Negli ultimi cinque anni, i Balcani Occidentali (Bosnia-Erzegovina, Serbia, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord e Albania) hanno registrato una crescita annua del PIL di gran lunga superiore alla media europea. Lo scoppio della pandemia di Covid-19 rischia però di cancellare di colpo i progressi raggiunti aggravando ulteriormente i già fragili sistemi economici della regione.
Il rapporto della Banca Mondiale
Nel suo rapporto semestrale pubblicato ad inizio maggio, la Banca Mondiale ha ipotizzato due scenari per i Balcani Occidentali. Le ipotesi sono state elaborate in base ad una valutazione dei problemi strutturali dei singoli paesi, alla possibile durata dell’emergenza e delle misure economiche e sanitarie adottate dai governi.
Il report evidenzia sei punti deboli. Il primo, comune a tutti i paesi, riguarda il mercato del lavoro basato su contratti temporanei, bassi salari e ancora altamente informale. Il secondo problema è legato ai settori economici strategici. Montenegro, Albania e Kosovo risultano fortemente dipendenti dal settore turistico e dall’afflusso della diaspora, a fronte di una scarsissima capacità di esportazione di beni. La chiusura dei confini e le limitazioni ai viaggi rischiano di bloccare quasi del tutto i flussi turistici facendo così mancare entrate fondamentali per i bilanci statali. Dall’altro lato però, Macedonia del Nord, Serbia e Bosnia-Erzegovina, che possono contare su una maggiore esportazione di beni, rischiano di veder ridotta drasticamente la domanda proveniente dall’estero e soprattutto dall’Europa.
Gli altri punti deboli sono: lo scarso margine di manovra fiscale dovuto agli alti debiti pubblici e alle difficoltà di accesso al credito internazionale, ad eccezione di Kosovo e Bosnia sorretti dai finanziamenti delle istituzioni internazionali; limitate opzioni di politica monetaria; sistemi bancari deboli ed infine l’alta dipendenza dagli Investimenti Diretti Esteri (IDE), attesi anche questi in forte ribasso.
Le misure adottate
Le azioni intraprese dai governi hanno avuto un carattere “emergenziale”, essendo rivolti a limitare gli effetti economici della pandemia nel breve periodo. Tra le misure adottate rientrano i sussidi alle aziende per il pagamento dei salari dei lavoratori, il differimento delle scadenze fiscali e forme di sostegno al reddito per le fasce più povere. L’elevata informalità del mercato del lavoro impedisce però un adeguato accesso alle reti di sicurezza sociale per molti cittadini che restano così esclusi dagli aiuti. Le risorse messe sul piatto dai governi riguardano circa il 2% del PIL, con la sola Serbia che ha impegnato il 6,7% (circa 3,2 miliardi di euro) del proprio prodotto interno.
I due scenari
Il migliore dei due scenari ipotizzati prevede l’allentamento delle misure restrittive per la fine di giugno e una piena ripartenza nella seconda parte dell’anno. Secondo questa ipotesi, il calo medio del PIL dovrebbe attestarsi al 3,1%. Montenegro, Albania e Kosovo dovrebbero far registrare i cali più sostenuti, rispettivamente pari al 5,6%, al 5% e al 4,5%. Questo è dovuto a una riduzione media del 30% dei flussi turistici durante la stagione estiva. Il Kosovo dovrebbe inoltre registrare un crollo del 21,5% degli investimenti, sia pubblici che esteri. Serbia (-2,5%), Macedonia del Nord (-1,4%) e Bosnia-Erzegovina (-3,2%) verranno invece travolte da una riduzione delle esportazioni compresa tra il 6,5% e l’11,5%.
Andamento del PIL per i Balcani Occidentali
Fonte: World Bank, Western Balkans Regular Economic Report, No.17, Spring 2020
Lo scenario peggiore considera un allentamento delle misure solo a fine agosto e una lenta ripresa a partire dall’ultimo trimestre dell’anno. In tale contesto la diminuzione del PIL complessivo dell’area sarebbe intorno al 5,7%, con il Kosovo che farebbe registrare addirittura un -11,3%. A soffrire maggiormente sarebbero le esportazioni di tutti i paesi con un calo compreso tra il 2,9% della Macedonia del Nord e il 30% dell’Albania.
E per il futuro?
Nonostante i dati, la Banca Mondiale non sembra tenere in considerazione lo scenario più preoccupante: quello di un ritorno della pandemia. Questo scenario rischierebbe di mettere in discussione l’attuale sistema economico globale con conseguenze ancora inimmaginabili. Catastrofismo a parte, questa crisi, a differenza di quella globale del 2008, dovrebbe avere una durata circoscritta. Per il 2021 è prevista infatti una crescita in grado di garantire un recupero pressoché totale delle perdite di quest’anno. Questo dipenderà tanto da fattori interni, come la tenuta politico-economica dei governi – soprattutto quelli a scadenza elettorale come in Serbia, Montenegro e Macedonia del Nord e alla capacità futura di adottare riforme strutturali – quanto da fattori esterni, come la ripresa economica dei partner europei e le misure adottate dall’Unione europea.
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