UNIONE EUROPEA: Lavoratori dalla “periferia d'Europa”, opportunità o pericolo?

In questo periodo di crisi e recessione economica, molte sono le critiche che dai vari Paesi si alzano verso le Istituzioni Europee. Tra queste, è passata e rimane tuttora in secondo piano il problema delle conseguenze di lungo periodo derivanti dai recenti (e prossimi), allargamenti dell’Unione, in materia di sicurezza sociale, legata al sistema di garanzie delle diverse rappresentanze sindacali nazionali.

Il caso della raffineria inglese Lindsey, del gennaio 2009, ebbe il merito di portare alla ribalta parte dei problemi derivanti dal principio della libera circolazione dei lavoratori. Per alcuni mesi i lavoratori inglesi dello stabilimento posero in essere scioperi ed azioni dimostrative contro la decisione della proprietà di appaltare la costruzione di alcune nuove unità ad una compagnia americana. Quest’ultima si servì in parte di imprese italiane in subappalto, “sottraendo” lavoro alle maestranze inglesi.

La Germania si trova ora, nell’anno delle elezioni politiche, ad affrontare una situazione simile, riscoprendo problemi di rappresentanza sindacale che credeva di aver superato dopo il difficile periodo seguito alla riunificazione. Le parti sociali si trovano ora ad affrontare una situazione in qualche modo analoga ed i sindacati si presentano al loro interno divisi. Nodo cruciale è la necessità (e l’efficacia), della fissazione di un salario minimo quale meccanismo atto a proteggere da forme di dumping sociale da parte di lavoratori provenienti dai Paesi di nuova integrazione. Le condizioni del mercato del lavoro tedesco e delle relazioni industriali in Germania sono storicamente regolate da accordi fra le Parti Sociali, in cui lo Stato gioca un ruolo non di primo piano. La richiesta di ottenere un dispositivo di legge che tuteli da fenomeni di dumping (ormai vista ed accettata come una necessità), rappresenta quindi un’espressione del momento di difficoltà in cui si trovano i sindacati.

Altri due esempi della profonda incertezza in cui versa il mercato del lavoro europeo sono le sentenze Laval e Viking. Nella prima, il Tribunale del Lavoro svedese ha riconosciuto il diritto per l’omonima società di costruzioni lettone di applicare dei salari inferiori a quelli stabiliti dalla contrattazione collettiva del settore nel Paese ospitante. La Corte ha infatti dato un giudizio sfavorevole all’azione sindacale intrapresa dai sindacati di categoria svedesi, considerandola: «una restrizione alla libera circolazione dei servizi». Sempre secondo i Giudici, la legge del 1997 sul distacco dei lavoratori nel quadro di una prestazione di servizi obbligava il gruppo lettone a osservare una serie di regole imperative di protezione minima nello Stato di accoglienza. In Svezia, tuttavia, la trasposizione di tale legge non prende in considerazione le retribuzioni poiché il loro livello è frutto di accordi tra partner sociali (come in Germania).

Viking è invece il nome di una Società marittima finlandese, aveva cambiato bandiera ad una delle proprie navi, potendo così applicare in tal modo un contratto nazionale diverso e più vantaggioso di quello finlandese. In questa occasione, La Corte di Giustizia ha considerato le azioni sindacali di protesta come legittime, in quanto: «orientate alla protezione dei posti di lavoro ed al miglioramento delle condizioni dei lavoratori». Anche in questo caso però, permangono molte ombre unitamente ad incertezze interpretative. In occasione della sentenza, il segretario generale della Confederazione Europea dei Sindacati (CES), John Monks, ha dichiarato: «Avremmo voluto un riconoscimento più chiaro e senza ambiguità dei diritti dei sindacati a conservare e a difendere i diritti dei lavoratori e la parità di trattamento e a cooperare al di là delle frontiere per controbilanciare il potere, sempre più mondiale, delle imprese».

Le modalità di gestione del caso Laval (sentenza nazionale prima sospesa in attesa di giudizio della CGE senza che ai sindacati fosse riconosciuta alcuna pena per le agitazioni contrarie al diritto del lavoro nazionale; poi, a seguito della sentenza europea, riconoscimento delle responsabilità a carico delle organizzazioni sindacali), così come le richieste attuali delle Trade Unions tedesche dimostrano come i principi di contrattazione collettiva e della libera circolazione dei lavoratori necessitino di particolare e maggiore attenzione da parte delle Istituzioni Europee. In caso contrario la perdita di potere delle sigle sindacali e l’abbassamento degli standards lavorativi sarà inevitabile.

Foto: Wikipedia

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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