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SLOVENIA: Apre la nuova moschea di Lubiana, dopo 50 anni

Il minareto è alto 40 metri, il corpo centrale è un cubo bianco che occupa oltre quattromila metri quadrati: ci sono aule, una biblioteca, sale polifunzionali, uffici e persino una sala per il tè. Costata circa 35 milioni di Euro, per larga parte finanziati dal Qatar e in misura comunque significativa dalle donazioni dei fedeli stessi, è la moschea di Bezigrad, distretto industriale a nord di Lubiana, in Slovenia, la prima del paese. Il Qatar si conferma, dunque, come sponsor di primo piano nella realizzazione di strutture di questo tipo nei Balcani, avendo già finanziato la costruzione della prima moschea sul Mediterraneo dall’epoca ottomana, quella di Fiume, in Croazia, altro paese a forte impronta cattolica.

Inaugurata il 3 febbraio alla presenza del capo della comunità islamica, il Mufti Nedzad Grabus, la Slovenia sana così una situazione che la vedeva unico paese balcanico a non avere ancora una moschea. I musulmani sloveni, che stanti al censimento del 2012 sono il 2,5% dell’intera popolazione – secondo gruppo religioso dopo quello cattolico – hanno finalmente il proprio luogo di culto e potranno abbandonare i palazzetti e le palestre dove, finora, si radunavano a pregare.

Un percorso a ostacoli

Si conclude così un percorso complicato e lunghissimo che, dalla prima richiesta di costruzione nel 1969, ha portato alla simbolica posa della prima pietra solo nel 2013 e all’inizio della costruzione vera e propria due anni più tardi, nel maggio del 2015. Come dire: la costruzione è stata la parte facile del processo, sebbene un paio d’anni fa sembrasse che i soldi fossero finiti facendo ulteriormente slittare il completamento dei lavori.

Assai più complicato, invece, è stato l’iter autorizzativo, per gli ostacoli posti lungo il cammino sia dalla comunità cattolica slovena, sia dai partiti della destra nazionalista, saldati dall’obiettivo comune di sabotare l’opera e di impedirne la finalizzazione. Nel pieno delle polemiche sul progetto, nel 2002, quando ancora si cercava di fermarlo, l’allora arcivescovo di Lubiana, Franc Rodé, ebbe a dire che una moschea era, di fatto, un centro politico, culturale, sociale e religioso e che, come tale, era estraneo alla cultura slovena. Per la cronaca Rodé sarebbe diventato, di lì a poco, cardinale sotto il papato di Benedetto XVI, un papa non esattamente progressista, se così si può dire.

Sempre in quel periodo i partiti nazionalisti che sedevano nel consiglio comunale della capitale, guidati da Nuova Slovenia, movimento ultraconservatore ideologicamente vicinissimo ai dettami della chiesa cattolica, cercarono di giocarsi la carta del referendum riuscendo anche a raccogliere le firme necessarie. In coerenza con questa linea, Mihael Jarc, leader dell’iniziativa, si presentò persino alle elezioni nazionali del 2004 con un simbolo recante un segnale di divieto apposto sullo sfondo di una moschea.

Il progetto referendario fallì, malgrado fosse stato reiterato due volte, la prima nel 2004, la seconda nel 2009, grazie all’intervento della Corte costituzionale che lo dichiarò irricevibile in ragione dell’obbligo di garantire libertà religiosa. Malgrado il clima intimidatorio fosse talvolta palpabile (raccapricciante, nella sua stoltezza, il gesto di gettare delle teste di maiale nell’area dei lavori), le autorità cittadine di Lubiana e in particolare i sindaci che si sono succeduti nel corso degli anni, incluso l’attuale Zoran Jankovic, hanno sempre apertamente sostenuto l’opera: fu l’allora sindaco Danica Simsic, ad esempio, a presentare l’esposto di incostituzionalità del referendum alla Corte.

Una svolta per i musulmani sloveni

L’intera vicenda, il suo sviluppo, la sua durata, è palesemente emblematica del clima di ostilità e diffidenza verso la comunità musulmana che si vive in Europa e non solo. E che si respirava, a maggior ragione, nel periodo in cui il progetto stava per concretizzarsi, ovvero negli anni immediatamente successivi l’attentato terroristico alle Torri Gemelle del 2001.

Ed è anche per questo che la moschea di Lubiana non è solo un cubo di cemento, acciaio e legno con al centro una grande cupola blu, nel rispetto dei canoni dell’architettura islamica e con chiari riferimenti alla celeberrima moschea blu di Istanbul. Ma è anche il tentativo di rappresentare simbolicamente “l’apertura e trasparenza” della comunità islamica verso l’esterno, come esplicitamente dichiarato dal suo architetto, Matej Bevk, che, allo scopo, ha inserito in un contesto così tradizionale delle facciate di vetro.

Un tentativo di integrarsi in un tessuto sociale dominato da un’altra confessione religiosa ma anche, come affermato da Grabus nel corso della cerimonia inaugurale, una “svolta” nella vita dei musulmani sloveni.

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato in Kazakhstan. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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