Okkupert: occupati. È questo il titolo della serie tv che ha stregato la Norvegia. Lo sceneggiato, ideato dal celebre romanziere Jo Nesbø, immagina un futuro distopico non troppo lontano, nel quale la Russia, con il tacito assenso dell’Unione Europea, occupa militarmente la Norvegia, “colpevole” di aver interrotto la produzione di gas e petrolio a seguito di gravissime catastrofi ambientali.
Per quanto opera di fantasia, e dunque completamente scevra dalla logica realistica della politica internazionale, Okkupert rileva correttamente una delle grandi preoccupazioni del popolo più ricco del mondo: il grande vicino russo, con cui condivide storicamente un “confine fluido” nel nord della penisola scandinava. A ciò si aggiunge, negli ultimi anni, un rinnovato slancio di Mosca verso il controllo e lo sfruttamento delle Isole Svalbard, distanti poco più di 1000 km dal Polo Nord e territorio chiave per il controllo dell’Artico.
Le Isole Svalbard: da terra nullius a unicum giuridico
L’arcipelago fu avvistato per la prima volta nel 1596 dall’esploratore olandese Willem Barents, divenendo presto sede di transito di compagnie commerciali inglesi, francesi, danesi e norvegesi dedite alla pesca e alla caccia delle balene. La contro-storia narrata dal Cremlino è invece diversa: a scoprire l’arcipelago, ancora chiamato Spitsbergen dai cartografi russi, sarebbero stati i pomory, coloni provenienti dalla Terra di Novgorod e dediti al commercio nei mari del Nord.
A partire dai primi anni del Novecento, l’arcipelago ha vissuto una poderosa fase di sviluppo dell’industria estrattiva e carbonifera, stimolando una corsa alla “nazionalizzazione” del territorio conclusasi soltanto durante la Conferenza di pace di Parigi nel 1920, quando la questione della sovranità sulle Isole Svalbard fu sancita formalmente dall’omonimo trattato.
Il Trattato delle Svalbard non si è tuttavia limitato a sottoporre l’arcipelago alla sovranità e giurisdizione norvegesi, ma ha anche posto in essere una serie di clausole e restrizioni volte a creare un unicum giuridico. Il documento garantisce infatti il diritto di residenza visa-free ai cittadini di tutti i 46 paesi firmatari, a prescindere dallo scopo della permanenza, nonché il diritto alla conduzione indiscriminata di business, affari e attività economiche come caccia e pesca.
L’Articolo 9 sancisce che nessuno stato, Norvegia compresa, possa costruire fortificazioni o basi navali nell’arcipelago, definito zona non sfruttabile a “scopi bellici”. Già in epoca sovietica Mosca, preoccupata che l’adesione del Regno di Norvegia alla Nato nel 1949 potesse compromettere il passaggio strategico della Flotta del Nord verso l’Oceano Atlantico, ha pertanto sostenuto un’interpretazione letterale ed espansiva dell’Articolo 9, arrivando a considerare le Svalbard una “zona smilitarizzata” al pari della Ruhr post-bellica. Tale lettura, resa nuovamente attuale dall’accresciuto attivismo americano nell’Artico, è stata altresì confermata dalla Dottrina del Mare del Cremlino, rilasciata pubblicamente nel 2015 da Vladimir Putin.
Cinque anni dopo la stipula, il Trattato delle Svalbard entrò in vigore. E già nel 1932 l’Unione Sovietica, interessata a rafforzare la propria presenza a Nord del 66° parallelo, acquistò le miniere olandesi di Barentsburg e gli insediamenti annessi, e li assegnò alla azienda di stato Arktikugol’, la quale, a seguito delle conseguenze della Grande Depressione sulle aziende europee, si trovò ben presto ad essere l’unica attività economica straniera sull’isola di Spitsbergen.
Le rivendicazioni sulle Svalbard, tra sovranità nazionale e sfruttamento internazionale
Lo scenario sociopolitico delle Svalbard, parallelamente a quello globale, si sviluppò pertanto nella tipica forma dei due “blocchi” della Guerra Fredda, antitetici e cristallizzati. La presenza sovietica nell’arcipelago, già maggioritaria rispetto a quella norvegese, fu ulteriormente accresciuta dalla politica strategica del Cremlino, che stanziò grandi somme finanziarie per mantenere le miniere di Barentsburg, costantemente in perdita, e gli operai là inviati con la promessa di un compenso maggiorato (giustificato dal loro ruolo di “marcatori territoriali”).
Il collasso dell’Unione Sovietica e lo sfaldamento del blocco orientale negli anni ’90 hanno “normalizzato” la demografia delle Isole Svalbard, abbandonate in massa dai vecchi coloni sovietici e ripopolate dai lavoratori delle fiorenti industrie norvegesi. Nell’arco temporale che si estende dal 1990 al 2011, la popolazione russo-ucraina nel maggiore centro dell’arcipelago, Longyearbyen, è infatti crollata a soli 370 abitanti (da 2300), mentre la popolazione norvegese è pressoché raddoppiata (da 1100 a circa 2000).
Una volta uscita dalla crisi economica e istituzionale degli anni ’90, una rinata Russia è gradualmente tornata ad affacciarsi sull’Artico e sull’arcipelago delle Svalbard. In continuità con la pregressa politica estera sovietica, Mosca ha ripreso la sistematica denuncia di irregolarità norvegesi nell’applicazione delle clausole di non-discriminazione del Trattato del 1920, con particolare riferimento alla zona di protezione della pesca che Oslo ha istituito per 200 miglia nautiche oltre le acque territoriali. In questo caso, Mosca intende estendere la validità del trattato alle acque territoriali adiacenti all’arcipelago, e non ne riconosce pertanto la validità.
Le contestazioni russe, strumentalmente rivolte alle attività economiche di base, rivelano tuttavia il tentativo di riassestamento di Mosca nella regione dell’Artico, futuro teatro di una corsa alle rotte commerciali e alle riserve di idrocarburi (valutate nel 2017) nascoste dai ghiacci polari. A tal proposito, la Russia rivendica un trattamento preferenziale nell’arcipelago e la tutela speciale del proprio interesse nazionale.
Lo scontro diplomatico: verso un condominio russo-norvegese?
Il pretesto formale per implementare le proprie richieste è stato finalmente trovato nel 2015, quando le autorità norvegesi, in aperta violazione del Trattato delle Svalbard, hanno impedito al vice-primo ministro russo Dmitrij Rogozin di sbarcare sull’arcipelago. Oslo ha motivato la mancata autorizzazione con la presenza di Rogozin nella lista delle sanzioni dell’Unione Europea per il coinvolgimento nell’annessione russa della Crimea. Essendo tuttavia sprovvisto di un dispositivo legale per regolare chiaramente l’accesso di persone soggette a misure restrittive internazionali alle Isole Svalbard, il governo norvegese ha elaborato, nel 2016, un nuovo “regolamento sull’espulsione dalle Svalbard”.
L’approvazione del suddetto regolamento, definito senza mezzi termini dal Ministro degli Esteri Sergej Lavrov “il decreto di espulsione dei russi dalle Svalbard”, ha inevitabilmente suscitato un putiferio a Mosca, che ha pertanto intensificato la frequenza e il contenuto delle lamentele e rivendicazioni sull’arcipelago norvegese. Non a caso, l’alta portavoce del ministero Maria Zacharova ha più volte dichiarato che “negli ultimi anni, Oslo ha ripetutamente infranto i termini del Trattato delle Svalbard”, invitando conseguentemente i vertici norvegesi a porre fine al loro “atteggiamento non costruttivo”.
Alcune settimane fa, durante le celebrazioni del centenario della stipula del Trattato delle Svalbard, Lavrov ha infine inviato una lettera ufficiale a Oslo. Riprendendo le precedenti dichiarazioni della Zacharova, secondo cui “la Russia ha diritto ad una posizione speciale nelle Svalbard”, Lavrov ha invitato il governo norvegese a sedersi al tavolo delle trattive per istituire relazioni bilaterali per la gestione dell’arcipelago. Quello che potrebbe sembrare un invito pacifico alla cooperazione internazionale rappresenta tuttavia un notevole salto di qualità delle richieste di Mosca: l’amministrazione congiunta delle Svalbard tramite dialoghi bilaterali permetterebbe infatti alla Russia di instaurare un con-dominio sull’arcipelago, superando de facto il trattato attualmente in vigore.
Conscio della gravità della richiesta, il Ministro degli Esteri norvegese Ine Eriksen Søreide ha nettamente chiuso la porta all’idea di negoziati bilaterali: secondo il ministro, la Russia dispone già dei canali istituzionali per sollevare qualsiasi problema alle autorità competenti, esattamente come prescritto dal trattato. E ciò vale per la Russia quanto per tutti gli altri firmatari, parificati per status e diritti a Mosca.
A ciò si è aggiunto il ministro della difesa Frank Bakke-Jensen, il quale ha rivendicato con forza la piena ed esclusiva sovranità norvegese sulle Svalbard. Come è logico che sia, la Norvegia non tratta della Norvegia con altri paesi. Dunque, nemmeno con la Russia.