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RUSSIA: Le grandi potenze vogliono prendersi l’Artico

Negli ultimi anni, l’Artico sta tornando alla ribalta: sui media, tra i movimenti ecologisti, persino sulla bocca di molti politici. E mentre numerose campagne mediatiche gettano sempre più luce sulle catastrofiche conseguenze dello scioglimento dei ghiacci, un’altra narrazione molto più smaliziata – ma non per questo meno interessante – non viene al contempo presa in sufficiente considerazione.

Grande scalpore ha suscitato il discorso di Greta Thunberg al vertice ONU di New York del 23 settembre, evento che ha spinto in molti a credere alla possibilità di una sostanziale riforma delle agende mondiali in nome della comune minaccia rappresentata dal cambiamento climatico. Peccato, però, che ci siano tutte le ragioni per pensare che le grandi potenze, piuttosto che alla tragica sorte degli orsi polari o dei flussi delle correnti marine, siano palesemente più interessate al tesoro celato sotto i ghiacci dell’Artico.

Secondo alcune stime americane, la regione artica nasconderebbe il 15% delle riserve petrolifere mondiali e oltre il 30% dei depositi di gas naturale: un vero e proprio El Dorado ghiacciato, che nessun attore statuale dotato di un’agenda strategica di un certo livello si lascerebbe mai scappare.

Nuove rotte per l’Asia

Un elemento non trascurabile è la possibile trasformazione dell’Artico in un vero e proprio mare navigabile. Ad oggi, la consistente placca ghiacciata che ne costituisce il cuore rende infatti difficoltosa qualsivoglia possibilità di navigazione, allungando le tratte marittime e impedendo un profittevole abbattimento dei costi tecnici dei trasporti.

Tuttavia, alcuni recenti studi del governo britannico ipotizzano che entro il 2035 lo scioglimento dei ghiacci artici potrebbe creare una scorciatoia naturale percorribile per ben nove mesi l’anno, tale da ridurre di circa 10-12 giorni il tempo di percorrenza di un cargo commerciale da Londra al sud-est asiatico, rendendo perciò le nuove rotte artiche preferibili ai tradizionali transiti presso il Canale di Suez.

La prospettiva russa

La prima a beneficiare dell’incremento del traffico marittimo dell’Artico è chiaramente la Russia, la quale, oltre a disporre della maggiore estensione costiera oltre il 66° parallelo, punta a deviare gran parte del traffico commerciale sulla cosiddetta Rotta del Mare del Nord che collega San Pietroburgo a Vladivostok ed è interamente compresa nella Zona Economica Esclusiva (ZEE) russa, area marittima adiacente alle acque territoriali in cui Mosca ha piena sovranità e giurisdizione di infrastrutture e risorse naturali.

Come dichiarato dallo stesso Putin nel 2018, l’obiettivo è di portare il volume delle merci scambiate lungo la tratta a oltre 80 milioni di tonnellate entro il 2024. A tal fine è stato ampliato enormemente il sistema di navi rompighiaccio utilizzate per accelerare il passaggio lungo le coste della Siberia settentrionale. Il numero di rompighiaccio in dotazione alla flotta russa è ora salito a 40, un quantitativo superiore a quello di tutti gli altri paesi sommati tra di loro, e paragonabile, secondo lo studioso Nurlan Aliyev, allo strapotere delle portaerei statunitensi nel Pacifico.

Tale progetto viene caldeggiato non solo a Tokyo, interessata a differenziare le proprie forniture energetiche dall’instabile Medio Oriente, ma anche a Pechino, intenzionata a implementare la cooperazione sino-russa per il trasporto del gas naturale liquido degli impianti di Yamal LNG, e che ha pertanto potenziato le linee ferroviarie tra Mar Bianco ed Urali con investimenti pari a 89,2 miliardi di dollari nel periodo 2012-2017.

Tuttavia, il tentativo di Xi Jinping di presentare la Cina come un paese “quasi-Artico”, ottenuto nel 2013 con l’inclusione nel Consiglio Artico in qualità di osservatore, cozza con la visione russa della regione, e rischia perciò di tramutare la fruttuosa cooperazione di oggi in una guerra commerciale di domani.

Espansionismo, militarismo e reazioni internazionali

Gli appetiti espansionistici russi si sono manifestati nuovamente a partire dal 2007, quando una missione capeggiata da Artur Chilingarov piantò, in segno di rivendicazione, una bandiera a 4.200 metri di profondità in corrispondenza del Polo Nord.

Ed è da qui in poi che entra in gioco il tema del militarismo russo, la cui strategia applicata nel contesto regionale è stata resa pubblica, nel luglio del 2015, dal Presidente Putin nella “Nuova Dottrina del Mare”. Il piano d’azione per l’egemonia nell’Artico, per quanto descritto dai documenti ufficiali, consiste anzitutto in una sostanziale ristrutturazione della presenza militare russa tramite l’ammodernamento di 10 basi aeree di epoca sovietica e, l’anno successivo, la costruzione della nuova base di Nagurskoe – la più vicina al Polo Nord.

Di recente, inoltre, il Vice-Ammiraglio Aleksej Moseev e il Ministro della Difesa russo Sergej Šojgu hanno annunciato che le 240 navi della Flotta del Nord (“Severnyj Flot”), ancorata a Severomorsk nella Penisola di Kola, verranno presto equipaggiate con nuove batterie di missili S-400 al fine dichiarato di creare uno spazio aereo protetto nell’Artico.

L’idea di ri-territorializzazione dello scontro politico, che ai più ricorda il clima di rigidità che ha caratterizzato la lunga guerra fredda tra Washington e il Cremlino, è ancor più rinforzata dall’incipiente installazione di sistemi avanzati di difesa aero-marittima in previsione dell’aggravamento del rischio di incursioni nemiche in un territorio sempre meno protetto dalla declinante rigidità climatica. Mosca, del resto, non ha mai fatto segreto dell’idea di voler trasformare Russia, Mar Nero e Mar Baltico in ciò che in gergo tecnico, negli studi di sicurezza, viene definito “Anti-Access/Area-Denial (A2/AD)”, strategia volta a permettere la completa chiusura di spazi aerei e marittimi in caso di emergenza.

È tuttavia importante ricordare che in questi anni, l’espansionismo russo nell’Artico si è prevalentemente manifestato nel tentativo di sviluppare di infrastrutture regionali e rotte commerciali piuttosto che in progetti di conquista territoriale.

Ad ogni modo, l’attivismo russo nell’Artico non rimane indisputato; sia l’Unione Europea che gli Stati Uniti sono prontamente muniti di un’agenda strategica speculare, volta a limitare la nascita di monopoli parziali delle compagnie di stato russe (su tutte, Rosneft e Gazprom) nel mercato regionale delle energie e del rinforzamento eccessivo dell’asse Mosca-Pechino nel Mare del Nord.

L’incognita cinese (opportunità o minaccia?) e le variabili offerte dalle istituzioni multilaterali in loco (fra tutte, il Consiglio Artico e le commissioni scientifiche dell’ONU) rendono tuttavia lo scenario geopolitico dell’Artico altamente imprevedibile. Nel quadro complessivo domina senza dubbio l’incertezza. Ad ogni modo, un punto fermo emerge chiaramente dall’insieme: la regione sarà uno dei teatri, se non il teatro, di una nuova epoca di instabilità globale.

 

Immagine: politpuzzle.ru

Chi è Guglielmo Migliori

Bolognese classe 1996, laureato in Relazioni Internazionali e Studi Est-Europei con un focus sulla sicurezza energetica. Ha studiato a Bologna, Maastricht, Mosca, e San Pietroburgo. Dopo aver lavorato a Belgrado nel settore commerciale, si è trasferito a Vienna per lavorare nel campo delle relazioni internazionali e della sicurezza energetica.

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