La protesta delle donne bielorusse è una protesta femminista?

Quella in corso in Bielorussia passerà forse alla storia come una rivoluzione che “ha un volto di donna”. E non è solo il volto di Svetlana Tichanovskaja, la leader dell’opposizione che, per la prima volta in 26 anni, è riuscita a far vacillare il regime dittatoriale e paternalista di Aleksander Lukashenko. Come dimostrano le centinaia di foto e video che spopolano sui media, le donne bielorusse sono in prima linea nelle manifestazioni di massa che proseguono incessantemente dallo scorso 9 agosto.

L’estetica della protesta ‘al femminile’ sembra però aver preso il sopravvento sulla sostanza. Dietro ai titoli acchiappaclick sulla “rivoluzione femminista” e all’entusiasmo di chi negli eventi delle ultime settimane già individua “l’emergere di un modo diverso, femminista, di fare politica”, si celano analisi troppo semplicistiche o patinate delle trasformazioni in corso in Bielorussia. Analisi che spesso e volentieri sono farcite di stereotipi di genere tutt’altro che progressisti.

Leadership femminile o patriarcato?

La figura di Tichanovskaja, insieme a quella delle altre due leader dell’opposizione Marija Kolesnikova e Veronika Tsepkalo, pone fin da subito un problema di interpretazione. Qualsiasi foto delle tre donne e dei loro gesti diventati ormai iconici (Tichanovskaja che alza il pugno, Tsepkalo che fa il segno della vittoria e Kolesnikova che forma un cuore con le mani) potrebbe essere l’illustrazione perfetta di una brochure progressista dedicata alla “leadership femminile” della Bielorussia di domani.

Eppure, come ricorda la sociologa bielorussa Elena Gapova, l’ascesa politica di queste donne è avvenuta in circostanze tutt’altro che emancipatorie. Come sappiamo, Tichanovskaja, Tsepkalo e Kolesnikova si sono fatte carico del lavoro di tre candidati uomini che sono stati esclusi dalle elezioni, ma che restano attori importanti per il futuro dell’opposizione. Lukashenko, che ritiene che le donne servano solo a ‘decorare’ un mondo governato dagli uomini, ha permesso a Tichanovskaja di presentarsi come candidata proprio perché donna, sottovalutandola fin dal principio. E per il potere bielorusso e (quello che rimane del)la sua reputazione, mettersi ad arrestare donne in massa sarebbe semplicemente troppo sconveniente.

Paradossalmente, quindi, l’emergenza della nuova “leadership femminile” bielorussa non sarebbe altro che il risultato dell’azione repressiva e paternalista dello stato. Ma c’è di più.

Un ruolo in evoluzione

Pur essendo entrata in politica per ragioni private, facendo le veci del marito e dichiarando che avrebbe preferito continuare a occuparsi dei figli e a “friggere cotolette”, Tichanovskaja ha spianato la strada per una presa di coscienza civica da parte delle donne bielorusse. Con il sostegno di Tsepkalo e Kolesnikova, Tichanovskaja è riuscita a creare un’opposizione unita, suscitando un entusiasmo popolare senza precedenti e arrivando a insidiare il potere di Lukashenko.

In maniera simile, nei momenti immediatamente successivi alla chiusura dei seggi il 9 agosto, molte donne bielorusse si sono ritrovate a fare la fila davanti ai centri di detenzione dove erano stati rinchiusi i loro mariti o i loro figli, vittime della violenza poliziesca con cui sono state sedate le manifestazioni pacifiche scoppiate in tutto il paese. Sono bastati pochi giorni affinché le donne prendessero le redini delle proteste, organizzandosi nel movimento delle “donne in bianco” per chiedere nuove elezioni, la liberazione dei prigionieri politici e sostenere le vittime della repressione.

È in corso una trasformazione del ruolo delle donne bielorusse nella sfera pubblica: precedentemente confinate a un ruolo subalterno (presenti nella società civile e politica, ma quasi mai in posizioni di potere o di visibilità), le donne bielorusse si stanno posizionando come soggetti attivi e visibili. Va però sottolineato che i movimenti sociali possono essere ma anche non essere trasformativi dal punto di vista delle relazioni di genere, possono avere esiti contraddittori ed evoluzioni non lineari.

La protesta instagrammabile

Alla luce di questa complessità, dovrebbe preoccuparci il fatto che alcuni media, anche in Italia, si limitino ad esaltare il lato ‘pop’ e ‘instagrammabile’ della protesta delle donne bielorusse, alternativamente soffermandosi sul carattere non-violento, empatico e per estensione ‘femminile’ delle manifestazioni (scene come quelle in cui le donne distribuiscono fiori e abbracciano i poliziotti), o peggio ancora sul look delle “ragazze di Minsk: giovani, truccate e pettinate, di bianco vestite e armate di smartphone contro i manganelli.

Se c’è chi (ab)usa i temi ‘femministi’ per presentarsi come ‘liberale’ e ‘moderno’, anche chi ne scrive in buona fede rischia di cadere nella trappola dei luoghi comuni e degli schemi eteronormativi. Oltre a far apparire la protesta delle donne bielorusse come frivola e caricaturale, queste analisi non rendono giustizia al lavoro meno ‘fotogenico’ che le attiviste bielorusse portano avanti da anni, nonostante la repressione di cui sono vittime (anch’essa poco visibile, perché poco documentata). A latere, si finisce anche per distogliere l’attenzione del pubblico dagli aspetti più brutali delle manifestazioni in corso, da cui le donne non vengono risparmiate.

Soprattutto, queste analisi riflettono un’interpretazione superficiale del femminismo: la pura presenza delle donne in politica (o in strada a manifestare) non basta per trasformare la società e scardinare la cultura patriarcale.

Dall’emancipazione al femminismo

La filosofa e femminista bielorussa Olga Shparaga sostiene che sarebbe più corretto parlare di ‘emancipazione’ piuttosto che di femminismo in relazione al ‘fenomeno-Tichanovskaja’ – perlomeno se per femminismo si intende un progetto che mira alla realizzazione di una piena, reale e onnicomprensiva uguaglianza di genere.

L’alleanza di Tichanovskaja con le altre due esponenti dell’opposizione, che l’hanno sostenuta e rafforzata, avrebbe comunque portato alla “formazione di un nuovo soggetto collettivo femminile in Bielorussia”: una presa di coscienza collettiva che è un presupposto fondamentale per l’eventuale sviluppo di un’agenda femminista. Secondo Shparaga, su queste basi si è già costituito “un modello di solidarietà, resistenza pacifica e collaborazione orizzontale della società intera”.

Un passo ulteriore da compiere riguarda la relazione tra il personale e il politico: resta da vedere fino a che punto la nuova presenza delle donne nella sfera pubblica comporterà una rimessa in discussione dei ruoli di genere anche nella sfera privata (quella fatta di ‘figli e cotolette’), e quanto sostegno un’eventuale nuova agenda femminista troverà tra la popolazione.

A tal proposito, sono significative le dichiarazioni di una manifestante bielorussa riportate da Reuters: “[il movimento delle donne] non riguarda ormai solo la politica. Riguarda la vita familiare, le relazioni con i mariti. La nostra società è molto patriarcale, ma quando la rivoluzione sarà finita questo dovrà cambiare”. Sono questi gli interrogativi femministi e scomodi che la candidatura di Svetlana Tichanovskaja e le proteste in corso hanno contribuito a sollevare, ma che non hanno ancora trovato risposte certe.

Foto: tut.by. Il cartello recita: “Il boršč non si prepara con la cipolla marcia!”. Il boršč è la tradizionale zuppa di barbabietole, la cui preparazione viene tipicamente vista come una ‘cosa da donne’. Il gioco di parole è tra “luk” – in russo, cipolla – e “Luka”, diminutivo di Lukashenko.

Chi è Laura Luciani

Nata a Civitanova Marche, è dottoranda in scienze politiche presso la Ghent University (Belgio), con una ricerca sulle politiche dell'Unione europea per la promozione dei diritti umani e il sostegno alla società civile nel Caucaso meridionale. Oltre a questi temi, si interessa di spazio post-sovietico in generale, di femminismo e questioni di genere, e a volte di politiche linguistiche. E' stata co-autrice del programma "Kiosk" di Radio Beckwith.

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