Dopo la rottura tra Tito e Stalin, la Jugoslavia abbandonò velocemente gli stili architetturali del realismo socialista per cercare una sua propria strada. L’esposizione universale di Bruxelles 1958, in questo senso, era l’occasione ideale per mostrare al mondo l’innovazione e ambizione del lavoro degli architetti jugoslavi.
Expo’58 si annunciava come la prima grande esposizione del dopoguerra, con ben 44 paesi partecipanti e i più grandi nomi dell’architettura mondiale volevano lasciarci un segno. Per Bruxelles si trattava di trasformare radicalmente la piana dell’Heysel (dove aveva già avuto sede l’esposizione del 1935). Ciò che ancora rimane alla città è l’Atomium, simbolo di quell’era di ottimismo atomico.
La competizione per il padiglione jugoslavo ad Expo’58 fu vinta dall’architetto zagabrese Vjenceslav Richter, uno dei più grandi nomi dell’architettura jugoslava dell’epoca. La struttura prevista da Richter doveva essere sostenuta da cavi appesi ad una spira centrale, apparendo così sospesa nell’aria.
Tuttavia gli organizzatori belgi sollevarono obiezioni al progetto, ritenendolo troppo pericolo. Richter modificò quindi il suo disegno originario secondo un metodo più tradizionale. Al posto della spira centrale, Richter e il suo ingegnere strutturale, Zvonko Springer, crearono una scultura elicoidale di 45 metri d’altezza di fronte al padiglione, che doveva esserne l’elemento centrale.
Gli interni del padiglione, disegnati dall’architetto Pavel Weber, seguivano lo stile “streamline” con ampi open space e corridoi sospesi, arredati con elementi che mostrassero la modernità e il successo della nuova jugoslavia socialista. All’esterno del padiglione erano invece posizionate sculture d’arte moderna. L’oggetto più popolare si dimostrò la scultura del “toro” di Vojin Bakić.
Il padiglione jugoslavo all’Expo’58 ebbe successo, attirando elogi dai molti critici d’architettura presenti, e cementò la reputazione della Jugoslavia per un design architettonico innovativo e ambizioso.
Tuttavia, la fine dell’esposizione non segnò la fine della vita del padiglione. L’edificio fu infatti smontato e traslocato a 50 chilometri di distanza presso il paese di Wevelgem, dove fu integrato nel local campus educativo del Saint Paulus College. Ancora oggi, il padiglione jugoslavo è considerato tra le strutture meglio conservate dell’Expo’58.
Una storia di Spomenik Database(Donald Niebyl), tradotta da Davide Denti. Foto degli autori .