, sono apparse subito inadatte per fronteggiare la situazione. L’Associazione per l’autonomia culturale degli azeri in Russia, impegnata da tempo in Daghestan, dove l’etnia azera costituisce quasi il cinque per cento della popolazione, si è attivata sin dagli inizi dell’emergenza per denunciare lo stato in cui versavano gli ospiti del centro di accoglienza. Intanto, oltre al campo ufficiale a Kullar ne sorgeva un altro abusivo, colmato dagli azeri che continuavano ad arrivare, ma privo delle tende assegnate dal governo. Altri ancora, infine, venivano ospitati da residenti locali, o trovavano alloggio in hotel, macchine e persino in un autolavaggio poco distante dal campo.
La situazione degenera: Mosca e Baku intervengono
Le condizioni nelle tendopoli di Kullar, unite agli arbitri della polizia locale – accusata di favoritismi verso gli azeri disposti a pagare pur di scalare le liste dei rimpatri – sono sfociate in una grave crisi. Uno sciopero della fame nel campo è cominciato il 13 giugno e nella notte tra il 14 e il 15 giugno vi sono stati scontri tra alcuni cittadini azeri che provavano ad attraversare il confine illegalmente e la guardia di frontiera del Daghestan, culminati con 93 arresti.
Soltanto quest’ultimo episodio, il quale ha avuto una notevole risonanza mediatica in ambi i paesi, ha spinto Mosca e Baku a discutere della situazione del campo di Kullar. Questo perché entrambe le parti, più che per la salute e la frustrazione di chi abita nelle tendopoli, sono preoccupati per lo sfaldamento dei già delicati equilibri geostrategici legati al Daghestan; temono la diffusione dell’islamismo di matrice salafita nell’intera regione del Caucaso e per la sicurezza dell’oleodotto Baku-Novorossysk, il quale attraversa i territori daghestani e contribuisce in maniera decisiva agli approvvigionamenti energetici del sud della Russia.
Un nuovo accordo raggiunto per via telefonica tra il presidente russo Vladimir Putin e quello azero Ilham Aliyev, d’intesa con il governatore daghestano Vladimir Vasiliyev, ha dato il via alle operazioni per il rimpatrio graduale degli sfollati. Il 25 agosto 400 persone sono potute tornare in Azerbaigian, mentre altre 800 rimanevano nel campo. L’8 settembre vi sono stati altri rimpatri (nello stesso numero) e, pian piano, la situazione va migliorando.
Verso la fine dell’incubo?
Il numero degli azeri nelle tendopoli rimane soggetto a variazioni. A detta del vice presidente dell’Associazione per l’autonomia culturale degli azeri in Russia della regione di Mosca, Afig Allahverdiyev, continuano ad arrivare persone a Kullar con la speranza di attraversare il confine, tra le 30 e le 60 al giorno secondo le sue stime, attratte dalla prospettiva del rimpatrio.
La pandemia ha messo a nudo la fragilità delle relazioni trilaterali tra Russia, Azerbaigian e Repubblica Autonoma del Daghestan, che rivestono un ruolo di primaria importanza in materia di sicurezza per l’intera regione del Caucaso. La situazione a Kullar inizia a migliorare, ma visto l’andamento graduale e ancora incerto dei rimpatri, difficile dire quando le tendopoli saranno finalmente vuote.
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