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MONTENEGRO: Attacchi alla comunità islamica. È questo il prezzo della democrazia?

Nei giorni scorsi la comunità musulmana in Montenegro è stata oggetto di violenze e di pesanti provocazioni. Sembra questo, per il momento, il lascito più evidente del risultato del voto del 30 agosto scorso e, soprattutto, del clima divisivo e conflittuale che si è vissuto nell’intero paese nelle settimane precedenti l’ultima tornata elettorale.

I fatti

Tre giorni dopo il voto, è stato Samir Kadribašić, imam di Pljevlja, centro nel nord del paese dove maggiore è la concentrazione di cittadini di etnia bosgnacca, di fede musulmana, a segnalare che il locale ufficio della comunità islamica era stato bersagliato da diversi oggetti provocandone lo sfondamento delle vetrate.

Una denuncia che è arrivata a valle di giornate in cui in tutta la città si erano già registrate aggressioni, fisiche e verbali, ai danni di diversi cittadini bosgnacchi. Disordini che peraltro si erano estesi all’intero paese, a Nikšić, Herceg Novi e Bar, oltre che alla capitale Podgorica, al punto da indurre Husein Kavazović, capo della comunità islamica di Bosnia Erzegovina, a fare appello alle autorità montenegrine affinché garantissero la sicurezza della minoranza musulmana.

Le cause

Sebbene le prese di distanza dai fatti non siano tardate ad arrivare – prima tra tutte quella significativa del metropolita ortodosso serbo di Montenegro, Amfilohije Radović, che ha ufficialmente dichiarato che “un attacco ai musulmani di Pljevlja è un attacco a ogni cristiano a Pljevlja e a ogni cittadino del Montenegro” – resta il fatto che le tensioni interetniche nel paese hanno raggiunto un livello preoccupante. Quanto sta accadendo appare la diretta, e per certi versi inevitabile, conseguenza dei temi – e dei toni – che per settimane hanno caratterizzato l’intera campagna elettorale in Montenegro.

La vittoria del fronte dell’opposizione che, per la prima volta dopo trent’anni, mette a rischio il dominio ininterrotto del padrone indiscusso del Montenegro, l’attuale presidente della repubblica Milo Đukanović, sembra fatta apposta per gettare ulteriore benzina sul fuoco. Sebbene una naturale alternanza democratica sia da considerarsi auspicabile per un paese guidato da trent’anni dallo stesso ceto politico, il risultato positivo della coalizione d’opposizione “Per il futuro del Montenegro” potrebbe, infatti, consegnare le chiavi del nuovo governo nelle mani del Fronte Democratico, partito marcatamente connotato a livello etnico e noto per la sua vicinanza a Belgrado e Mosca.

Così come era nota la sua posizione contro la Legge sulla libertà religiosa, che ha esacerbato la divisione tra la componente serba della chiesa ortodossa e quella montenegrina, quest’ultima più vicina alle posizioni di Đukanović. Non è un caso che il Fronte Democratico abbia avuto l’esplicito appoggio della Chiesa ortodossa serba e che lo stesso Amfilohije Radović, che oggi richiama alla tolleranza, portava ieri in piazza migliaia di fedeli contro il governo. Un tema, quello religioso, che visto in quest’ottica si configura come una trappola dentro la quale Đukanović sembra essere caduto mani e piedi, forse più per presunzione che per sottovalutazione. Đukanović stesso, dal canto suo, ha ulteriormente rincarato la dose prendendo progressivamente le distanze da Belgrado ed elevandosi a improbabile patriota montenegrino, con il risultato di catalizzare ulteriormente la spaccatura tra chi si identifica come montenegrino e chi come serbo.

Nel mezzo di questo clima di esasperato nazionalismo – plasticamente rappresentato dalle smodate scene di giubilo nazionalista post-voto – il vaso di coccio è rappresentato dalla comunità islamica, come testimoniato dagli atti di violenza e dalle intimidazioni che ha subito e di cui i fatti di Pljevlja potrebbero rappresentare solo la punta dell’iceberg.

Le conseguenze

Difficile prevedere, oggi, quali strascichi e quali conseguenze potrà avere lo scontro in atto sul tessuto connettivo della società montenegrina. Certo appare improbabile che il muro contro muro e la progressiva radicalizzazione delle ostilità cui si è assistito per l’intera campagna elettorale possano non avere conseguenze a lungo termine. A corroborare questo timore è anche il raduno di domenica scorsa a Podgorica cui hanno preso parte almeno 50 mila persone, scese in piazza con le bandiere montenegrine per protestare contro il crescente peso del nazionalismo serbo nel paese.

La spaccatura è aperta e l’ipotesi che si allarghi ulteriormente, concreta. Così come concreto appare il rischio che il processo sfugga di mano prendendo derive inimmaginabili. È ancora Husein Kavazović che in una lettera aperta indirizzata agli ambasciatori di Stati Uniti e Europa ricorda la “lunga esperienza di crimini e persecuzioni a cui sono stati esposti bosgnacchi e musulmani in quelle aree”, manifestando tutta la propria preoccupazione nel vedere come “le stesse ideologie che erano alla base dei crimini passati stanno tornando al pubblico e alla politica”. Non un allarme infondato, peraltro, come testimoniato dal fatto che attraverso una delle finestre rotte a Pljevlja, qualcuno ha lanciato l’inquietante messaggio “Pljevlja sarà Srebrenica”.

Molto starà alle parti, alla capacità della classe politica (e religiosa) del paese di riportare la situazione nell’alveo della ragionevolezza e, soprattutto, alla gestione delle prossime settimane. In questo senso si deve notare che, non avendo i numeri per governare da solo, il Fronte Democratico dovrà trovare sponda nelle altre componenti dell’attuale opposizione. Da una parte la coalizione centrista ed europeista “La pace è la nostra nazione”, dall’altra la piattaforma “Nero su bianco” guidata dal movimento verde Azione Riforma Unita (URA) e formata da rappresentati civici e indipendenti. Si può dunque ragionevolmente sperare che questo possa contribuire a stemperare gli animi favorendo il ritorno ad un clima di riconciliazione nazionale, necessario al paese in una fase così delicata della sua vita politica.

E’ in questa direzione che sembra andare l’accordo firmato dai tre gruppi l’8 settembre scorso a Podgorica: impegno “del nuovo governo democratico del Montenegro” a mantenere gli accordi internazionali già in essere e prosecuzione del processo di integrazione europea ne costituiscono l’architrave. La promessa di mantenere l’unità nazionale e di aprire al dialogo con le minoranze, dentro e fuori il parlamento, fa guardare al futuro con cauto ottimismo.

Foto: Samir Kadribašić

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato in Kazakhstan. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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