All’indomani delle elezioni dell’ottobre scorso tutto sembrava facile, tutto già scritto. Il Partito Democratico del Kosovo (PDK), al governo ininterrottamente da 12 anni, ovvero dal giorno dell’indipendenza del Kosovo, era stato sconfitto; le opposizioni, rappresentate principalmente da Vetevendosje (VV), partito guidato da Albin Kurti, e dalla Lega Democratica del Kosovo (LDK) della prima donna candidata premier, Vjosa Osmani, avevano vinto, sebbene tale successo non avesse assunto i connotati del plebiscito, come si poteva pensare alla vigilia. Nonostante lunedì 20 gennaio Kurti abbia ufficialmente ricevuto il mandato di formare il governo, le trattative tra i due partiti sono ancora bloccate, lasciando il paese in una fase di stallo.
Una poltrona per due…
Fin da subito la colazione tra VV e LDK sembrava la strada segnata, la via maestra, al di là delle palesi differenze di collocazione politica delle due compagini, Vetevendosje, nazionalista e di sinistra, la Lega espressione di quel centro destra “tradizionale” incarnata nella figura storica del suo fondatore, Ibrahim Rugova. Impossibile non cogliere il cambiamento, il nuovo che avanza, quantomeno quello espresso da Vetevendosje, e il PDK con il suo patrimonio di storia. i suoi “reduci” e tutte le sue contraddizioni, ridotto a vecchio establishment da superare. Le aspettative il giorno dopo le elezioni erano altissime, il clima nel paese persino euforico.
E invece, a distanza di oltre tre mesi, la trattativa sembra arenata, ingarbugliata tra tatticismi, cambi di direzione e piroette varie, così da farla sembrare più una partita a scacchi che un dialogo tra chi cerca, costruttivamente, una quadra. Una partita a scacchi che, allo stato, risulta in perfetto stallo, facendo sì che il Kosovo sia ancora senza un governo. Lo spettacolo, di suo, ha qualcosa di deprimente, se non fosse che si incanala, perfettamente, nell’alveo della peggior tradizione politica, non solo kosovara va detto: quella dove a prevalere non è la discussione (legittima, anzi doverosa) sulla visione strategica d’insieme applicata al bene collettivo, ma il tentativo di guadagnare terreno, conquistare nuove posizioni di rendita, nuovo potere fine a sé stesso.
Dopo l’accordo (non senza frizioni) sul nome di Albin Kurti quale primo ministro incaricato in ragione del maggior peso elettorale di VV, le parti sembravano aver trovato una sintesi sulla distribuzione delle 12 poltrone ministeriali: cinque sarebbero state assegnate a ciascuno dei partiti di colazione, due ai rappresentanti delle minoranze. Ma è sulle nomine del presidente del parlamento e su quello del prossimo presidente della Repubblica che sia gioca la vera disputa. Il 26 dicembre scorso, giorno dell’insediamento ufficiale del nuovo parlamento, Vetevendosje è riuscita ad assegnare la presidenza ad un proprio rappresentante, Glauk Konjufca, con l’aperto appoggio della LDK.
Solo pochi giorni dopo, però, la stessa LDK è tornata a rivendicare per sé quella posizione con la promessa che l’avrebbe “restituita” a VV una volta che le fosse stata assegnata quella, ben più prestigiosa, della presidenza della Repubblica (le elezioni sono previste per l’anno prossimo). Insomma un guazzabuglio contraddittorio dietro il quale è sempre più chiara la regia del vero leader della LDK, l’ex primo ministro Isa Mustafa, che ha di fatto preso direttamente il controllo delle trattative esautorando la Osmani, sempre più marginalizzata. Proprio per decisione di Mustafa, la Lega Democratica del Kosovo ha appena respinto la proposta avanzata da VV il 13 gennaio scorso in cui si suggeriva l’aumento delle poltrone ministeriali (da 12 a 14), entrambe offerte alla LDK, posticipando la decisione sul presidente della Repubblica.
Le reazioni internazionali
Le reazioni internazionali sono tutte improntate sulla preoccupazione. L’ambasciatore americano in Kosovo, Philip Kosnett, “ha invitato i leader politici a formare un nuovo governo che adempirà il mandato degli elettori il più presto possibile”.
Il 15 gennaio, mercoledì scorso, Joseph Borrell, nuovo Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha apertamente manifestato il proprio disappunto per la situazione chiedendo “di procedere rapidamente nell’interesse del Kosovo e della sua popolazione”.
Le ripercussioni di questa situazione, infatti, sono pesanti, non solo in campo economico, dove pure sono gravissime in ragione della mancata approvazione di una legge di bilancio per il 2020 che provoca, di fatto, la paralisi del paese. Ma anche nel settore della politica estera dove si assiste al congelamento del dialogo bilaterale con la Serbia, conditio sine qua non, per lo sviluppo del processo di integrazione nell’Unione europea.
Borrell, che fin dal giorno del proprio insediamento ha posto l’accento sulla necessità di sciogliere i tanti nodi irrisolti dell’area balcanica e delle relazioni tra Kosovo e Serbia, soprattutto, sa bene che in quest’ottica Pristina si deve dare un governo al più presto. Ed è probabilmente anche per questo, per esercitare la pressione che il proprio ruolo gli conferisce, che ha confermato che nelle prossime settimane si recherà in visita nella capitale del Kosovo.
Le prospettive
Difficile pensare che questo viaggio possa servire a qualcosa. E sebbene il 20 gennaio sia arrivata l’ufficializzazione dell’incarico a Kurti, il clima tesissimo tra quest’ultimo e il presidente della Repubblica Hashim Thaci, certo non agevola la soluzione. Kurti ha ora 15 giorni per presentare una maggioranza, per la quale ha bisogno dell’accordo con la LDK. Accordo tutt’altro che scontato, tanto che, ad oggi, ogni scenario sembra possibile, da un appoggio esterno della LDK ad un governo VV, fino a nuove elezioni. Un finale che avrebbe del clamoroso solo pensando a quanto ottimismo si respirava nel paese a spoglio ultimato.
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