Nel cosiddetto ‘vicinato orientale’ – quella parte di spazio post-sovietico che è descritta a volte come ‘condivisa’, altre come ‘contesa’, da Russia e Unione europea, i diritti delle persone LGBT sembrano essere diventati una questione geopolitica.
Quando si parla di diritti LGBT nella regione, la chiave di lettura dominante nei media occidentali, ma anche in certi ambienti della politica e dell’attivismo (pro-)europei, si basa sui postulati seguenti: l’Unione europea sostiene i diritti umani, inclusi i diritti LGBT, che sta cercando di promuovere anche nel vicinato. La Russia, avendo dichiarato guerra aperta ai valori liberali, manipola l’opinione pubblica (non solo a casa ma soprattutto all’estero) per sviluppare sentimenti ostili nei confronti delle persone LGBT e di quella che ormai viene chiamata ‘Gayropa’, l’Europa gay che ha sede a Bruxelles.
Come si legge in un articolo sui diritti LGBT nello spazio post-sovietico pubblicato nel 2015 dal portale EUobserver: “La protezione delle minoranze sessuali era considerata una questione di diritti umani. Ma la Russia, con la sua guerra di propaganda contro l’Unione europea e gli Stati Uniti, l’ha resa geopolitica“. Questa rappresentazione dei diritti LGBT come “vittime” della geopolitica è tanto semplice quanto problematica, perché rende invisibili tutta una serie di criticità nella lotta per l’uguaglianza che sono oggi più urgenti che mai da affrontare.
Il ritorno della geopolitica?
Il discorso omofobo e sui cosiddetti ‘valori tradizionali’ della Russia putiniana trova la sua massima espressione nella cosiddetta “legge anti-propaganda gay” adottata nel 2013. Questa era stata oggetto di dure critiche da parte della comunità internazionale – tra tutti, l’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama – in occasione delle Olimpiadi invernali di Soči del febbraio 2014. Successivamente, l’annessione della Crimea e lo scoppio della guerra nel Donbass hanno riportato in voga una lettura in chiave geopolitica delle dinamiche in corso nel vicinato orientale, trasformatosi in un nuovo campo di battaglia per lo “scontro di valori” tra l’occidente e la Russia – con i diritti LGBT a fare da cartina da tornasole.
Nel 2015, l’ONG Humanity in Action pubblicava un’analisi della cosiddetta “World War LGBT”: questo nuovo “conflitto mondiale” riguarderebbe “una serie di guerre culturali per procura con lo scopo di influenzare l’allineamento geopolitico di un paese [dello spazio post-sovietico] con l’Occidente o la Federazione russa”, con gli attivisti locali a fare da pedine.
Al di là di queste esagerazioni, l’interpretazione geopolitica dei processi di sostegno e resistenza ai diritti LGBT in alcuni paesi del vicinato orientale è presente, in maniera più o meno esplicita, nei media mainstream occidentali. In un articolo del 2015 l’Economist scriveva: “mentre la Georgia sceglie tra Europa e Russia, le attitudini verso l’omosessualità sono al centro di un fuoco incrociato“. Lo scorso giugno, il Washington Post chiedeva ai suoi lettori: “Cosa c’entra un Pride con la NATO? Più di quello che pensiate“.
Una narrazione problematica…
L’immaginario geopolitico intorno ai diritti LGBT in Europa orientale non è solamente legato alle crescenti tensioni tra la Russia e l’occidente, anche se queste sembrano averlo esacerbato. Da quando l’Ue ha iniziato a prendere in considerazione il rispetto dei diritti LGBT (più precisamente, le politiche statali e le riforme legislative con cui esso viene misurato) nel contesto dell’allargamento nei Balcani occidentali, questo è diventato un indicatore di quanto un paese sia civile, tollerante e quindi ‘europeo’ – con risultati ambigui.
Strumenti come la “Rainbow Map” di ILGA-Europe contribuiscono indirettamente alla riproduzione di questo immaginario, venendo spesso interpretati come dimostrazione di un “divario tra est e ovest” relativo alla protezione dei diritti LGBT. In realtà, si tratta di un quadro solo all’apparenza omogeneo (il punteggio ottenuto dall’Italia è molto peggiore di quello dei Balcani occidentali, o della Georgia), e che non riflette l’esperienza vissuta delle minoranze di genere.
Nel corso di una conferenza sull’uguaglianza LGBT nell’Unione europea tenutasi lo scorso settembre, la Commissaria europea per i valori e la trasparenza Věra Jourová avrebbe dichiarato che “l’odio nei confronti delle persone LGBT si sta esportando dalla Russia all’Europa“. Tali formulazioni suggeriscono che l’omofobia non sia un fenomeno endogeno alle democrazie occidentali liberali, o il sintomo di un processo più ampio di crisi della democrazia (su scala europea e globale) su cui dovremmo interrogarci.
Inoltre, questa ‘esternalizzazione’ dell’omofobia oscura una lunga storia di oppressione, ancora attuale, delle persone LGBT in Europa, nonché l’esistenza di tutta una serie di connessioni transnazionali tra gruppi conservatori, religiosi e anti-LGBT da entrambi i lati del presunto divario tra est e ovest – di cui sono un esempio i movimenti pro-life o eventi come il Congresso Mondiale delle Famiglie (tenutosi lo scorso anno in Italia). Così, le lotte ancora in corso per i diritti civili e sociali vengono offuscate da una serie di accuse reciproche tra la cosiddetta ‘Europa liberale’ e quella dei ‘valori tradizionali’, attraverso una retorica che riporta dritti alla guerra fredda.
…e le sue conseguenze
In Ucraina, Moldavia e Georgia, l’adozione di leggi contro la discriminazione è stata un criterio fondamentale per la firma di Accordi di associazione e di liberalizzazione dei visti tra questi paesi e l’Ue. Nonostante questi progressi legislativi (che però restano principalmente sulla carta), il sostegno delle autorità alle rivendicazioni LGBT si è finora rivelato puramente di facciata. Se un giorno all’anno – in occasione dei Pride o della giornata internazionale contro l’omo-bi-transfobia – i governi a Chisinau, Kiev o Tbilisi si vantano di garantire la libertà di espressione e associazione agli attivisti LGBT, presentandosi come progressisti ed ‘europei’ (anche in opposizione alla Russia), durante gli altri 364 giorni del calendario l’uguaglianza LGBT finisce nel dimenticatoio.
Inoltre, l’immaginario che lega la protezione dei diritti LGBT con l’appartenenza all’Europa a cui questi paesi aspirano, unita ai sentimenti anti-russi diffusi nella regione, ha una serie di conseguenze potenzialmente pericolose. A farne le spese è in primis la comunità LGBT locale, confrontata a crescenti ostilità da parte di gruppi di estrema destra e nazionalisti che si oppongono all’ideologia liberale “imposta dall’Europa”.
In Ucraina, si nota una tendenza da parte dei media locali a descrivere gli attacchi alle minoranze come opera di “provocatori del Cremlino” – un approccio che, per non gettare cattiva luce sul paese, contribuisce ad avallare la violenza dell’estrema destra. Lo scorso anno in Georgia, l’organizzazione di un primo Pride ha generato importanti conflitti all’interno del movimento LGBT, sia per i rischi legati alla mobilitazione di gruppi ostili, sia perché l’evento appariva disconnesso dai bisogni della comunità, afflitta da problemi socio-economici più importanti. Mentre a ovest ci si concentrava sull’importanza di garantire la libertà d’espressione e di assemblea, cara alle democrazie liberali, il dissenso espresso da parte del movimento LGBT georgiano veniva categorizzato come conseguenza delle “campagne di disinformazione russa”.
Superare la lettura geopolitica
Questo articolo non vuole affatto negare l’orrenda repressione nei confronti delle persone LGBT messa in atto negli ultimi anni da Vladimir Putin (e dai suoi scagnozzi), così come non vuole smentire che il discorso e le pratiche omofobe made in Russia trovino terreno fertile anche fuori dai confini della Federazione. Il punto è un altro: ovvero, che la chiave di lettura geopolitica che vede l’Ue e la Russia agli antipodi di una scala di valori basata sul rispetto dei diritti LGBT è problematica, oltre ad avere conseguenze concrete e pericolose.
Primo, si tratta di una semplificazione, che si presta ad essere strumentalizzata da governi solo apparentemente interessati all’uguaglianza LGBT, nonché ad essere ritorta contro la stessa Unione europea per criticarne l’imperialismo culturale. Ma il recente annuncio da parte dell’Ue di una “nuova agenda geopolitica per i diritti umani e la democrazia” (con la pubblicazione del relativo Piano d’azione 2020-24) sembra ribadire questi schemi.
Secondo, analisi di questo tipo forniscono una facile scorciatoia per evitare di scavare più in profondità nelle diseguaglianze e nei conflitti sociali, politici ed economici, che si intrecciano con le questioni LGBT. E’ più facile dire che “la Russia è cattiva” o “a est sono tutti omofobi”, piuttosto che riflettere in maniera critica ai limiti del discorso liberale sui diritti umani, inclusi i diritti LGBT, e sulle battaglie comuni da portare avanti – ad est come ad ovest.
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Foto: Reuters