L’omofobia russa è un’eredità (anche) sovietica

Il discorso pubblico russo non lascia scampo alla comunità LGBT. Ai confini con il mondo liberale, la Russia si erge oggi a roccaforte di machismo, ortodossia ed eteronormatività. Dalla politica al mondo della Chiesa, passando per i media ufficiali, la posizione è univoca: rifiutare i diritti LGBT significa rispettare i valori tradizionali e la particolarità storico-culturale della Russia. Ai suoi antipodi valoriali sta la cosiddetta Gayropa, l’Europa gay ed effeminata. Che cosa significa tutto ciò, e come si è giunti a questo punto?

La situazione legislativa attuale

La lotta della Russia al permissivismo liberale dell’Occidente ha trovato la sua massima realizzazione nella cosiddetta legge anti-gay” del luglio 2013. Nella Federazione Russa, l’omo-bi-transessualità non è oggi un reato penale punibile con la detenzione, come invece accadeva durante gli anni dell’Unione Sovietica. La famigerata legge – il capitolo 6, Articolo 6.21 del Codice delle Violazioni Amministrative – non nomina nemmeno l’omo-bi-transessualità, ma prevede una sanzione amministrativa per la “propaganda delle relazioni sessuali non tradizionali tra i minorenni”.

L’invito costante è quello alla conservazione di ciò che è tradizionale. Ciò che, in teoria, non è ontologicamente russo finisce infatti per “minacciare la salute, il benessere sanitario-epidemico della popolazione e la pubblica moralità”. In questo modo, non diviene reato il fatto di essere LGBT e di condurre una vita in linea con il proprio orientamento sessuale e la propria identità di genere; reato è propagandare informazioni sull’uguaglianza e sui diritti del mondo queer che possano raggiungere un pubblico di minorenni. Tale misura vieta, di fatto, l’organizzazione di manifestazioni pubbliche come gay pride o sit-in di protesta. O impedisce a un insegnante e a uno psicologo di affrontare nelle scuole temi legati alla sessualità e al bullismo omofobico. Festival o convegni, anche se ostacolati, sono permessi, purché essi si svolgano in spazi chiusi e i partecipanti portino con sé un documento d’identità.

Ancora prima che la legge federale venisse approvata, dieci regioni avevano approvato simili misure contro la “propaganda gay”. Dal 2005, gli attivisti locali hanno cercato di organizzare gay pride a Mosca e San Pietroburgo. Questi tentativi hanno spesso incontrato reazioni violente da parte della polizia.

La Russia è sempre stata così omofoba?

Oggi, il sentimento omo-bi-transfobico tocca alte percentuali in ogni fascia della popolazione russa, permeandone anche le frange più giovani, istruite e secolarizzate. Il clima d’intolleranza è ulteriormente esacerbato dai gruppi religiosi e dai media: la Chiesa ortodossa russa definisce pubblicamente l’omo-bi-transessualità come una malattia, “una perversione peccaminosa”. Il Pervyj Kanal, il maggiore canale d’informazione televisiva del paese, nei suoi programmi definisce le persone LGBT una “minoranza che opprime i diritti della maggioranza”, imputando all’Occidente gay-friendly progetti come la legalizzazione dell’incesto e della pedofilia. La narrazione ufficiale fa coincidere ciò che non è eterosessuale con una perversione di cui vergognarsi. E che non va in nessun modo resa pubblica e tutelata.

Lo stigma nei confronti delle persone LGBT trova i suoi presupposti nella cultura politica sovietica, tradizionalmente machista e omofobica. La società zarista presovietica, al contrario, era stata una delle più tolleranti nell’Europa a cavallo tra Ottocento e Novecento. E la stessa Russia medievale non aveva conosciuto leggi e persecuzioni sistematiche a danno degli omosessuali – cosa che, spesso, scandalizzava i visitatori occidentali. Chi oggi vorrebbe definire la tradizione russa come eterosessuale per sua natura ignora, evidentemente, la storia. Le più importanti icone del balletto, considerato all’unanimità (omofobi compresi) massima espressione della cultura e dell’anima russa, furono personaggi notoriamente omosessuali: il grande compositore Čajkovskij, il pittore, scenografo e costumista Leon Bakst, l’impresario teatrale Sergej Diagilev e il suo amante, il talentuoso ballerino Vaclav Nižinskij.

Tabù, malattie e conseguenze della retorica sovietica

La Rivoluzione d’Ottobre portò all’abrogazione della legge zarista contro l’omosessualità, comunque esistente, nonostante la relativa tolleranza, sin dai tempi di Pietro il Grande. Si trattò, tuttavia, di una misura con cui i sovietici si limitavano semplicemente a fare piazza pulita della legislazione a loro precedente. Successivamente, il comunismo internazionale e sovietico cominciò a mostrarsi sempre più ostile, sino alla reintroduzione del reato di omosessualità da parte di Stalin, nel 1934. La sottocultura gay nata in Russia a cavallo tra Ottocento e Novecento perì sotto il pugno di ferro di un ritrovato machismo di marca staliniana: l’omosessualità, sempre e solo nella sua declinazione maschile, divenne una malattia borghese, sinonimo della degenerazione decadente ed effeminata prima del nazismo tedesco e poi del capitalismo occidentale. Qualsiasi riferimento ad essa venne eliminato in arte, scienza e letteratura. Per cinquant’anni, fino almeno alla perestrojka, nessun cittadino sovietico ne avrebbe più sentito parlare.

Con la caduta dell’URSS, cadde anche questo pesante tabù. La decriminalizzazione dell’omosessualità, avvenuta nel 1993, non fu tuttavia accompagnata da un reale dibattito pubblico. Il mondo LGBT cominciò a comparire soprattutto nella cultura pop (ne parliamo in questo articolo), ma in maniera superficiale, più per ragioni commerciali che per rivendicazione sociale. Permanevano, e permangono tutt’oggi, i pregiudizi di un mondo formatosi sotto l’egida dell’omertà sovietica, restia a trattare qualsiasi tema legato alla sessualità. Basti pensare che, in Russia, l’educazione sessuale è ancora bandita dalle scuole.

…e il suo eterno ritorno

Oggi, le condizioni di vita dei cittadini russi LGBT sono indubbiamente migliori rispetto agli anni del comunismo sovietico, quando l’omosessualità in sé era considerata un reato. A partire dalla metà degli anni Duemila, tuttavia, il discorso pubblico russo sembra aver riaccolto al proprio interno le categorie della vecchia retorica sovietica: se un tempo l’omosessualità era una malattia borghese e capitalista, oggi l’omosessualismo è un’epidemia generata dall’Occidente secolare e liberale. Ad esso corrispondono le liberalizzazioni degli anni Novanta, periodo di massima debolezza sociale ed economica del paese, magicamente spazzata via da un presidente forte e mascolino. Ad esso corrispondono, secondo politici ultraconservatori come Vitalij Milonov, il declino delle nascite, l’avvelenamento delle menti infantili e la propagazione delle malattie veneree. Bisognerebbe ricordare loro che, oggi, è proprio la Russia, e non la Gayropa, a registrare un impressionante aumento dei casi di HIV.

Foto: huffpost.com

Chi è Andrea Zoller

Linguista in erba. Sangue trentino, anima slava. Muovendosi tra Mitteleuropa, Caucaso e Russie, insegna italiano e scrive su East Journal. E vi racconta di chiese, moschee e mondo queer, con un occhio di riguardo per il suo paese d'elezione: la Russia.

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