Sarajevo è stata, il primo dicembre scorso, la città più inquinata del mondo, perlomeno per ciò che attiene alle emissioni delle famigerate polveri sottili. Peggio persino di Pechino e Lahore, che storicamente si contendono i primi posti di questa poco lusinghiera classifica. L’indice di qualità dell’aria calcolato per quel giorno è stato, infatti, di oltre 300 (su una scala di 500), con un valore di polveri sottili pari a 750 microgrammi, quasi il doppio rispetto a quello ammesso a Sarajevo, ma addirittura 15 volte superiore a quello consentito in una città come Milano. Un problema non nuovo per la capitale bosniaca, al punto che la sua risoluzione è stata posta tra i punti centrali del documento di programma appena sottoscritto dalla nuova maggioranza di governo del Cantone di Sarajevo.
Nei giorni immediatamente successivi, a Pristina, capitale del Kosovo, l’indice di qualità dell’aria ha raggiunto il valore-monstre di 456, similmente a quanto osservato a fine novembre in un’altra capitale, Skopje, in Macedonia.
Un problema generale nei Balcani
Se la questione non fosse seria e non riguardasse la salute delle persone, si potrebbe sottolineare, con quell’ironia tanto cara ai sarajevesi, che l’inquinamento è probabilmente l’unico elemento unificante dei Balcani, accomunando non solo le capitali, ma anche i centri minori, sede di diversi insediamenti industriali (realizzati perlopiù nel periodo jugoslavo e mai ammodernati) e delle centrali elettriche a carbone. Sono conosciutissimi per le emissioni di anidride solforosa gli impianti Nikola Tesla B e Kostolac, in Serbia, e quello di Ugljevik, in Bosnia Erzegovina: quest’ultimo considerato dall’Agenzia europea per l’ambiente il più inquinante di tutti (150 mila tonnellate l’anno di anidride solforosa).
E’ forse meno noto, invece, che secondo quanto emerso dagli studi condotti nell’ambito del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), sarebbero addirittura 27 le zone che, in Kosovo, hanno un livello di inquinamento ad alto rischio per la salute umana. E secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale per la Salute (OMS) del 2016, sono tre le città macedoni tra le prime dieci per emissioni di polveri sottili: Tetovo, Skopje e Bitola. Per non dire della centrale a carbone di Pljevlja, in Montenegro, regolarmente oltre i limiti di emissioni.
Le cause
Un refrain, quello dell’inquinamento atmosferico, che si presenta sempre uguale a se stesso alla vigilia di ogni inverno. Oltre al già ricordato ricorso al carbone per alimentare le centrali termoelettriche, le cause di questa situazione risiedono sia nell’impiego del carbone stesso o della nafta nel riscaldamento domestico, sia nella moltitudine di veicoli circolanti alimentati a gasolio, spessissimo risalenti agli anni ’80 e ’90.
Non un problema stagionale, dunque, ma un problema strutturale, come sottolineato da Khaldoun Sinno, vicecapo della delegazione UE in Bosnia Erzegovina, nel corso di una conferenza stampa tenutasi a Sarajevo all’indomani della diffusione dei dati choc sull’inquinamento cittadino.
Le conseguenze
Il problema è, dunque, vitale e percorre da nord a sud tutti i Balcani. Il World Health Statistics del 2018 ha sancito che sono proprio i paesi dell’est Europa a far registrare i tassi di mortalità legati all’emissione di polveri sottili più alti dell’intero continente. E i dati dell’OMS del 2016 sono in linea con questa conclusione: la situazione peggiore si ha in Bosnia Erzegovina dove si stima siano almeno 8000 le morti premature per cause legate all’inquinamento dell’aria, 231 ogni centomila abitanti. Appena meglio in Serbia dove si scende a 5400, ma è significativo, se rapportato alla popolazione, anche il dato di Macedonia e Kosovo, con 1300 e 800, rispettivamente.
Non solo un problema sociale, però, ma anche economico: stando a uno studio di Bank Watch, un’organizzazione no profit, i costi direttamente collegati all’inquinamento dell’aria ammonterebbero, in tutti i Balcani, a 8,5 miliardi di euro l’anno, tra morti premature e costi sanitari, il 13% del loro PIL totale.
Lontani dalla soluzione
Da parte della politica sembra esserci mancanza di consapevolezza o, peggio, indifferenza a trovare una soluzione. Prova ne è il fatto che in Bosnia si continua a investire sul carbone: dopo l’inaugurazione di una nuova centrale a carbone a Stanari nel 2016 (560 milioni di euro, il più grande investimento in campo energetico degli ultimi 30 anni), sono ora al via i lavori per l’espansione della centrale di Tuzla, in Bosnia.
Più in generale, in tutti i Balcani occidentali sono svariati i progetti di nuovi impianti termoelettrici allo studio, con la sola eccezione dell’Albania. Nel frattempo si gestisce alla bene e meglio l’emergenza mettendo in atto misure palliative, dal blocco del traffico, alle mascherine. Davvero troppo poco.
… e continuano ad ignorare il metano russo!!! chi è causa del suo mal pianga se stesso. Saluti.-