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KOSOVO: Vincitori e vinti, l’analisi del voto

A undici anni dalla dichiarazione di indipendenza, la politica kosovara sembra essere giunta ad un importante momento di svolta. Secondo i dati delle elezioni di domenica 6 ottobre, per la prima volta i principali esponenti politici che hanno governato fino ad oggi, provenienti per lo più dalle fila dell’UCK, l’Esercito di Liberazione del Kosovo protagonista della guerra contro la Serbia di Slobodan Milosevic nel 1998-99, rimarranno esclusi dalla formazione del nuovo governo. Per capire se si tratta di un vero e proprio terremoto politico bisogna però leggere “nei” numeri.

Chi vince e chi perde

Il primo vincitore delle elezioni kosovare è stato ancora una volta il ”partito dell’astensione”. Si sono recati alle urne appena il 44% degli elettori, in leggero aumento rispetto al 2017, a dimostrazione della scarsa fiducia verso il sistema politico e le istituzioni. Per leggere questo dato, però, occorre tenere conto del mancato aggiornamento delle liste elettorali, che fa sì che il numero degli aventi diritto al voto risulti più alto del valore reale.

Tra i partiti in corsa, il più votato è stato il partito nazionalista di sinistra Vetevendosje (VV) guidato da Albin Kurti con circa 200 mila voti, pari al 25,5%. Fino a ieri principale forza di opposizione, Vetevendosje ha retto di fronte alla scissione interna creata dal sindaco di Pristina, Shpend Ahmeti, confermando l’ottimo risultato delle elezioni del 2017 e guadagnandosi così la possibilità di governare il paese per la prima volta.

Al secondo posto si è piazzato l’altro partito di opposizione, la Lega Democratica del Kosovo (LDK). La scelta di attuare un rinnovamento della dirigenza rappresentata dalla prima donna candidata premier, Vjosa Osmani, sembra aver pagato solo in parte. Rispetto a due anni fa, quando si presentò in coalizione con altri due partiti minori, la LDK ha aumentato il proprio consenso di poco più di 10 mila voti, circa 197mila (24,8%).

Più che una convincente vittoria delle opposizioni, queste elezioni mostrano quindi un vero e proprio suicidio politico da parte della coalizione PAN, l’alleanza tra i partiti guidati dagli ex-leader dell’UCK che, pur con un alto livello di conflittualità interna, ha guidato il paese nella scorsa legislatura. Le difficoltà del vecchio governo e l’indagine che ha coinvolto il premier Ramush Haradinaj spingendolo a convocare elezioni anticipate, non hanno scalfito in modo sensibile il consenso reale delle principali forze politiche che componevano la coalizione. Sommando infatti i circa 169 mila voti (21%) del Partito Democratico del Kosovo (PDK) fondato dal presidente della Repubblica Hashim Thaci, i 90mila (11,6%) dell’Alleanza per il Futuro del Kosovo (AAK) del dimissionario primo ministro Haradinaj e i 39 mila (4,9%) della coalizione formata dal partito NISMAIniziativa Socialdemocratica e dall’Alleanza per un nuovo Kosovo (AKR) del miliardario ed ex ministro degli Esteri Behgjet Pacolli (che rischia seriamente di restare fuori dal parlamento, essendo sotto la soglia del 5%), il risultato complessivo delle forze del governo uscente è addirittura superiore di circa 50 mila voti rispetto a quello ottenuto due anni fa.

Incapaci di mettere da parte dissidi e divergenze, gli storici leader politici del PDK e dell’AAK hanno deciso di presentarsi alle elezioni con liste proprie. Una scelta che ha spalancato le porte alla vittoria delle opposizioni adesso in grado di far fuori la “vecchia” politica kosovara e avviare un ampio rinnovamento, almeno nei protagonisti. Vetevendosje si è infatti già detto disponibile ad un’alleanza con la LDK, che ha risposto positivamente, preferendo però aspettare il conteggio finale dei voti (compresi i voti dall’estero) prima di iniziare le consultazioni.

La componente serba

L’altro vincitore di questa tornata elettorale è senza dubbio il presidente serbo Aleksandar Vucic. La Srpska Lista (SL), apertamente sostenuta dal governo di Belgrado, ha ottenuto una schiacciante vittoria in tutte le dieci municipalità a maggioranza serba, con circa 10 mila voti in più del 2017, per un totale di oltre 52 mila (6,6%), e conquistando così tutti i 10 seggi a disposizione della comunità, con la possibilità di guadagnarne anche qualcuno in più.

Per il presidente Vucic, la vittoria della SL è stata “la più convincente della sua storia” e una delle sue vittorie preferite “perché è avvenuta nelle condizioni più difficili”. Quali siano queste condizioni difficili non è però dato saperlo, vista l’assenza di una reale competizione, frutto di intimidazioni e di un clima ostile ai candidati estranei alla SL.

Nonostante la schiacciante vittoria e la necessità, riconosciuta dalla Costituzione, di garantire almeno un ministero alla minoranza serba, il probabile futuro premier Albin Kurti ha già fatto sapere che ha intenzione di coinvolgere nelle trattative tutti gli altri partiti serbi ma non la SL, dato che questa “non è un partito politico ma uno Stato”, con chiaro riferimento allo stretto legame del partito con il governo serbo.

Le prospettive

La quasi certa esclusione dal nuovo esecutivo dei protagonisti degli ultimi due decenni della politica kosovara (e, forse, della Srpska Lista) rappresenta sicuramente l’elemento di novità più importante di queste elezioni. Il futuro governo dovrà però dimostrare di saper attuare un reale cambiamento sulle principali questioni che riguardano il paese, primo tra tutti il difficile dialogo con la Serbia giunto ad un punto morto dopo la decisione di applicare dazi al 100% sulle merci serbe da parte del precedente governo.

Vetevendosje, inoltre, si è più volte espresso in favore di un referendum popolare su una possibile unificazione con l’Albania, una posizione che rischierebbe di innalzare pericolosamente la tensione e non condivisa né dai futuri alleati di governo della LDK né dalla comunità internazionale.

Al di là del rapporto con i vicini, il nuovo governo dovrà fare i conti soprattutto con gravi difficoltà economiche, con un alto livello di disoccupazione e un altrettanto preoccupante tasso di emigrazione giovanile che condanna il paese ad un futuro incerto. Sarà su questi temi che i due principali partiti si giocheranno la propria credibilità.

Foto: Insajderi.com

Chi è Marco Siragusa

Nato a Palermo nel 1989, ha svolto un dottorato all'Università di Napoli "L'Orientale" con un progetto sulla transizione serba dalla fine della Jugoslavia socialista al processo di adesione all'UE.

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